L’enigma dei droni in Europa: Tra guerra ibrida e strumentalizzazione politica
L’Europa sta vivendo un’ondata senza precedenti di avvistamenti di droni non identificati che sta mettendo in crisi la sicurezza aerea e riaccendendo il dibattito sulla vulnerabilità delle infrastrutture critiche continentali. Gli eventi dell’inizio di ottobre 2025 rappresentano solo l’ultimo capitolo di una sequenza che ha visto moltiplicarsi gli episodi sospetti nei cieli di Germania, Belgio, Danimarca, Polonia e altri paesi membri dell’Unione Europea. Comprendere questo fenomeno richiede però di andare oltre le narrazioni semplicistiche e analizzare con rigore sia le evidenze concrete sia il contesto geopolitico in cui questi eventi si inseriscono.
La cronaca degli eventi: Monaco e oltre
La notte tra il due e il tre ottobre ha segnato uno dei momenti più critici di questa crisi. L’aeroporto di Monaco di Baviera, secondo scalo più trafficato della Germania, è rimasto completamente paralizzato per quasi sette ore dopo che le autorità hanno rilevato la presenza di droni non identificati nello spazio aereo circostante. Le conseguenze operative sono state significative: diciassette voli cancellati, quindici dirottati verso aeroporti alternativi e circa tremila passeggeri costretti a trascorrere la notte in aeroporto, dove le autorità hanno dovuto allestire brandine d’emergenza.
Ciò che rende l’episodio particolarmente inquietante è la sequenza temporale ricostruita dalle autorità tedesche. Secondo quanto riportato dal quotidiano Bild, i primi avvistamenti sarebbero avvenuti già alle diciannove e trenta, quando alcuni velivoli senza pilota sono stati osservati mentre sorvolavano un centro di ricerca della Bundeswehr specializzato nello sviluppo di droni di nuova generazione. Solo successivamente questi oggetti si sarebbero spostati verso l’aeroporto civile, suggerendo un movimento deliberato e coordinato piuttosto che una violazione accidentale dello spazio aereo.
I testimoni hanno descritto droni con caratteristiche tecniche significative: apertura alare fino a un metro, probabilmente velivoli ad ala fissa di tipo militare o semi-professionale, ben diversi dai semplici quadricotteri hobbistici. Nonostante l’impiego di elicotteri della polizia per tutta la notte, le forze dell’ordine non sono riuscite a intercettare né identificare con certezza questi velivoli, che sono letteralmente svaniti nel buio bavarese.
Il Belgio nella tempesta: Elsenborn sotto sorveglianza
Poche ore dopo l’incidente di Monaco, la crisi si è estesa al Belgio. Intorno all’una e quarantacinque della notte tra giovedì e venerdì, quindici droni non identificati sono stati rilevati mentre sorvolavano la base militare di Elsenborn, nella provincia orientale di Liegi, al confine con la Germania. L’avvistamento è avvenuto in modo fortuito durante un test di routine delle apparecchiature di sorveglianza, il che solleva interrogativi su quante altre incursioni potrebbero essere passate inosservate in precedenza.
Il ministro della difesa belga Theo Francken ha definito l’episodio “molto bizzarro”, facendo notare che la base di Elsenborn è principalmente un campo di addestramento dove non vi sarebbero particolari segreti militari da spiare. Questa osservazione, apparentemente banale, solleva in realtà un quesito fondamentale: se non si tratta di spionaggio mirato, qual è lo scopo di queste operazioni? La risposta potrebbe risiedere nella strategia della guerra ibrida, dove l’obiettivo non è necessariamente raccogliere intelligence specifica, ma testare le difese, creare ansia diffusa e dimostrare la capacità di penetrare spazi aerei protetti.
Le autorità belghe hanno notato che alcuni droni, dopo aver sorvolato Elsenborn, si sono diretti verso il territorio tedesco, dove sono stati avvistati dalla polizia della cittadina di Düren. Questo pattern di movimento transfrontaliero rafforza l’ipotesi di operazioni coordinate piuttosto che di episodi isolati.
Il caso della petroliera Boracay: Prove cercate, prove non trovate

In questo contesto di crescente tensione, il primo ottobre la Francia ha compiuto un gesto altamente simbolico che merita particolare attenzione. Le forze speciali della Marina francese hanno abbordato e sequestrato la petroliera Boracay (precedentemente nota come Pushpa) al largo di Saint-Nazaire, sulla costa atlantica. La nave, battente bandiera del Benin e facente parte della cosiddetta “flotta ombra” russa utilizzata per aggirare le sanzioni internazionali, era sospettata di essere stata utilizzata come piattaforma mobile per il lancio di droni sui cieli della Danimarca tra il ventidue e il venticinque settembre.
