La corsa all’oro: tra crisi, IA e recessione in arrivo
L’economia attrae; non è di facile presa, ma nemmeno impossibile. Il sentiment più diffuso, quando si accende la tv e se ne parla, è quello della fregatura incombente. Non vi chiederò di stare sereni (si sa com’è andata a finire), ma di drizzare le antenne per una sana e consapevole libidine da presa di coscienza iniziale verso un qualcosa che, volente o nolente, entra nelle vite e nelle tasche di tutti. Parleremo di padiglioni di ricchezza, di voragini di rischi, di abissi di paure. Pronti? Non vi mollo.
Da che mondo è mondo, l’oro è un simbolo di potere, di stabilità, un evergreen intriso di un fascino egemonico intramontabile, di alberi di zecchini contornati di gatti, volpi e burattini. Quest’anno l’oro ha sfiorato livelli raramente, se non mai, toccati; ogni volta che esplode una turbolenza, ecco che il faro del porto di Gold Harbour guida gli investitori al sicuro. Il dubbio è comprendere se si sia davvero al culmine dell’ascesa o meno prima dell’arrivo dei consolidamenti ciclici.
L’oro non si stampa, non si svaluta, conserva intatto il suo valore in ogni momento, data la sua intrinseca esiguità, che lo fa apprezzare a fronte di qualsiasi valuta fiat1; guidate da Cina e Russia, le banche centrali hanno forzato gli acquisti di oro, intendendo così ridurre la dipendenza dal dollaro, valuta sotto stress da indebitamento record e shutdown, rafforzando le riserve strategiche necessarie a sostenere spese e prezzi; un processo interpretabile come atto di sfiducia nei confronti di Washington, visto che la spesa per gli interessi sul debito interno ha raggiunto 950 miliardi di dollari annui.
Rame e platino sono legati all’andamento economico e industriale, con il rame soggetto a crolli in fase recessiva; l’argento generalmente si è trovato in posizione intermedia, ma ora si sta proiettando ad occupare spazi nei forzieri che contano. Le performance del silver dream si affiancano a quelle dell’oro, determinate da una tempesta perfetta, tra macroeconomia in crisi e difficoltà tecniche; a Londra il mercato è andato in crisi sia per effetto dei timori dei dazi americani sull’import che hanno indotto ad un rush per le spedizioni d’argento oltreoceano, sia perché l’argento stesso è bloccato quale collaterale per fondi negoziati in borsa.
L’argento riveste dunque una doppia entità: bene rifugio e metallo industriale basilare. I metalli pregiati sono come i brillantini delle anteprime dei cinema di una volta: per sempre. Come è per sempre l’incertezza, vedi Francia, Giappone, shutdown americano, imprevedibilità trumpiane e la paura di nuove bolle speculative.
Secondo i dati di Bank of America, a fronte di contesti economicamente vulnerabili, le liquidità si stanno spostando dai mercati azionari e obbligazionari per approdare a rifugi aurei e sicuri, malgrado l’oro raggiunga solo il 4% dei patrimoni privati, conservando ampi margini di crescita, con prospettive di lungo termine positive, dati la domanda delle banche, il rallentamento economico americano, la scalata cinese al primato della custodia delle risorse auree, utile alla fondazione di un sistema economico indipendente e parallelo2; del resto, come diceva A. Bloch, chi ha l’oro fa le regole.
Il primo effetto geopolitico è quello del tentativo di de-dollarizzazione globale, il secondo è quello di ridurre i rischi dovuti alle sanzioni, visto che l’oro non è emesso come valuta né è custodito, come un titolo di Stato, da alcun sistema finanziario.
Non esiste un’alternativa valida all’oro quale garanzia dai rischi valutari e geopolitici; anche le criptovalute, malgrado l’appeal speculativo, non sono riuscite a scalzare stabilità e riconoscimenti al pari dell’oro.
L’oro, detenuto dalle banche centrali, continuerà dunque a conservare un prezzo sostenuto a tutela della solidità degli stati. La corsa aurea riflette la realtà di un mondo che passa attraverso geopolitica, economia, perdita di fiducia nelle istituzioni valutarie; ecco che il lingotto giallo si conferma asset strategico per la protezione e la diversificazione dei patrimoni.
L’unico vero rischio sta nell’investitore medio, che possa cioè perdere l’opportunità di accumulare un bene pari ad un’assicurazione per il futuro. Insomma, le ragioni ci sono, non esiste nulla di trascendente, a cominciare dall’altalenante politica monetaria americana, dai cigni neri, dalle vendite al consumatore finale che, se diventano più intense, portano a bolle fatte di rialzi. Insomma, servirebbe un controllo razionale capace di agire sugli squilibri mentre l’oro vola, grazie anche al ribasso dei tassi di interesse. Mentre fino al ’90 le banche avevano deciso di rivedere le consistenze delle riserve auree, dalla crisi del 2008-09 e fino alla guerra ucraina, c’è stata un’inversione di tendenza che ha sposato in pieno la fine della globalizzazione per abbracciare una regionalizzazione basata sulla competizione.
