Caio Mussolini: Italiani d’Argentina – Storia dell’immigrazione italiana in Argentina nel XIX e XX secolo
Ed. Edistorie, Roma 2023
pagg. 254
L’autore, con un passato da ufficiale di marina sommergibilista e da manager nel settore industriale della difesa, è nato in Argentina, dove erano emigrati sia il bisnonno materno, agli inizi del Novecento, che il padre e il nonno, dopo la guerra. Egli, però, ha trascorso la sua adolescenza in Venezuela. Alla terra natia, quindi, ha deciso di dedicare questo lavoro, prendendo spunto dalla sua tesi di laurea in Scienze Politiche, con l’obiettivo “di descrivere in maniera strutturata le ragioni dell’emigrazione e la grande influenza che in quasi due secoli i tanti italiani hanno avuto su molti aspetti della cultura e della realtà sociale argentina.” Un fenomeno, quello dell’emigrazione, che si è accentuato “dalla metà del XIX secolo con l’arrivo di centinaia di migliaia di uomini e donne che lasciano l’Italia alla ricerca di una vita migliore” per invertirsi, poi, “alla fine degli anni novanta a seguito della crisi economica argentina.”
Nel 1861, anno in chi il primo parlamento nazionale eletto proclamò Vittorio Emanuele II Re d’Italia, il tasso medio di analfabetismo, tra i 26 milioni di abitanti che popolavano l’Italia, era del 78%. “Inoltre, sono pochi quelli in grado di comunicare correttamente in italiano: gli altri, anche le minoranze colte, lo fanno attraverso i dialetti. Questa disomogeneità linguistica sarà la causa di alcuni dei problemi d’integrazione degli emigrati in Argentina.[…]Tra le conseguenze di questa disomogeneità troveremo un bizzarro fenomeno linguistico, che caratterizza tutt’oggi alcuni dei vecchi emigranti italiani, chiamato cocoliche che a sua volta contribuirà all’arricchimento dell’argot di Buenos Aires, il lunfardo.” Il fenomeno dell’emigrazione, che subisce un incremento subito dopo l’unificazione del paese, “assume vere e proprie dimensioni di massa a seguito della crisi agraria del 1879-1880,” a causa “dell’inferiore capacità italiana di adattarsi ai ritmi della Rivoluzione Industriale rispetto a quella di altri paesi europei.” Una forte riduzione del fenomeno si avrà durante il ventennio fascista, in seguito alle politiche demografiche del regime, per poi riprendere alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Infatti, i governi considereranno gli espatri come una valida alternativa per cercare di alleviare il grave problema della disoccupazione. Il picco dell’emigrazione si raggiungerà agli inizi degli anni Sessanta.
Il governo argentino offriva agli emigranti tre benefici: “l’alloggiamento gratuito nell’Hotel de immigrantes per alcuni giorni, un biglietto gratuito del treno per raggiungere la destinazione finale prescelta e l’uso degli uffici di collocamento situati all’interno dell’Hotel.” Non tutti, però, potevano permettersi di acquistare un biglietto di un viaggio in transatlantico di circa quattro settimane per l’Argentina; pertanto, i settori più poveri erano esclusi. “L’emigrazione è considerata un “investimento”, e non tutti sono in grado di sostenerlo”.
Tra il 1875 e il 1914 furono più di cinque milioni le persone emigrate in Argentina aventi, soprattutto, origini europee. Per quanto riguarda gli italiani, essi arrivavano principalmente da Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto, Friuli, Calabria, Molise e Campania, stabilendosi soprattutto nelle regioni del Rio de la Plata, contribuendo a far raggiungere, intorno al 1910, la maggior consistenza della comunità italiana. Nel quartiere de La Boca del Riachuelo, alla periferia di Buenos Aires, si stabilì la comunità ligure, inizialmente costituita da pescatori e marinai. “Si racconta che le case fossero dipinte con gli avanzi delle vernici usate nei cantieri navali del porto, che naturalmente non erano sufficienti per coprire tutta la facciata delle case. Per questo motivo i muri apparivano dipinti a zone multicolori, spesso dalle tonalità sgargianti.”
Inizialmente i rapporti tra il gaucho argentino, che spadroneggiava nei campi, e l’immigrato italiano, non furono idilliaci, come descritto da Martin Fierro in un suo importante poema del 1879. “L’italiano, chiamato generalmente gringo oppure papolitano, cioè napoletano, è deriso dal gaucho per le difficoltà che incontra in una terra non sua.” Da napoletano deriverà la parola “tano” per indicare in maniera dispregiativa gli italiani in genere.
Agli immigrati italiani – all’inizio in gran parte contadini che hanno inciso profondamente sullo sviluppo dell’agricoltura – si deve la coltivazione della vite. “Oggi, i tre quarti delle società dedicate all’industria del vino sono d’origine italiana.” Gli immigrati italiani si fecero valere anche in altri settori industriali, quali la produzione di pasta, biscotti, olio, liquori, la metallurgia, la conciatura di pelli nonché nel settore tessile e in quello delle cartiere. In campo militare, il ligure Giuseppe Murature, nato ad Alassio e giunto in Argentina nel 1825, fu il secondo ammiraglio nella storia della Marina Argentina. Ben quattro navi, negli anni a venire, hanno portato il suo nome mentre, alla fine degli anni Venti, l’Italia costruì due incrociatori e tre sommergibili, destinati all’Argentina. Nel secondo dopoguerra, invece, sarà la volta delle grandi imprese, quali, ad esempio, FIAT, Finmeccanica, Olivetti e Pirelli.
Molte furono le influenze italiane nella cultura argentina, sia nel campo delle scienze che in quello delle arti. In quest’ultimo campo, inoltre, bisogna segnalare che “gran parte degli artisti argentini,[…] si sono formati nelle scuole o accademie italiane.” Oltre la pittura, la scultura e l’architettura, anche la musica fu influenzata dagli italiani. Vicente Scaramazza era un pianista napoletano che, trasferitosi in Argentina nel 1907, lasciò la sua impronta anche nel mondo del tango, avendo avuto, tra i suoi allievi, Osvaldo Pugliese e Horacio Salgan. Il tango fu ben rappresentato dagli emigrati italiani. Pedro Maffia, Julio de Caro e Astor Piazzolla sono solo alcuni dei musicisti che a questo genere di musica dedicarono la loro vita.
Comunque, qualunque fosse la propria area d’interesse, fu la loro gran voglia di lavorare la caratteristica che accomunò gli immigrati italiani che, “in due secoli, sono riusciti con i loro comportamenti quotidiani, usanze e cultura a influenzare lo stile di vita argentino, trasformandolo in un paese unico al mondo.”
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