Provaci ancora Séb
Il Re è (quasi) morto; (quasi) viva il Re! In un certo senso la situazione politica transalpina potrebbe sintetizzarsi in una battuta.
Dopo le dimissioni presentate dopo aver infranto per manifesta brevità il guinness dei record, il fedelissimo macroniano Sebastien Lecornu si è visto recapitare la mission (quasi) impossible di un nuovo mandato presidenziale da assolvere in poche ore; un mandato espressione di una volontà indirizzata ad evitare ad ogni costo l’ipotesi di dimissioni dalla più alta carica politica del Paese.
Che il presidente si assuma le proprie responsabilità è ovvio; altrettanto palmare presumere che opererà la qualunque per cercare di giungere indenne al termine del suo mandato senza correre il rischio di dover competere con un Palais Matignon in chiaro antagonismo pre-elettorale.
Del resto gli errori commessi sono stati tanti: il peccato capitale è stato principalmente quello di essersi avventurato in una disfida elettorale che ha incenerito un macronismo mai così percentualmente sgradito dalla base sociale. Comprensibile come siano poi volati stracci, politicamente parlando, quando si è trattato di spartirsi le responsabilità dell’insuccesso del Lecornu¹, affibbiate ad estremi più attenti, così come riferiscono le fonti ufficiali, alle proprie aiuole che non al più vasto cortile nazionale.
Che poi, detta così, sembra imputazione da pena capitale, ma contestualizzata in un ambito politico naturalmente controverso e litigioso, fa sorridere per manifesta ingenuità, quella stessa levità che ha fatto dichiarare la mancanza di reali pretesti per avviare normali censure parlamentari preventive ai progetti legislativi, richiamandosi sempre più spesso a precetti costituzionali d’urgenza.
Intendiamoci: le urgenze bilancistiche e finanziarie esistono, ma certo non rientrano nelle novità politiche francesi, caratterizzate dall’impellenza di manovre di rara indigeribilità, fondate su tagli miliardari di spesa e sul controllo di un debito al 113% del PIL.
Insomma, come direbbe Flaiano, una situazione grave ma non seria, vista la difficoltà nella nomina di un nuovo esecutivo e le richieste di elezioni anticipate e (niente di meno che) dimissioni di un presidente ancora attivissimo, paradossalmente, sul piano politico internazionale.
A meno che, pericolosamente, non si intenda gettarsi solo ed esclusivamente, su un governo di scopo che, post (perigliosa) approvazione della legge di bilancio, dovrebbe trovare un altro scopo per sopravvivere, a meno di non voler aprire un’altra voragine istituzionale. Ma quale?
Il problema sta nella spesa pubblica che, nel 2024, ha raggiunto il 57,1% del PIL, con le entrate fiscali, le più alte in Europa, al 51,3%; eppure la Francia non annovera né bilanci attivi dal 1974 né avanzi primari dal 2001. Parigi non soffre tanto di mancanza di entrate quanto di incapacità di spesa a cui nessun governo è riuscito a porre rimedio.
Insomma, per Lecornu è indispensabile trovare un compromesso su pensioni e bilancio, contemperando le richieste della sinistra, le resistenze della destra, le incertezze dei republicains che hanno silurato sei ministri perché disobbedienti alla disciplina di partito, la spada di Damocle dei socialisti, liberi di votare alla bisogna.
Non c’è dubbio che i giorni di passione politica abbiano testimoniato della fragilità estrema presidenziale, messa in ulteriore difficoltà dal fattore tempo; se da un lato il ricorso a provvedimenti straordinari consentirebbe di proseguire il confronto oltre il 31 dicembre, dall’altro azzopperebbe gli investimenti pubblici.
Se è vero che Lecornu si dichiara senza agenda politica o ambizioni particolari, è però altrettanto vero che le opposizioni hanno pronto un voto di sfiducia che annullerebbe qualsiasi proposta avanzata. Quel che si desume, è che i nuovi ministri hanno quasi tutti una cosa in comune: la vicinanza a Macron, così capace di continuare ad esercitare una rimarchevole influenza.
Dopo un anno, continua dunque ad imperversare uno stato di crisi coinvolgente la Quinta Repubblica intesa come sistema politico, giunta ormai al suo termine dopo la fase della destra gollista, l’alternanza destra-sinistra, l’arrivo fuori schema macronismo, caratterizzato da agevole contatto neoliberista con le élite amministrativo-finanziarie del Paese.