Altro elemento cruciale sono le terre rare, elemento che impone la necessità di considerare l’opportunità di diversificare le riserve per prepararsi ad un futuro vincolato al possesso delle risorse naturali. Non tutti gli eventi producono gli stessi impatti: alcuni sono di breve respiro, altri hanno effetti a lungo termine incidendo proprio su oro e argento; il conflitto ucraino ha determinato il crollo della fiducia nel sistema e ha innescato la corsa ai beni rifugio, aumentando la volatilità del denaro globale. Stessa cosa per i raid israeliani sull’Iran, possibile preludio alla chiusura di Hormuz. L’oro rimane la riserva di valore; l’argento il bene più fragile di fronte ai rapidi aumenti dei prezzi ma in via di riscoperta per domanda industriale, scorte in calo, capacità di bilanciamento degli asset vista la sua reattività di fronte agli shock.
I BRICS non a caso, in cerca di nuovi ordini globali, stanno aumentando le loro riserve auree influenzando i portafogli di investimento internazionali. Insomma, oro e argento sono il mercurio del termometro del timore globale offrendo protezione contro la perdita di potere d’acquisto durante i periodi di forte inflazione.
Occhio alle criptovalute; le differenze tra queste e l’oro, in particolare il Bitcoin, sono notevoli. L’oro è per il delibatore di scotch d’annata, in cerca di beni rifugio sicuri anche se con rendimenti relativamente più moderati; le criptovalute sono per l’appassionato di drink meno nobili con un’alta tolleranza al rischio e che predilige storie più brevi ad alta volatilità. Se l’obiettivo è preservare il capitale e proteggersi dalle crisi, meglio investire in oro.
Ci attende ora l’ultimo choke point, il passaggio tra lo Scilla di una possibile prossima bolla speculativa, ed il Cariddi di un’ipotizzabile recessione. Ultime analisi svelano che la bolla creata dall’IA, dovuta a troppi investimenti e ad una crescita non sostenibile, potrebbe essere più grande sia di quella della crisi dei mutui subprime del 2008, sia di quella dot-com del 2000.
Malgrado l’IA resti una tecnologia potenzialmente rivoluzionaria, aver oltrepassato i limiti della sostenibilità economica sta alimentando rischi concreti, visto che è venuto meno l’equilibrio tra tassi d’interesse e crescita del PIL e che l’IA ha evidenziato una notevole volatilità, agevolata da scarsa regolamentazione e da troppi prestiti ad alto rischio. A questo si aggiungono i capitali che si stanno convogliando verso gli USA e che alterano le prospettive economiche globali. Ci sarebbe poi da fare attenzione al credito privato, ovvero al sistema bancario ombra, o parallelo, se preferite che, controllando circa la metà delle attività finanziarie globali, eroga prestiti ad imprese con bilanci vulnerabili aggirando i controlli dei canali istituzionali, palesando crescite, secondo Morgan Stanley, di 1.000 miliardi solo negli ultimi cinque anni. Peccato manchino regolamentazioni adeguate, trasparenza, qualità del credito; valga l’esempio di First Brands Group, che ha presentato istanza di fallimento con un buco di circa 50 miliardi di dollari; peccato che le falle di questi intermediari si riversino sul sistema bancario principale anche attraverso le criptovalute.
La liaison tra bolla speculativa e oro si manifesta proprio nella natura dell’asset come bene rifugio e come protezione contro l’instabilità finanziaria: non c’è investitore che, percepito il sia pur minimo cambiamento del vento, non abbia dirottato il capitale verso porti più sicuri. Se anche la bolla dell’IA non fosse così prossima a scoppiare, sarebbe comunque da valutare la sua posizione a cavallo tra speculazione ed innovazione.
Ed ora l’altro mostro: la recessione. Attualmente l’Occidente non è tecnicamente in recessione, anche se si stanno registrando forti rallentamenti, crescite deboli, stagnazioni. L’inflazione e gli alti tassi di interesse potrebbero preludere ad un momento recessivo. Il condizionale, come visto, è d’obbligo: troppe variabili da affrontare a fronte di una revisione strategica globale, con l’oro quale asset geopolitico, legato alle politiche monetarie ed all’erosione dell’egemonia della divisa americana.
Per chiudere, solo un paio di warning: mai incrociare i flussi; mai disgiungere la finanza da politica e strategia; diversificare il portafoglio; non è tutto oro quel che luccica!
Ci sono anche i diamanti! Questa però non è mia, ma di un finanziere sorprendente, Scrooge McDuck. Ne sentirete parlare.
1 Moneta a corso legale non ancorata al prezzo di materia prima; Nel 1971, il presidente Nixon decise di sganciare il valore del dollaro dalla copertura aurea creando un nuovo sistema basato su una struttura a cambi flessibili. Da quel momento, è nata la moneta fiat: metodo di pagamento privo di valore intrinseco. La moneta fiat è a corso legale e il suo valore è stabilito dal governo emittente, non da un bene fisico. Fiat deriva dal latino e sta per che sia fatto, indicando un ordine governativo.
2 Già dal 2023 i BRICS hanno annunciato la creazione di una valuta per il commercio internazionale, il cui valore sarà ancorato per il 60% a un paniere di valute e per il 40% all’oro. Attenzione però: l’oro è quotato in dollari, quindi il suo prezzo in altre valute è influenzato dal tasso di cambio
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