Operazione Horizon Shield: analisi tecnico-tattica dell’interdizione della flottiglia Global Sumud
L’operazione di interdizione marittima condotta da Israele tra il 1 e il 3 ottobre 2025 rappresenta la più vasta azione di boarding simultaneo nella storia delle operazioni navali speciali, coinvolgendo 42 imbarcazioni della flottiglia Global Sumud e culminando nella detenzione di 461 attivisti, tra cui 41 cittadini italiani. L’analisi tecnica dell’operazione rivela un sofisticato dispositivo tattico che ha evitato completamente l’uso di forza letale, segnando un’evoluzione significativa rispetto al precedente del 2010 sulla Mavi Marmara. Lo Shayetet 13, l’unità d’élite della marina israeliana, ha dimostrato capacità operative senza precedenti nel coordinare l’interdizione simultanea di decine di vettori, applicando ROE (Rules of Engagement) rigorosamente non letali e conseguendo zero vittime su entrambi i fronti.
Dettagli operativi e sequenza tattica
L’operazione, denominata “Horizon Shield” dalle fonti dell’IDF, ha avuto inizio la sera del 1 ottobre 2025 alle ore 20:30 (ora di Gaza), coincidendo strategicamente con lo Yom Kippur. La scelta temporale non è casuale: la festività più sacra dell’ebraismo ha minimizzato le pressioni politiche interne e internazionali durante la fase critica dell’operazione. Le forze israeliane hanno intercettato le imbarcazioni a circa 70 miglia nautiche dalla costa di Gaza, ben oltre la zona di blocco navale dichiarata, in acque internazionali del Mediterraneo orientale.
La fase operativa si è articolata su 38 ore consecutive, dal 1 al 3 ottobre. La sequenza tattica ha previsto l’interdizione prioritaria delle sei imbarcazioni maggiori della flottiglia, seguite dalle unità minori. L’ultima nave intercettata, la “Marinette” battente bandiera polacca, è stata abbordata il 3 ottobre alle ore 10:29 locali a 42,5 miglia nautiche da Gaza. Tutte le 42 imbarcazioni sono state rimorchiate o condotte sotto controllo militare israeliano al porto di Ashdod, dove erano stati pre-posizionati oltre 600 agenti tra polizia, funzionari dell’immigrazione e personale del servizio penitenziario israeliano.
L’approccio tattico multi-fase ha incluso: primo, l’istituzione di un perimetro esterno da parte delle corvette della marina israeliana; secondo, l’emissione di avvertimenti radio ripetuti ordinando la deviazione verso Ashdod; terzo, l’impiego di cannoni ad acqua contro i vettori che rifiutavano di deviare; quarto, l’inserimento simultaneo di team di boarding su multiple imbarcazioni. La simultaneità degli abordi ha impedito il coordinamento difensivo tra le diverse navi della flottiglia, elemento critico del successo operativo.
Identificazione dell’unità: Shayetet 13
L’unità primaria responsabile dell’operazione è stata inequivocabilmente identificata come lo Shayetet 13 (שייטת 13, “Flottiglia 13”), l’unità d’élite di commandos navali dell’IDF. Dichiarazioni ufficiali dell’IDF confermano: “Forze dello Shayetet 13, della Flotta di navi missilistiche, dell’unità di sicurezza portuale Snapir, insieme ad altre forze della Marina, sono state coinvolte nell’intercettazione della flottiglia”.
Lo Shayetet 13, con base navale ad Atlit, costituisce l’unità di ricognizione primaria (Sayeret) della marina israeliana, con una forza stimata di circa 300 operatori. La struttura interna comprende tre compagnie specializzate: l’unità Haposhtim (raid), che conduce operazioni di azione diretta e contro-terrorismo marittimo; l’unità subacquea, specializzata in attacchi sottomarini e sabotaggio; l’unità sopra-acqua, equiparabile ai Special Boat Teams statunitensi, focalizzata su attacchi di superficie e trasporto marittimo.
La catena di comando operativa vede lo Shayetet 13 rispondere direttamente al Comandante della Marina Israeliana, che a sua volta riferisce al Capo di Stato Maggiore dell’IDF. L’unità è riconosciuta internazionalmente come comparabile ai Navy SEAL statunitensi e allo Special Boat Service britannico. La selezione richiede un profilo medico 97 (il massimo nell’IDF) e un corso addestrativo di 20 mesi, con un servizio minimo obbligatorio di 4,5 anni contro i 36 mesi standard della leva israeliana.