Il procuratore di Brest ha aperto un’inchiesta formale per “mancata giustificazione della nazionalità del pavillon” e “rifiuto di ottemperare”. Due membri dell’equipaggio, che si sono presentati come il comandante e il suo secondo, sono stati posti in custodia cautelare. La stampa europea ha dato ampio risalto all’operazione, presentandola come una prova concreta del coinvolgimento russo nelle incursioni aeree che stavano terrorizzando il continente.
Tuttavia, la conclusione di questa vicenda è stata molto diversa e significativamente meno pubblicizzata. Dopo cinque giorni di detenzione e ispezioni approfondite, la petroliera Boracay è stato dissequestrata senza che venisse formulata alcuna accusa. Secondo i dati dei servizi di tracciamento marittimo, la mattina del tre ottobre il vascello si trovava già nel Golfo di Guascogna, al largo di La Rochelle, diretto verso il Canale di Suez per proseguire il suo viaggio originario verso l’India.
Il punto cruciale di questa vicenda è che, come riportato dalle fonti, “niente è stato trovato” a bordo della nave. Nessun drone, nessun sistema di lancio, nessuna prova tecnica che potesse confermare i sospetti iniziali. Il presidente russo Vladimir Putin ha definito l’azione francese come un atto di “pirateria nelle acque internazionali”, e ha emesso quello che alcune fonti hanno descritto come un “ultimatum di quarantotto ore” a Macron. Significativamente, la nave è stata rilasciata in meno di ventiquattro ore da tale dichiarazione.
Questo episodio solleva interrogativi fondamentali sulla solidità delle prove che sostengono le accuse di guerra ibrida russa. Se davvero il Boracay fosse stato utilizzato come base di lancio per droni, sarebbe ragionevole aspettarsi che un’ispezione approfondita condotta da forze speciali francesi riuscisse a trovare almeno qualche traccia di questa attività. L’assenza totale di prove materiali suggerisce tre possibilità: o le autorità francesi hanno agito su informazioni di intelligence errate, o hanno deliberatamente creato un caso mediatico senza fondamento, oppure le tecnologie coinvolte sono così sofisticate da non lasciare tracce rilevabili.
L’escalation politica: Tra retorica e realtà
Le reazioni politiche all’ondata di avvistamenti sono state immediate e spesso sopra le righe. Il governatore bavarese Markus Söder, alleato del cancelliere Friedrich Merz, ha assunto una posizione particolarmente dura dichiarando alla Bild:
“Gli episodi dei droni mostrano quanto alta sia la pressione. Da adesso deve valere quanto segue: abbatterli invece di aspettare. La nostra polizia deve poter abbattere subito i droni”.
Questa retorica dell’azione immediata si scontra però con una realtà operativa ben più complessa. Il governo tedesco sta effettivamente lavorando a una nuova legislazione che permetterebbe alla Bundeswehr di abbattere droni sospetti anche al di fuori delle basi militari, nelle aree civili densamente popolate. Tuttavia, come ha fatto notare il colonnello della Bundeswehr Klaus Glaab, la questione è tutt’altro che semplice:
“Sparare a bersagli aerei è di fatto proibito, poiché i proiettili o loro parti potrebbero cadere fuori dalle caserme, mettendo in pericolo vite umane o distruggendo proprietà”
Il ministro degli Interni tedesco Alexander Dobrindt ha ammesso che “la competizione tra la minaccia dei droni e la difesa contro i droni sta diventando sempre più difficile”, sottolineando la necessità di maggiori finanziamenti e ricerche a livello nazionale ed europeo.
Questa dichiarazione rivela la consapevolezza, nelle sfere governative, che le attuali capacità difensive sono drammaticamente inadeguate.
Il vertice di Copenaghen: Il “muro anti droni” che non c’è
Proprio mentre questi eventi si susseguivano, i leader dei ventisette Stati membri dell’Unione Europea si sono riuniti il primo ottobre a Copenaghen per un vertice informale dedicato alla difesa e al supporto all’Ucraina. L’atmosfera era tesa al punto che diversi paesi hanno inviato contingenti militari e sistemi anti-drone in Danimarca per proteggere l’evento stesso: Germania ha dispiegato una fregata e quaranta militari, la Svezia ha fornito sistemi radar e capacità anti-drone, la Polonia ha contribuito con soldati, e il Regno Unito ha mandato sistemi di guerra elettronica.
