Le alleanze, strumento indispensabile per la sicurezza occidentale
Oggi il nuovo ordine globale impone una diversa visione delle alleanze, lo impone soprattutto all’Occidente. Dalla parte opposta c’è infatti un fronte apparentemente unito, ma solcato da profonde rivalità strutturali, che oscilla infatti tra vassallaggio e colonizzazione.
Da parte occidentale esiste certamente una (temporanea) crisi dei valori fondanti i legami transatlantici, per le alternanze politiche tipiche dei sistemi democratici, associata a una tuttora inattuata velleità di maggiore integrazione dell’UE.
In campo occidentale di fatto esiste, atipica ma finora vincente, una sola vera alleanza, la NATO che, anche se un po’ datata, ha finora dimostrato tutta la sua valenza politica e militare, vincendo la Guerra Fredda e intervenendo nelle varie (e spesso gravi) crisi globali successive. Oggi, tuttavia, da parte di alcuni si alza una voce che chiede un suo aggiornamento, in modo da rimanere politicamente e operativamente efficace nel nuovo ordine mondiale che si va delineando.
L’idea dell’Amministrazione Obama di aver conquistato le condizioni di una pace irreversibile è, purtroppo, andata a sbattere contro un muro di rivalità ormai conclamate e di atteggiamenti fortemente divisivi, che hanno portato il mondo sull’orlo del caos. Né sono valse a migliorare i rapporti tra alleati talune affermazioni tanto forti quanto inesatte di alcuni esponenti occidentali, che forse conoscono poco la storia degli ultimi 100 anni del mondo. Ciò ha permesso a esponenti politici dei blocchi potenzialmente avversari di mettere in atto azioni assertive e/o violente, confidando in una diminuzione di attenzione da parte dell’unica Alleanza vincente del secolo scorso.
La NATO è, infatti, un grande successo organizzativo e di omologazione, di standard e di procedure, che ha dato efficacissimi risultati principalmente come alleanza navale, proprio perché il primo imperativo era riuscire a trasferire materiali, servizi e sopravvivenza da una sponda all’altra dell’Atlantico. Una lezione che pare sia stata temporaneamente dimenticata da chi oggi siede sulle poltrone governative di taluni Paesi alleati.
Il continuo allargamento della NATO dopo il crollo del Muro di Berlino, verificatosi non per volontà o per stimolo dell’Occidente, ma per il desiderio dei Paesi dell’ex-blocco sovietico di affrancarsi finalmente e in maniera permanente dal giogo di Mosca (Paesi che, a differenza di taluni tribuni occidentali, ben conoscono i suoi metodi e la sua tragica storia di occupante), ne hanno però fatto da un lato una struttura dove raggiungere il consenso è piuttosto “laborioso”, dall’altro ne hanno spostato il focus e le hanno dato una sorta di obiettivi “territoriali”, quelli che oggi pare creino una certa insofferenza negli USA che, da parte loro, vorrebbero affrontare altre priorità.
In tale contesto, per poter essere efficaci nel nuovo caotico ordine mondiale, le alleanze dovrebbero essere globali, in quanto settorializzarle e indirizzarle totalmente o parzialmente su obiettivi territoriali diminuisce la loro efficacia come dimostrazione di volontà condivisa per il raggiungimento di obiettivi comuni di benessere e prosperità.
Il principale strumento di manifestazione di volontà condivisa e, al contempo, il più efficace per la proiezione di potenza è lo strumento navale. Per la NATO, per esempio, oggi sembra si sia persa di vista la priorità marittima, soprattutto la priorità marittima del fronte sud. Per effetto dei terribili eventi in Ucraina, terra, aria e cyber oggi sembrano essere le priorità, mentre il fronte sud è rimasto prevalentemente un fronte marittimo costituito da Mediterraneo e Mar Nero (leggi articolo “Difesa dei nostri interessi in Mediterraneo“).
In merito, va sottolineato come la sicurezza e il dominio di questi mari si gioca certamente anche sulla autorevole presenza sopra e sotto queste acque, ma è al di fuori degli stretti che si gioca la partita importante, soprattutto in Mar Rosso e nell’Oceano Indiano. L’Oceano Atlantico e il GIUK sono, infatti, ancora sufficientemente presidiati, anche se qualche aggiustamento come investimenti dovrà essere necessariamente effettuato.
In tale contesto marittimo, nei prossimi anni un teatro marittimo fondamentale per la sicurezza di tutto il mondo Occidentale sarà l’Oceano Indiano, vera chiave della sopravvivenza commerciale ed energetica europea. È in quelle acque, infatti, che si giocherà una partita vitale (leggi articolo “La Cina aggiunge una pedina nello scacchiere Indo-Pacifico“).
