Intercettazioni e provocazioni: la nuova guerra è alle porte?
Durante la Guerra Fredda l’aviazione strategica fu uno dei principali strumenti di pressione e deterrenza reciproca tra Stati Uniti e Unione Sovietica. I bombardieri sovietici a lungo raggio, prima i Tu-16 e poi soprattutto i Tu-95 “Bear”, iniziarono già negli anni cinquanta a percorrere rotte polari verso l’Alaska per sondare la rete radar nordamericana e i tempi di reazione del NORAD.
Le intercettazioni statunitensi erano costanti: nei decenni sessanta e settanta si registrarono in media tra dieci e venti eventi l’anno, con punte più alte nei momenti di tensione (foto seguente – 1974).

Nel 1987, ad esempio, si toccarono trenta e più missioni intercettate solo nell’area artica. Le procedure erano chiare: i bombardieri restavano nello spazio aereo internazionale, i caccia F-102 e F-106 prima, poi gli F-15, decollavano dalle basi in Alaska per identificare e scortare i velivoli sovietici finché non invertivano la rotta.
Dal lato opposto, gli Stati Uniti conducevano una quantità ancora maggiore di voli di ricognizione elettronica (RC-135, EP-3E, P-3 Orion) e missioni strategiche di B-52 e B-1 lungo i margini orientali dell’URSS: Mare di Ochotsk, Kamčatka, Stretto di Bering.
Regole non scritte
In quegli anni non mancarono incidenti: almeno cinque o sei ricognitori americani furono abbattuti tra anni cinquanta e primi sessanta, l’episodio più noto resta quello dell’U-2 di Gary Powers nel 1960 (foto).
Nella maggior parte dei casi entrambe le parti si muovevano entro regole non scritte, evitando lo scontro diretto pur mantenendo un confronto permanente nei cieli.

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica lo scenario cambiò radicalmente. Negli anni novanta la crisi economica e militare russa portò a quasi azzerare le pattuglie a lungo raggio. Le intercettazioni NORAD sull’Alaska diventarono sporadiche o nulle, mentre anche gli Stati Uniti ridussero la presenza aggressiva ai margini del territorio russo, affidandosi sempre più alla ricognizione satellitare.
Per oltre un decennio l’Artico tornò una regione insolitamente silenziosa, tanto che l’opinione pubblica smise di percepirlo come un fronte caldo. L’infrastruttura di difesa aerea nordamericana rimase in servizio ma a basso regime, e qualunque segnalazione di volo militare russo vicino alle coste appariva un evento eccezionale (foto seguente – 1999).

A partire dal 2007 Mosca annunciò la ripresa ufficiale delle pattuglie strategiche e tornò a inviare Tu-95 e Tu-142 lungo le rotte polari. Le intercettazioni NORAD ripresero con una media di cinque-sette eventi annui. Nel 2014, con l’aggravarsi delle tensioni per la Crimea, il numero di sortite raddoppiò fino a circa dieci nell’anno. Nel decennio successivo i dati mostrano oscillazioni: due soli episodi nel 2021 e nel 2022, ma otto nel 2023 e dodici nel 2024.
Nei primi nove mesi del 2025 i comandi statunitensi hanno già segnalato nove intercettazioni, con quattro in una sola settimana ad agosto.

Le formazioni russe oggi comprendono ancora i Tu-95, spesso affiancati da caccia Su-35 e da piattaforme per raccolta elettronica come l’Il-20, con permanenze nell’Adiz di due-quattro ore. Tutti i voli restano in spazio internazionale, senza violare il limite delle dodici miglia.
Anche dal lato americano si è tornati a una presenza visibile: nel 2020 B-52 e B-1B sono entrati per la prima volta nel Mare di Ochotsk, area considerata sensibile dalla Flotta del Pacifico russa, rimanendo però in acque internazionali. La risposta russa è stata speculare a quella nordamericana: scramble di MiG-31 e Su-35, affiancamento e rientro ordinato.
4 luglio 2015
Un episodio del 4 luglio 2015 racconta bene la natura codificata di questi incontri. In quel giorno due coppie di Tu-95 si affacciarono sia sull’Alaska sia al largo della California, vennero identificate da F-22 e F-15 e, attraverso la radio, uno dei piloti russi inviò un sorprendente “happy Fourth of July!” ai colleghi americani. Era un messaggio teatrale, ma pienamente dentro la logica della deterrenza controllata.

Negli ultimi anni la sostanza tecnica è rimasta la stessa, ma è cambiata la cornice: ogni comunicato NORAD diventa in poche ore titolo globale, rilanciato e spesso drammatizzato. L’assenza di memoria storica fa percepire come escalation ciò che fu normale per decenni.
Gli stessi numeri lo mostrano: le dodici intercettazioni del 2024 e le nove finora del 2025 restano ben al di sotto dei picchi di trenta e più degli anni ottanta, ma l’impatto emotivo oggi è amplificato.

Dobbiamo preoccuparci?
Sì, ma non nel senso di una “guerra imminente” (è già iniziata). Il rischio operativo di collisioni o incidenti esiste, perché ogni intercettazione è un incontro ravvicinato tra macchine complesse e equipaggi sotto stress. Il vero elemento nuovo è però l’enfasi, un sistema mediatico che trasforma la routine strategica in “presagio di conflitto”, spesso senza spiegare contesto e proporzioni.
La sorveglianza reciproca nei cieli artici non è mai cessata e, dopo la parentesi tranquilla degli anni novanta, è semplicemente tornata ai livelli di pattugliamento tipici della competizione tra potenze.

A cambiare è dunque il racconto, più sensazionalista e più adatto a suscitare paura che a informare. È questa narrazione, più che i Tu-95, i Su-35 o i Mig-31, a meritare la nostra attenzione critica.
E in Europa?
Anche nello spazio aereo europeo si moltiplicano le cronache di presunte “incursioni” russe: voli di bombardieri e ricognitori lungo le coste della Norvegia, intercettazioni nei cieli del Baltico, penetrazioni brevi o sorvoli a ridosso di confini NATO e attività di droni sui Paesi orientali dell’Alleanza.
Episodi che un tempo sarebbero stati considerati parte della normale sorveglianza reciproca oggi vengono immediatamente amplificati, trasformati in segnali di escalation e presentati come preludio di conflitto imminente. Anche da noi a cambiare non è tanto la sostanza operativa quanto l’eco mediatico.

Chi c’è dietro una possibile regia della tensione? Sun Tzu insegnava: «Quando sei forte, fingi debolezza; quando sei vicino, fingi di essere lontano» (disorientare l’avversario è il primo passo per colpirlo con successo).
Un avversario che saggia reazioni e tempi di risposta è un nemico preoccupato, evidentemente non li conosce oppure vuole deliberatamente alimentare l’isteria nell’altro fronte.
In questa prospettiva possiamo rimanere sereni o, se utile, persino apparire spaventati. Chi dovrebbe temere l’esito di questo gioco non siamo noi, ma qualcuno a Mosca…
Foto: U.S. DoW / web / Aeronautica Militare
Fonti statistiche
NORTHCOM/NORAD;
Associated Press;
Reuters;
ABC News e TIME;
Air & Space Forces Magazine;
Military.com;
Arctic Today.
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Durante la Guerra Fredda l’aviazione strategica fu uno dei principali strumenti di pressione e deterrenza reciproca tra Stati Uniti e Unione Sovietica. I bombardieri sovietici a lungo raggio, prima i Tu-16 e poi soprattutto i Tu-95 “Bear”, iniziarono già negli…
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