Al centro della discussione c’era la proposta della Commissione Europea, avanzata dalla presidente Ursula von der Leyen, di creare un cosiddetto “muro anti droni” lungo i confini orientali dell’Unione. Il commissario europeo alla Difesa, il lituano Andrius Kubilius, aveva presentato il progetto come un sistema avanzato multilayered comprendente radar, sensori acustici e dispositivi per confondere i sistemi di guida dei droni nemici.
Tuttavia, il vertice si è concluso senza alcun accordo sostanziale sul progetto. A esprimere le maggiori riserve sono state, paradossalmente, proprio Francia e Germania, due dei paesi più colpiti dagli avvistamenti.
Il presidente francese Emmanuel Macron ha sottolineato la complessità tecnica e politica dell’iniziativa, osservando con una certa dose di scetticismo:
“A volte diffido dei termini un po’ affrettati. Esistono cupole di ferro per gli europei o muri di droni? Le cose sono più sofisticate, più complesse”.
Questa divergenza tra i paesi del fronte orientale, che percepiscono una minaccia immediata, e quelli del sud, che temono di dover contribuire economicamente a una difesa che non li riguarda direttamente, rivela le profonde fratture che attraversano l’Unione. La premier danese Mette Frederiksen ha cercato di ricordare a tutti che “è una cosa che riguarda tutti, è capitata a noi, alla Polonia e può capitare ad altri”, ma la sua esortazione all’unità non sembra aver convinto tutti i partner europei.
Il contesto : Una minaccia crescente o costruita?
Per comprendere pienamente la portata di questo fenomeno, è necessario guardare ai numeri e alle tendenze di lungo periodo. Prima della guerra in Ucraina, nel 2021, la Germania registrava appena nove sorvoli sospetti di droni. Questo numero è letteralmente esploso a centosettantadue nel 2022 e a quattrocentoquarantasei nel 2023.
Si tratta di un incremento esponenziale che non può essere ignorato, ma che richiede anche un’analisi critica delle modalità di rilevamento e classificazione di questi episodi.
Non tutti gli avvistamenti sono necessariamente operazioni di intelligence straniera. Questo è dimostrato dal fatto che in Norvegia sono stati arrestati tre cittadini tedeschi e due di Singapore responsabili di aver fatto volare droni in zone proibite, casi che inizialmente erano stati attribuiti alla Russia. È evidente che esiste un problema di identificazione: hobbisti irresponsabili, operazioni commerciali non autorizzate, droni fuori controllo e vere operazioni di spionaggio vengono spesso messi nello stesso calderone, alimentando una narrativa di minaccia totale che potrebbe essere eccessiva.
Le autorità tedesche hanno notato pattern interessanti: i droni spesso volano su “rotte parallele”, suggerendo tentativi di mappatura sistematica di aree strategiche.
Cantieri navali come Thyssenkrupp a Kiel, centrali elettriche, raffinerie petrolifere che riforniscono l’aeroporto di Amburgo, ospedali universitari: gli obiettivi sono variegati ma tutti classificabili come infrastrutture critiche. Questo potrebbe indicare una strategia di ricognizione a lungo termine, volta a identificare vulnerabilità che potrebbero essere sfruttate in un eventuale conflitto futuro.
Le ipotesi della flotta ombra: Realtà o teoria del complotto?
Una delle teorie più discusse riguarda il possibile uso della “flotta ombra” russa come base mobile per operazioni con droni. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha esplicitamente accusato Mosca di utilizzare petroliere commerciali per “lanciare e controllare” droni sulle città europee. Il commissario europeo Andrius Kubilius ha rincarato la dose, affermando che “c’è una possibilità che la Russia utilizzi quelle navi della flotta ombra per lanciare segretamente droni dai container”.
Il caso del Boracay sembrava offrire la prova definitiva di questa strategia. Eppure, come abbiamo visto, l’ispezione approfondita non ha rivelato nulla. Questo non esclude necessariamente la teoria – è tecnicamente possibile che sistemi di lancio siano stati rimossi prima dell’abbordaggio o che i droni siano così piccoli da non lasciare tracce evidenti – ma certamente indebolisce l’affermazione che esistano prove concrete e incontrovertibili.
Alcuni esperti militari hanno fatto notare che tra i droni russi esistenti, solo il Molniya-2 potrebbe avere le caratteristiche necessarie per operare da una nave, ma è difficile immaginare che possa recuperare i droni secondari lanciati, impedendo così agli europei di trovare prove materiali. Questa spiegazione, per quanto plausibile dal punto di vista tecnico, ha il sapore di una razionalizzazione post-hoc: una teoria che si adatta perfettamente all’assenza di prove proprio perché è stata formulata per spiegare tale assenza.
