Iran tra riforme e repressione: le nuove sfide di Pezeshkian dopo la guerra con Israele
Distolti dalle evoluzioni diplomatiche ucraine, le vicende iraniane sono state silenziate da una sordina che non rende loro giustizia, specie in presenza di una debolezza teocratica quanto mai spiccata.
Quanto si sta avendo modo di vedere, di fatto, non sembra essere stato generato ex novo dal fuoco esercitato per 12 giorni dall’Aeronautica israeliana ma, preesistente, ha trovato una strada per manifestarsi comunque.
Il Fronte Riformatore, non a caso, proprio in queste ultime settimane, ha reso noti intendimenti volti ad ottenere cambiamenti sostanziali sia in politica estera che interna, tra cui: la ripresa dei negoziati con Washington e soprattutto, la rimozione dei pasdaran dalle posizioni di potere.
Queste evoluzioni non devono stupire oltremodo, visto che riflettono l’attrito che da tempo interessa conservatori radicali e riformisti pragmatici, schieramenti non sempre monolitici.
Il pragmatismo, specie dopo gli attacchi israeliani, sta spingendo per un cambiamento che si plasmi come un modello proiettato verso il futuro, che consideri la necessità di risolvere la crisi economica non mancando di vellicare il latente sentimento nazionalista.
Tenuto conto dell’incombenza del periodo post Khamenei, inevitabilmente segnato da tempo ed età, e del desiderio di rompere l’emarginazione politica da parte del Fronte, non c’è stato nulla di più prevedibile della reazione della destra conservatrice, che ha mosso precise accuse di cedimento alla politica occidentale.
Malgrado l’indubbia importanza delle prese di posizione, permane il dubbio circa la possibilità che queste possano condurre ad un effettivo mutamento degli equilibri di potere, posto che le istituzioni rimangono ancora appannaggio dei conservatori; ovviamente, nel più generale contesto, non è possibile trascurare l’influenza politica esercitabile dal Presidente Pezeshkian, controbilanciato, non a caso, dalla nomina a Segretario del Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale del conservatore pragmatico Ali Larijani, cui è deputato il compito di non permettere alterazioni negli equilibri di potere, visto che il Fronte Riformista risulta peraltro tra gli elettori di Pezeshkian.
Quel che sembra evidente è che l’outsider Pezeshkian, interprete di un difficile periodo post presidente Raisi, debba adattarsi allo scomodissimo ruolo di male minore da contrapporre a Saeed Jalili, rappresentante di Khamenei nel Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale, nonché esponente della fazione oltranzista della Risolutezza.
Anche in campo pragmatico, e tra le fila dei sostenitori del Presidente, sono state espresse pesanti riserve sulle prese di posizione del Fronte, viste da alcuni esponenti quali elementi capaci di indebolire il Presidente, specie in un momento post bellico particolarmente difficile malgrado le dichiarazioni di circostanza.
Khamenei ha spinto per garantire il controllo parlamentare ai conservatori, legati agli interessi del deep state rallentando l’ascesa dei radicali, volti a sfidarne l’autorità.
Quel che deve indurre a riflettere circa la percepita difficoltà del contesto, è la politica governativa volta a prevenire o lenire le tensioni tra autorità avvertite come troppo distanti da una popolazione mai doma e pronta a nuove proteste, specie in aree come quella curda o beluca.
Non è un caso che il Consiglio per la Sicurezza abbia sospeso l’attuazione sia di un provvedimento teso ad inasprire le pene per le violazioni del codice di abbigliamento islamico femminile, sia circa l’uso dei social media.
Attenzione però, la repressione non si è attenuata, ma si è intensificata dopo la guerra, così come non c’è stato alcun segnale atto a legittimare l’idea di un cambiamento circa le posizioni di Guida Suprema e pasdaran, così come non c’è stata alcuna indicazione circa una possibile nuova rotta da seguire in politica estera, data la riottosità nel riprendere i negoziati con gli USA sulla querelle nucleare e circa la fedeltà al vincolo stretto con gli alleati dell’Asse della Resistenza.
La guerra con Israele ha provocato di fatto un nuovo dibattito sulle “lessons learned”, che riflette le lotte politiche di potere in corso ed acuendo punti di faglia che rimarranno tali fino ad un cambiamento delle linee istituzionali, a meno che non si considerino con attenzione previsioni politologiche che pongono Teheran in un’area dominata da caos strategico e destabilizzazione.
Un cambio di regime in Iran non rientra solo tra le speculazioni geopolitiche, ma anche tra gli attriti tra egemoni globali, dinamiche regionali ed il rischio di un crollo capace di portare più caos che libertà.
Del resto, pur a fronte di una presa di posizione interna, i due principali gruppi di opposizione operano all’estero, negli USA, con l’ultimo discendente Pahlavi, e con il MEK (Mojahedin-e Khalq) dall’Albania, condotto da Massoud e Maryam Rajavi, entrambe le formazioni con profondi problemi di legittimazione, vuoi perché la prima monarchica e la seconda, negli anni 80, troppo vicina all’Iraq.
Tra il rischio di diventare un nuovo Mossadeq in versione interna, e le pressioni di bazaari e pasdaran, il compito di Pezeshkian appare ancora più impervio.
Foto: IRNA
L’articolo Iran tra riforme e repressione: le nuove sfide di Pezeshkian dopo la guerra con Israele proviene da Difesa Online.
Distolti dalle evoluzioni diplomatiche ucraine, le vicende iraniane sono state silenziate da una sordina che non rende loro giustizia, specie in presenza di una debolezza teocratica quanto mai spiccata. Quanto si sta avendo modo di vedere, di fatto, non sembra…
L’articolo Iran tra riforme e repressione: le nuove sfide di Pezeshkian dopo la guerra con Israele proviene da Difesa Online.
Per approfondimenti consulta la fonte
Go to Source