Eccoci dunque ad una sorta di ossimoro istituzionale che ha visto un monarca repubblicano impugnare lo scettro del potere.
I movimenti sociali hanno però mutato la mappa del potere, tanto da cominciare a delineare parlamenti frammentati ed a generare situazioni ingestibili come quelle determinate dallo scioglimento dell’Assemblea nazionale del 2024 e dalla mancanza di precetti costituzionali utili a dirimere la situazione.
I poli francesi, ciascuno non in grado di ottenere una maggioranza qualificata ed in assenza di rappresentanza proporzionale, sono tre: la destra radicale del Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen; il campo presidenziale neoliberista; la sinistra del sincretismo difensivo dello stato sociale francese e della transizione ecologica.
Inevitabile lo stallo. Il sentimento politico dominante è quello di una marcata impotenza, ancor più pericolosa alla luce delle contingenze internazionali.
Una soluzione potenzialmente destabilizzante punta ad unire il Paese escludendo ogni minoranza, a meno che non si giunga a definire una Sesta Repubblica, caratterizzata dal contenimento dei poteri presidenziali, con un’assemblea eletta in via proporzionale, con più ampie risorse e con più ficcanti possibilità di rappresentanza diretta, con tutto ciò che, nell’Esagono, questo può comportare.
Al momento, la crisi politica francese delinea una debolezza strategica europea, colpita nella liaison diplomatica e difensiva tra Parigi e Berlino.
Sul piano internazionale, l’instabilità francese minerebbe l’architettura politica e la validità dei rapporti bilaterali stretti con i Paesi dell’UE, in un momento in cui sarebbero necessari maggiori investimenti in deterrenza e capacità di risposta che, ora, ricadrebbero sulla Germania, in un contesto che ha sempre visto i franco-tedeschi mai in solitaria, e che non può certo trascurare la force de frappe ed il seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Se Parigi non riuscirà a risolvere il confronto interno, l’Europa rischia di frammentarsi, dimostrando così il principio per cui qualsiasi proiezione di potenza all’estero non può prescindere da stabilità e coesione interne.
Intanto, l’economia continua a soffrire, visto che i mercati rimangono fortemente dubbiosi circa la capacità francese di tagliare il bilancio di svariati miliardi necessari per uscire dalla crisi debitoria: il ricorso al FMI non rientra più nelle ipotesi.
Insomma, nel momento del bisogno, Parigi non batte colpi, ed il problema sul tavolo non è tanto chi possa arrivare in futuro, ma quale sia la posta sul tavolo.
Il ritorno di Lecornu non dimentica dunque l’incombente riforma delle pensioni, ora prudentemente sospesa, nonché la separazione tra Matignon ed Eliseo, in modo che il prossimo primo ministro non possa mettere in ombra il presidente, spesso semplicisticamente stigmatizzato come arrogante; una caratterizzazione pesante, che restituisce l’immagine di un sovrano sempre più solo ed unicamente in grado di aumentare l’ingovernabilità.
Oltre a precipitare la Francia nel caos, l’ennesima implosione del governo ha suscitato ovvie reazioni anche dai mercati finanziari.
Estremizziamo 1.
Mentre Macron si arrampica politicamente su levigatissimi specchi per evitare lo scioglimento del Parlamento, c’è chi vede la Francia stretta in un garbuglio politico-istituzionale inconciliabile da cui poter uscire solo, provocatoriamente, abbandonando l’UE o sancendo il primato delle leggi nazionali su quelle comunitarie, al fine di recuperare indipendenza decisionale, anche alla luce del fatto che il 54% del debito pubblico è nei portafogli di non residenti.
È ovvio che si tratti di una boutade, visto che una decisione del genere porterebbe al collasso degli architravi comunitari, poiché a seguire potrebbero sganciarsi altri Paesi. In ogni caso, si reitera uno dei cardini del problema: il presidente. In quanto ritenuto causa del problema insieme all’ex ministro Le Maire, non può certo assurgere al ruolo di solutore.
Estremizziamo 2.
L’unica altra possibilità consisterebbe, con un indebolimento del semipresidenzialismo da Quarta Repubblica, in un governo di coalizione con il Rassemblement National, che garantirebbe la maggioranza, ipotesi considerata anche da Barclays, eco dei mercati finanziari.
Tanto per rimanere liricamente in Francia, alla fine Parigi, più che una Messa, varrebbe bene una spinosissima alleanza.
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