Le incongruenze del racconto ufficiale
Diverse incongruenze emergono dall’analisi critica degli eventi.
Primo: se la Russia sta conducendo operazioni così evidenti e rischiose, perché i suoi droni non sono mai stati abbattuti o catturati? Le tecnologie anti-drone esistono, i caccia F-35 della NATO sono stati dispiegati, eppure nessun drone “russo” è mai stato recuperato intatto per l’analisi, fatta eccezione per alcuni casi in Polonia dove effettivamente droni di fabbricazione russa sono stati abbattuti.
Secondo: il timing degli incidenti solleva interrogativi.
L’ondata di avvistamenti si intensifica esattamente quando i leader europei si riuniscono a Copenaghen per discutere di aumentare le spese militari e creare il “muro anti droni”. L’episodio di Monaco avviene durante l’Oktoberfest e alla vigilia della festa della riunificazione tedesca, momenti di grande visibilità mediatica. Il sequestro del Boracay da parte della Francia si verifica proprio il giorno del vertice, in quello che alcune fonti hanno descritto come un possibile “coup d’éclat médiatique” per mostrare la forza del presidente Macron.
Terzo: le reazioni politiche sembrano talvolta precedere le evidenze. La Germania annuncia l’intenzione di abbattere i droni prima ancora di aver chiarito con certezza chi li stia operando e con quali finalità. Il “muro anti droni” viene proposto come soluzione a un problema la cui natura esatta è ancora da definire. Questa sequenza – reazione prima dell’analisi – è tipica di situazioni in cui esiste una volontà politica precostituita che cerca giustificazioni negli eventi, piuttosto che di risposte politiche che emergono organicamente dall’analisi degli eventi stessi.
Il dilemma interpretativo: Guerra ibrida o strumentalizzazione?
A questo punto dell’analisi ci troviamo di fronte a un bivio interpretativo fondamentale. Esistono essenzialmente tre scenari plausibili, non necessariamente in contraddizione tra loro:
Scenario A – La Guerra Ibrida Russa: La Russia sta effettivamente conducendo operazioni sistematiche di guerra ibrida contro l’Europa, utilizzando droni per testare le difese, raccogliere intelligence, creare ansia diffusa e dimostrare la propria capacità di colpire. La mancanza di prove concrete è dovuta alla sofisticazione delle operazioni e alla natura intrinsecamente “negabile” di questo tipo di guerra. Gli incidenti con hobbisti e la liberazione del Boracay sono eccezioni che non invalidano il pattern generale.
Scenario B – L’Amplificazione Politica: Esistono alcuni episodi genuini di attività sospetta (probabilmente russa), ma questi vengono deliberatamente amplificati e strumentalizzati da governi europei che hanno già deciso di aumentare le spese militari e hanno bisogno di giustificare questa scelta davanti a elettorati riluttanti. L’ondata di “avvistamenti” è in parte reale, in parte costruita attraverso un abbassamento delle soglie di allarme e una sovraesposizione mediatica di eventi che in passato sarebbero stati considerati normali.
Scenario C – La Dinamica Mista: La realtà è più sfumata e comprende elementi di entrambi gli scenari precedenti. La Russia sta probabilmente conducendo alcune operazioni limitate di ricognizione, come fa del resto qualsiasi grande potenza nei confronti dei propri rivali geopolitici. Contemporaneamente, i governi europei stanno sfruttando e amplificando questa attività per perseguire agende politiche nazionali e continentali che precedono la crisi dei droni. L’interazione tra azione e reazione crea una spirale dove diventa impossibile distinguere la minaccia reale dalla minaccia percepita.
La verità probabilmente risiede in questo terzo scenario. Il contesto geopolitico – la guerra in Ucraina, l’isolazionismo americano sotto Trump, le divisioni interne all’Europa – crea un terreno fertile sia per operazioni russe di guerra ibrida sia per sfruttamenti politici di tali operazioni. Non si tratta di scegliere tra “è tutto vero” e “è tutto falso”, ma di riconoscere che viviamo in un’era dove la distinzione tra realtà e percezione, tra minaccia autentica e minaccia costruita, è deliberatamente sfumata da tutti gli attori in gioco.
Le implicazioni per il futuro dell’Europa
Indipendentemente da quale interpretazione si ritenga più convincente, le implicazioni pratiche sono significative e preoccupanti. L’Europa si sta avviando verso un periodo di significativa militarizzazione, giustificata dalla narrazione della minaccia ibrida. Il “muro anti droni”, anche se non si concretizzerà nella forma inizialmente proposta, rappresenta comunque un cambiamento simbolico: l’Unione Europea, concepita come progetto di pace e integrazione economica, si trasforma progressivamente in un’entità con marcati caratteri di difesa collettiva.