Le capacità operative dello Shayetet 13 per operazioni di interdizione marittima includono l’inserimento via elicottero (fast-roping), l’impiego di gommoni rigidi ad alta velocità (RHIB Zodiac e Morena), l’infiltrazione subacquea da sottomarini della classe Shayetet 7, e l’utilizzo di imbarcazioni d’attacco veloce tipo Snunit. L’armamento comprende sia opzioni letali che non letali, con particolare enfasi su quest’ultime dopo le lezioni apprese dall’incidente della Mavi Marmara del 2010.
Destinazioni e struttura logistica dei trasferimenti
I 461 attivisti detenuti hanno seguito un preciso protocollo logistico di trasferimento. La prima destinazione è stata il porto di Ashdod, città costiera meridionale israeliana, dove è stato allestito un centro di processamento temporaneo. Qui, i 600 agenti pre-posizionati hanno condotto identificazione, documentazione fotografica, controlli medici e verifica delle nazionalità. Il confine tra operazione militare e procedura amministrativa è stato gestito con il trasferimento immediato alla Population and Immigration Authority e successivamente all’Israel Prison Service.
La destinazione detentiva secondaria è stata la prigione di Ketziot (Ktzi’ot), struttura di alta sicurezza nel deserto del Negev, vicino al confine egiziano. La decisione del Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir di alloggiare gli attivisti nella “sezione terroristi” ha generato controversie anche all’interno del governo israeliano. Alcuni detenuti sono stati trattenuti anche nella prigione di Saharonim. Le condizioni detentive sono state descritte dal Ministero degli Esteri italiano come “particolarmente scomode”, con testimonianze di accesso limitato ad acqua e cibo nelle prime 48 ore.
Per gli italiani liberati, il protocollo di rimpatrio ha previsto: rilascio dalle strutture detentive israeliane, trasferimento all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv o all’aeroporto di Eilat (sud di Israele), voli charter o commerciali verso l’Italia. Il 3 ottobre alle ore 10:00 locali, i quattro parlamentari italiani (Marco Croatti del M5S, Annalisa Corrado del PD, Arturo Scotto del PD, Benedetta Scuderi di Alleanza Verdi e Sinistra) sono stati i primi ad essere rilasciati, arrivando a Roma Fiumicino alle 13:40 con il volo IZ 335. Il 4 ottobre, 26 italiani sono partiti da Eilat alle 13:40 con charter Turkish Airlines, arrivando a Roma via Istanbul alle 23:30. I restanti 15 italiani, che hanno rifiutato di firmare il modulo di espulsione volontaria, hanno atteso l’espulsione giudiziale completata nei giorni successivi.
Analisi tecnica delle rules of engagement
Le ROE applicate nell’operazione Horizon Shield rappresentano un’evoluzione dottrinale rispetto agli standard israeliani precedenti. Il Ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha ricevuto assicurazioni esplicite dall’omologo israeliano Gideon Sa’ar che “non ci sarebbero state azioni violente da parte delle forze armate di Tel Aviv”. Questa garanzia diplomatica si è tradotta in un approccio tattico rigorosamente non letale, confermato dall’assenza totale di vittime.
Le ROE hanno stabilito una gerarchia di escalation del controllo: primo livello, avvertimenti radio ripetuti e ordine di deviazione verso Ashdod; secondo livello, impiego di cannoni ad acqua per intimidazione e preparazione all’abbordaggio; terzo livello, jamming delle comunicazioni per impedire coordinamento e livestreaming; quarto livello, impiego di luci abbaglianti e possibilmente flashbang acustici; quinto livello, abbordaggio fisico con tecniche di restraint non violente.
Il confronto con il precedente del 2010 è illuminante. Sulla Mavi Marmara, i commandos dello Shayeket 13 erano inizialmente equipaggiati con paintball e munizioni di gomma, escalando alla forza letale dopo aver incontrato resistenza violenta con barre di ferro e coltelli, risultando in 9 attivisti uccisi e 50 feriti, oltre a 7 commandos feriti. Le modifiche dottrinali del 2025 includono: intercettazione a distanza molto maggiore (70 vs 20-30 miglia nautiche), jamming preventivo delle comunicazioni per impedire coordinamento della resistenza, abordi simultanei su multiple imbarcazioni per frammentare la capacità difensiva, ritiro anticipato delle fregate italiane e spagnole di scorta prima della zona di interdizione.
