Cina: il Plenum del potere tra purghe militari, crisi economica e quarto mandato di Xi
Dopo le parate, in Cina è continuata la politica pura e semplice, quella dei giochi d’ombra e della gestione del potere che conta: è arrivato il vento del Plenum, la convocazione del Comitato centrale che annovera i massimi funzionari del Partito, nominalmente la massima autorità incaricata di selezionare i membri del Politburo, del suo comitato permanente e della Commissione Militare Centrale.
Al di là degli aspetti meramente rappresentativi e amministrativi, il più vieto ma funzionale realismo contempla l’intervento dei Richelieu più anziani quali effettivi creatori della composizione del Comitato Centrale grazie a negoziati da quinta di palcoscenico.
L’ultimo Plenum è giunto con l’intento di concentrarsi sugli aspetti di governance, sul lavoro, sull’economia e sulla stesura del 15° Piano Quinquennale. Uno dei primi aspetti politici si concentra sulla diminuzione dell’importanza dei Plenum ad opera di Xi che, secondo un sempreverde divide et impera per cui il potere logora chi non lo ha, ha parcellizzato il dominio politico grazie ad altre conferenze utili a stabilire le priorità della leadership.
Ad ogni modo, questo Plenum ha segnato le basi utili a stabilire il quarto mandato del 2027, secondo una continuità politica che conferma l’attuale visione industriale necessaria sia a sostenere le conseguenze della fallimentare bolla immobiliare sia a rendere gestibile un ricambio traumatico ma sempre più frequente tra i ranghi più elevati del Partito, constatabile dalle assenze tra le fila che contano.
Non c’è dubbio che le dinamiche impresse al management abbiano giovato a Xi, che ha così sostenuto il suo controllo mantenendo i subordinati su una perenne graticola; il Plenum assume dunque molteplici aspetti, sia perché è giunto prima del vertice Asean e degli incontri con Washington tanto per chiarire intenti e proiezioni, sia assurgendo a test assoluto di lealtà interna.
Che qualche granello di sabbia nell’ingranaggio ci sia è testimoniato dall’intervento di 168 membri su 205, il più alto tasso di assenteismo dalla Rivoluzione Culturale ad oggi e privo di qualsiasi spiegazione apparente, malgrado la necessità di programmare il 2035, l’anno dell’obiettivo del raddoppio del pil pro capite, legato alle necessità di una crescita vincolata alla qualità ed alla sicurezza, con una riduzione dell’impatto dei dazi, delle dipendenze da export e con un rafforzamento del mercato interno avido di capitali, riformando il settore immobiliare ed il pericoloso sistema dei fondi fiduciari.
Ma non è un controsenso la diminuzione dell’export con l’incentivazione del mercato interno? Beh, Leo Longanesi diceva che il contrario di quel che penso mi seduce come un mondo favoloso; quindi? Bella la boiserie, bella la cassapanca, ma sono parole: le vendite al dettaglio tirano pochissimo, i consumi non decollano e se la domanda stagna, l’economia rimane al palo, così come di riforme fiscali non c’è traccia e la demografia si spinge sempre più verso un inverno freddissimo.
Manca di fatto il via libera all’erogazione di denaro direttamente al popolo dei consumatori, per cui attenzione a parlare di investimenti e consumi invece che di provvedimenti idonei all’aumento dei consumi stessi; in assenza di reali impegni fiscali, si rimane nel mondo delle chiacchiere.
Intanto c’è stata una presa d’atto dell’importanza del capitale privato, tanto che è arrivato spazio per un riabilitato (e molto provato) Jack Ma di Alibaba; occhio, non si tratta di un tana libera tutti, ma comunque di un nuovo inizio (forse) sospinto da nuove forze produttive, prive di briglie di partito e di cui attendiamo di vedere la fine (nel senso buono).
Del resto, se si cerca un’autosufficienza priva di vincoli yankee, questa è l’unica strada, un qualcosa tipo bere o affogare. Mettiamola così: occorre un derisking da Washington ma non un decoupling che azzopperebbe le catene del valore.
Ma la politica si fa con le persone e le purghe, tornate d’attualità, hanno falcidiato altissimi gradi accusati di corruttela. Mentre il PLA marciava a Tienanmen riscrivendo a piacimento di Zhongnanhai la storia, i suoi vertici venivano ingloriosamente spogliati di gradi e nastrini, una situazione da stelle cadenti acuita dal fatto che il numero tre dell’esercito, tra i 24 membri del Politburo, ed il capo del Dipartimento politico, sono/erano fedelissimi di Xi.
Secondo il Partito si tratta della dimostrazione che la legge è al di sopra di tutti, ma molti vi scorgono solo lotte di potere tra fazioni della stessa leadership, senza contare che il Dipartimento della propaganda ha diffuso il Documento n. 9 in cui reclamava la debellatio del costituzionalismo occidentale quale tranello per far crollare un Partito comunista chiamato a risolvere contraddizioni: socialismo ed economia di mercato, marxismo e confucianesimo, mercato e centralità del potere.