Questa trasformazione non è necessariamente negativa in sé. Se la minaccia è reale, come molte evidenze suggeriscono almeno in parte, allora rafforzare le capacità difensive è una risposta razionale. Il problema sorge quando le modalità e i tempi di questo rafforzamento sembrano rispondere più a logiche politiche interne che a necessità strategiche oggettive. Il rischio è di sprecare risorse ingenti in sistemi anti-drone progettati per combattere una minaccia che potrebbe già essere evoluta quando tali sistemi saranno operativi.
C’è poi la questione dell’unità europea. Il vertice di Copenaghen ha rivelato fratture profonde: i paesi del fronte orientale vogliono protezione immediata e sono disposti a pagarla, quelli meridionali vedono il “muro di droni” come un ulteriore costo da cui traggono pochi benefici, Francia e Germania sono divise tra volontà di leadership e prudenza strategica. La Russia, se davvero sta conducendo queste operazioni, può considerare questo effetto divisivo come un successo indipendentemente dal valore dell’intelligence raccolta.
L’ondata di avvistamenti di droni che ha investito l’Europa nell’autunno del 2025 rappresenta un fenomeno complesso che sfida interpretazioni univoche. Le evidenze disponibili suggeriscono che siamo probabilmente di fronte a una combinazione di operazioni di guerra ibrida genuine, amplificazioni mediatiche, strumentalizzazioni politiche e, inevitabilmente, una quota di falsi allarmi e casi mal identificati.
Ciò che emerge con chiarezza è l’inadeguatezza delle attuali difese europee contro minacce di questo tipo. Droni commerciali modificati, operanti in sciami coordinati, rappresentano una sfida che i sistemi di difesa aerea tradizionali, progettati per intercettare aerei e missili, faticano ad affrontare. Il costo di un drone è nell’ordine delle decine di migliaia di euro, quello di un missile Patriot per abbatterlo è di milioni: un’asimmetria economica che favorisce nettamente l’attaccante.
Tuttavia, la risposta a questa minaccia reale non può essere costruita su fondamenta di prove dubbie e narrazioni allarmistiche. Il caso del petroliere Boracay è emblematico: un’operazione militare complessa, un’accusa grave, ampia copertura mediatica, per poi scoprire che non c’era nulla da trovare. Episodi come questo minano la credibilità delle istituzioni proprio quando tale credibilità è più necessaria per costruire consenso attorno a politiche di difesa costose e impegnative.
La sfida per l’Europa non è solo tecnologica o militare, ma fondamentalmente politica ed epistemologica: come costruire politiche di sicurezza efficaci in un contesto dove la distinzione tra minaccia reale e percepita è deliberatamente offuscata? Come mantenere l’unità continentale quando le percezioni di rischio variano drammaticamente da un paese all’altro? Come evitare che legittime preoccupazioni di sicurezza vengano strumentalizzate per agende politiche che poco hanno a che fare con la difesa?
Queste domande non hanno risposte facili. Ciò che è certo è che l’Europa sta entrando in una nuova fase della sua storia, dove la sicurezza aerea non è più solo una questione di jet militari e missili, ma anche di piccoli droni commerciali pilotati da operatori invisibili per scopi spesso imperscrutabili. Navigare questa nuova realtà richiederà non solo tecnologie avanzate, ma anche lucidità politica, cooperazione internazionale e, soprattutto, la capacità di distinguere tra minacce autentiche e spettri evocati per fini che poco hanno a che fare con la sicurezza collettiva.
L’autunno dei droni europei è probabilmente solo l’inizio di una stagione più lunga, dove la linea tra guerra e pace, tra difesa e provocazione, tra realtà e percezione, diventerà sempre più sfumata. Comprendere questa ambiguità, senza cadere né nel panico né nel negazionismo, è forse la sfida più grande che l’Europa deve affrontare.
L’articolo L’enigma dei droni in Europa: Tra guerra ibrida e strumentalizzazione politica proviene da Difesa Online.
L’Europa sta vivendo un’ondata senza precedenti di avvistamenti di droni non identificati che sta mettendo in crisi la sicurezza aerea e riaccendendo il dibattito sulla vulnerabilità delle infrastrutture critiche continentali. Gli eventi dell’inizio di ottobre 2025 rappresentano solo l’ultimo capitolo…
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