Il quadro giuridico internazionale applicabile vede un conflitto interpretativo fondamentale. Israele invoca il Manuale di San Remo sul diritto internazionale applicabile ai conflitti armati in mare, sostenendo che il blocco navale imposto nel 2009 è legittimo come misura di auto-difesa ex articolo 51 della Carta ONU, e che l’interdizione di navi che tentano di violare il blocco è lecita anche in acque internazionali. La Commissione Palmer dell’ONU nel 2011 ha confermato la legalità del blocco navale israeliano.
Tuttavia, organismi internazionali contestano questa interpretazione: il Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU sostiene che il blocco costituisce punizione collettiva vietata dalla Quarta Convenzione di Ginevra (articolo 33), che l’impatto umanitario è sproporzionato rispetto all’obiettivo militare, e che l’interdizione a 70 miglia nautiche in acque internazionali viola la Convenzione dell’ONU sul Diritto del Mare (UNCLOS) che garantisce la libertà di navigazione.
Aspetti tattici e procedurali dell’operazione
La fase di approach ha visto le corvette israeliane stabilire un perimetro esterno attorno alla flottiglia dispersa su un’area di diversi chilometri quadrati. L’impiego di droni di sorveglianza e navi non illuminate ha permesso il monitoraggio continuo senza rivelazione prematura della posizione delle forze israeliane. L’elemento sorpresa è stato mantenuto fino all’inizio simultaneo degli abordi.
La fase di boarding ha impiegato due metodologie primarie: fast-roping da elicotteri direttamente sui ponti delle imbarcazioni maggiori, e abbordaggio laterale via scala da RHIB per le imbarcazioni minori. L’equipaggiamento dei commandos comprendeva armi da fuoco personali (pistole e fucili d’assalto) non impiegate, equipaggiamento per restraint fisico, dispositivi di comunicazione sicuri, e equipaggiamento di sicurezza marittima. La tattica di posizionamento degli attivisti – seduti a gambe incrociate con mani alzate – è standard nelle procedure di controllo di massa non violenta.
Il sequestro delle comunicazioni è stato critico: confisca immediata di telefoni cellulari, laptop e videocamere; jamming attivo dei segnali satellitari e cellulari per impedire livestreaming; molti attivisti hanno gettato i telefoni in mare prima dell’abbordaggio per proteggere dati e contatti. Questo ha limitato severamente la documentazione visiva dell’operazione, obiettivo tattico primario dopo l’impatto mediatico negativo del 2010.
La procedura di detenzione ad Ashdod ha seguito protocolli di immigrazione piuttosto che di arresto criminale: processamento attraverso 600 funzionari pre-posizionati, separazione per nazionalità, verifica documentale, controlli medici obbligatori, accesso consolare (limitato a 15 minuti per i detenuti italiani), offerta di espulsione volontaria firmando un’ammissione di tentata entrata illegale, detenzione di 72 ore per coloro che rifiutano la firma in attesa di espulsione giudiziale.
Contesto della flottiglia global sumud
La Global Sumud è stata la più vasta flottiglia civile della storia, con oltre 500 partecipanti da 44 paesi su 42-44 imbarcazioni. Organizzata dalla Freedom Flotilla Coalition (15 anni di esperienza), dal Global Movement to Gaza, e dalla Maghreb Sumud Flotilla, la missione ha avuto l’obiettivo dichiarato di rompere il blocco navale israeliano di Gaza (in vigore dal 2007) e consegnare aiuti umanitari a una popolazione sotto assedio da 18 anni.
Il carico complessivo comprendeva alimenti, acqua, medicinali, latte per neonati, pannolini e attrezzature di ricerca e soccorso. Il solo carico italiano ammontava a 45 tonnellate di aiuti. Tra i partecipanti di alto profilo figuravano Greta Thunberg, Rima Hassan (europarlamentare francese), Ada Colau (ex sindaco di Barcellona), Mandla Mandela (nipote di Nelson Mandela), e l’attrice Susan Sarandon.
Le partenze sono avvenute tra fine agosto e settembre 2025 da Genova (30 agosto, 40.000 persone per il saluto), Barcellona, Catania, Augusta, Otranto, Tunisi, porti greci, e dalla Malaysia (23 agosto). Il viaggio totale copriva circa 3.000 km attraverso il Mediterraneo, con convergenza presso la Sicilia prima di procedere verso est attraverso acque greche fino a Gaza.