Ciò è tanto più vero per i Paesi del sud-Europa, strategicamente fondamentali per l’equilibrio della regione euromediterranea e per contrastare le aspirazioni e le vere e proprie colonizzazioni cinesi sul territorio africano e, soprattutto, per contenere le crescenti presenze e pretese marittime cinesi nel Golfo Persico, in Mar Rosso e in Nord-Africa che vedono, in questo momento, lo sviluppo di numerose iniziative navali e infrastrutturali marittime concentrate sullo stretto di Hormuz, a Bab-el-Mandeb e in vari porti mediterranei fino alle coste marocchine atlantiche.
In tale contesto vale sottolineare che la libertà di navigazione non è solo un “semplice” concetto o una conquista del mondo moderno, ma è la base dello sviluppo e del mantenimento del benessere dei popoli. Le attuali filiere industriali, infatti, sono estremamente dipendenti dalla libera fruibilità delle linee di comunicazione marittime, attraverso le quali viaggia il 90% delle merci mondiali, secondo i dati della International Maritime Organization (IMO). Si tratta di un enorme traffico di merci che percorre quotidianamente queste autostrade liquide. Ostacolare il transito marittimo commerciale significa, quindi, attaccare le stesse basi su cui si fonda la potenza industriale occidentale e il nostro benessere.
Vanno poi aggiunte la rete di fornitura dell’energia e la rete di cavi informatici sottomarini. Per la prima non vale neanche la pena di sottolinearne l’importanza strategica. Per la seconda, in attesa di costellazioni di satelliti che permettano (a tutti?) la possibilità permanente e sicura di scambio dati, appare utile richiamare il fatto che oggi essa rappresenta l’ossatura dello spazio cibernetico sul quale si basa la nostra vita quotidiana, dalle banche dati, allo scambio economico, alle informazioni comuni. Circa il 90% delle informazioni/dati che usiamo tramite internet, infatti, transitano ancora lungo le autostrade in fibra ottica posate sui fondali marini. Autostrade che generalmente seguono le linee di comunicazione marittime commerciali (leggi articolo “Spazi marittimi e sicurezza internazionale“).
In tale situazione geopolitica, per l’Italia, potenza regionale con interessi globali, l’Oceano Indiano riveste un interesse strategico, essendo sia la chiave per il mantenimento della libertà di navigazione e di commercio da e per l’Estremo Oriente, sia la via lungo la quale si sviluppano i traffici energetici e investimenti (ENI e altre compagnie europee hanno investito pesantemente in Qatar, India e Indonesia) fondamentali per il successo del “Piano Mattei”.
La presenza marittima in Oceano Indiano non è, quindi, una possibilità ma per l’Italia diventa necessità e obbligo, con indirizzi e obiettivi comuni con Francia e Regno Unito, paesi europei della NATO che hanno interessi e presenze storiche nell’area. Tutto ciò attraverso una auspicabile forma di collaborazione con l’India, Paese che ha storici e strutturali attriti con la Cina e che sarebbe importante accettare e consolidare nelle sue aspirazioni di integrazione nel mondo occidentale (leggi articolo “L’India guarda verso il mare“).
I predetti tre Paesi europei, dotati di portaerei e quindi in grado di proiettare potenza, potrebbero essere in grado di mantenere efficace presenza in Oceano Indiano, possibilmente insieme all’India, e potrebbero costituire il necessario deterrente nei confronti della Cina. Una possibilità che dovrebbe essere di estremo interesse per gli USA, che così potrebbero meglio concentrarsi sulle acque del Pacifico a est di Pechino, magari congiuntamente a Giappone, Corea del Sud e Australia.
Se l’India e i paesi Europei riuscissero a dare la necessaria attenzione all’Oceano Indiano, sino agli stretti di Malacca, libererebbero infatti forze USA per il Pacifico, in una sinergia che rientrerebbe in quell’ottica di partenariato/alleanza globale ormai indispensabile per contenere l’espansionismo assertivo di taluni paesi e rilanciare valori e motivazioni di alleanze consolidate. Una soluzione che parrebbe di relativamente facile implementazione, visti gli standard NATO ormai consolidati.
Avere gli standard NATO, tuttavia, non significherebbe un coinvolgimento della NATO tout-court, ma si tratterebbe di organizzare una presenza in Oceano Indiano attraverso un accordo che necessariamente dovrà coinvolgere i principali paesi marittimi europei.
La Marina Militare Italiana, oltre a una presenza di lunga data nell’area, come per il contrasto alla pirateria ormai ultradecennale, è molto avanti potendo mettere sul piatto l’esperienza ultraventennale del VRMTC (Virtual Regional Maritime Traffic Centre), che potrebbe diventare un fattore chiave di un nuovo accordo/aggiornamento di alleanze vecchie o nuove.
L’Oceano Indiano potrebbe essere, quindi, una opportunità per il rafforzamento delle alleanze – strumento collettivo indispensabile per la sicurezza occidentale – e per rilanciare la NATO quale alleanza politico-militare.
Foto: Marina Militare
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