Considerazioni spicciole: esiste un rischio che le cadute trascinino giù gli ex mentori? E poi: l’esercito può essere considerato ancora fedele e funzionale agli obiettivi politici? Discreto problema questo, visto che negli ultimi due anni sono stati rimossi due ministri della difesa, i vertici delle forze missilistiche, il responsabile dello sviluppo aerospaziale.
Ma ecco che da Timoniere abituato alle tempeste, oltre a rendere note le destituzioni solo ora con un utilissimo coup de théâtre ricco di messaggi, Xi potrebbe ben gestire i vuoti che lui stesso ha creato, imponendo altri sacrificabili fedelissimi; il bello dell’essere re è anche questo.
È controllo, è disciplina, è il Partito che si impone per i prossimi 5 anni, è uno stato di diritto sottomesso al Partito, per cui solo successivamente arrivano costituzione, diritti, giustizia, sicurezza nazionale.
Neanche a farlo di proposito, nello stesso giorno dell’inaugurazione del Plenum, l’Ufficio statistico ha pubblicato i dati sul PIL, caratterizzati da un’accelerazione di 0,2 e 0,4% rispetto ai tassi dello stesso periodo del 2024, che non sembrano però in linea con i dati immediatamente precedenti. Se reale e veritiero, sarebbe un segnale di tenacia strategica e strutturale.
Torniamo per un momento ai generali, ipotizzando che la loro caduta possa mettere in difficoltà Xi, attento però all’esecuzione delle contromosse più opportune, anche perché, volente o nolente, l’Esercito occorre, tanto più che i reprobi, tra cui diversi zampolit, sono già stati dissociati e scaricati, ed al loro posto è già stato nominato Zhang Shengmin, il capo del servizio anticorruzione nonché attuale grande inquisitore.
La corruzione è un’anomalia da svuotare di ogni significato politico, mancando il quale Xi può dirsi in salvo e proiettato verso l’impegno coreano con gli USA, con i quali, piaccia o meno, in qualche modo, bisogna cooperare.
Il rischio è che la crescita economica possa rallentare al netto di guerre tariffarie, tecnologia robotica e veicoli elettrici, mettendo a rischio la tenuta del sistema, preservabile solo con il rafforzamento di autorità e disciplina quale strumento di potere.
Il piano quinquennale, da formalizzare a marzo, consolida il controllo politico più che rilanciare la domanda, è un programma ideologico e poi economico, tanto più che l’epurazione militare e di maggiorenti di partito vuole ribadire il vincolo tra disciplina politica ed economia.
Il problema è che non è garantito nulla: né risposte facili né tanto meno un lieto fine, specie se si considera l’imprevedibilità della variabile trumpiana, forte della decisione di interrompere i negoziati commerciali canadesi per la presenza dell’ex presidente Reagan in una pubblicità anti dazi.
Un segnale trasversale a Xi? Forse, benché anche gli USA debbano giocare con estrema attenzione, visto che all’annunciato aumento daziario americano hanno fatto seguito le restrizioni cinesi all’accesso alle terre rare.
Cui prodest, in previsione della prossima scadenza della tregua commerciale? È inevitabile, il tit for tat dei negoziati è appena all’inizio e bisognerà adattarsi a molteplici do ut des.
Assertività cinese e condizioni economiche interne americane non possono essere trascurate; escluso un accordo duraturo, si può solo immaginare un equilibrio conveniente ed auspicabilmente lungo, anche perché, asimmetricamente, gli USA intendono vendere materie prime agricole mentre la Cina vuole l’accesso ad una tecnologia che gli americani non intendono cedere.
Il nuovo piano cinese spinge sull’IA, sui materiali innovativi, sulle future industries, che richiedono un’autonomia, essa stessa necessità strategica, tuttavia condizionata da numerose vulnerabilità come deflazione, disoccupazione giovanile, scarsa fiducia delle famiglie, puri e semplici obiettivi numerici per le quote di consumi sul Pil, anche in considerazione del fatto che il sud est asiatico, pur non attendendosi particolari riduzioni tariffarie americane, mira a stabilizzare le relazioni con Washington, necessaria per preservare l’autonomia strategica senza trascurare l’avvento del probabile nuovo corso della politica giapponese.
Insomma, il Plenum ha ricondotto nell’alveo del Partito le FA, ha rammentato agli alti dignitari il valore della disciplina, ha inteso aprire la strada alla modernizzazione dello strumento militare proiettato a compiere il suo centenario, ha guardato ad uno sviluppo economico-sociale in sofferenza.
È proprio qui che la debacle dei vertici militari più incide: si potrebbe dire, rubando al marketing, che la potenza poco può senza controllo, domandandosi come ciò possa avvenire laddove il Partito viene pervasivamente prima di uno Stato comparsa e come sia stato possibile giungere a comporre un mosaico così esteso e complesso il cui disegno partiva proprio dal 31° gruppo d’armata del Fujian, dove Xi ha tratto tanto del suo successo.
Il problema, allora, è riempire le vacanze sia nel Comitato Centrale che nella Commissione Militare, preservando disciplina e lealtà assolute ma senza alterare gli equilibri che lo hanno condotto a competere vincendo, per presenzialismo ed iconografia, con Mao.
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