La flottiglia ha subito attacchi prima dell’interdizione finale: l’8-9 settembre 2025, attacchi con droni incendiari hanno colpito la “Familia Madeira” e l’”Alma” mentre erano ormeggiate in Tunisia, con dispositivi incendiari identificati da esperti di armi come probabili granate israeliane. Il 24-25 settembre, durante la navigazione nel Mediterraneo, oltre 13 esplosioni e droni hanno attaccato più di 10 imbarcazioni. Fonti internazionali hanno riferito che gli attacchi con droni erano stati approvati dal primo ministro Benjamin Netanyahu.
Il contesto umanitario che ha motivato la flottiglia è drammatico: dichiarazione di carestia a Gaza City da parte delle autorità ONU nell’agosto 2025, 2 milioni di palestinesi sotto blocco (oltre 1 milione bambini), guerra in corso dall’ottobre 2023 con oltre 65.000 palestinesi uccisi riportati. Il blocco navale israeliano, in vigore dal 2007, viene giustificato da Israele come misura per impedire l’importazione di armi da parte di Hamas, ma criticato da organismi internazionali come punizione collettiva illegale.
La risposta italiana è stata massiccia: sciopero generale nazionale del 3 ottobre 2025 proclamato dalla CGIL (il più grande sindacato italiano) con oltre 2 milioni di partecipanti secondo stime sindacali, oltre 100 manifestazioni in 75+ città, 300.000 manifestanti solo a Roma. Migliaia di treni cancellati, voli interrotti, scuole chiuse, porti bloccati, metropolitane e autobus fermi. Il governo Meloni ha criticato la flottiglia come “gratuita, pericolosa e irresponsabile”, ma il Ministro della Difesa Guido Crosetto ha dispiegato le fregate “Virginio Fasan” e successivamente “Alpino” per monitorare la situazione e garantire eventuali operazioni di soccorso.
Valutazione operativa e implicazioni tattiche
L’operazione Horizon Shield rappresenta un case study di successo tattico secondo parametri militari: 100% di interdizione (42/42 imbarcazioni), zero vittime, coordinamento multi-unità efficace (Shayetet 13, flotta missilistica, unità Snapir), mantenimento delle ROE non letali, processamento rapido dei detenuti (primi rimpatri entro 36 ore). I fattori di successo includono preparazione intelligence approfondita, scelta temporale strategica (Yom Kippur), distanza di interdizione elevata che ha impedito qualsiasi tentativo di raggiungere il blocco, simultaneità degli abordi per frammentare la capacità difensiva.
Le sfide superate sono state significative: scala senza precedenti (44 imbarcazioni vs tipicamente 1-5), composizione internazionale complessa (44 paesi), presenza di figure ad alto profilo e parlamentari europei con immunità diplomatica, 20+ giornalisti a bordo, scorta navale italiana e spagnola presente fino a 150 miglia nautiche. La capacità di gestire questa complessità mantenendo zero vittime segna un’evoluzione dottrinale importante rispetto al 2010.
Dal punto di vista del diritto operativo militare, l’operazione solleva questioni irrisolte: la legittimità del blocco stesso resta contestata nonostante la Commissione Palmer; la proporzionalità dell’interdizione a 70 miglia nautiche in acque internazionali è dibattuta; la classificazione degli attivisti come violatori del blocco piuttosto che missione umanitaria protetta resta controversa; le condizioni detentive riportate sollevano questioni di rispetto dei diritti dei detenuti civili.
L’operazione dimostra la capacità dello Shayetet 13 di adattare tattiche e ROE alle lezioni del passato, privilegiando l’efficacia operativa minimizzando il costo politico delle vittime. Tuttavia, il prezzo strategico – condanna internazionale massiccia, espulsione di diplomatici israeliani dalla Colombia, sciopero generale in Italia con 2 milioni di partecipanti, proteste mondiali – solleva interrogativi sull’efficacia complessiva oltre il successo tattico immediato. L’incapacità di tutte le flottiglia dal 2010 di raggiungere Gaza conferma l’efficacia del blocco navale israeliano, mentre simultaneamente l’attenzione mediatica globale generata dalle flottiglia raggiunge l’obiettivo secondario di focalizzare l’attenzione sulla crisi umanitaria di Gaza.
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L’operazione di interdizione marittima condotta da Israele tra il 1 e il 3 ottobre 2025 rappresenta la più vasta azione di boarding simultaneo nella storia delle operazioni navali speciali, coinvolgendo 42 imbarcazioni della flottiglia Global Sumud e culminando nella detenzione…
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