L’orgoglio motoristico italiano: ammiraglie di Stato anni ‘70-’80
Le ammiraglie italiane degli anni ’70 e ’80 rappresentano un’epoca d’oro dell’ingegneria e del design
nazionale per eleganza, cura artigianale e una meccanica raffinata destinate al pubblico benestante e
agli apparati istituzionali. Fino a quegli anni, infatti, le auto di Stato erano quasi esclusivamente italiane,
una scelta non imposta da alcuna legge, piuttosto per una prassi patriottica e politica che privilegiava le
produzioni nazionali. Le circolari del Tesoro e della Difesa raccomandavano di acquistare veicoli “di
produzione nazionale”, in linea con il principio del buy national diffuso in tutta Europa.
La svolta arrivò solo alla fine degli anni Ottanta, con l’attuazione delle direttive CEE che aprirono gli appalti pubblici alla concorrenza estera.
Le ammiraglie di Stato
Negli anni Settanta e Ottanta, l’Italia della rappresentanza – dal governo ai vertici militari – viaggiava su
lussuose berline di casa Fiat, Alfa Romeo e Lancia.
Le più diffuse furono la Fiat 130 e la 132, l’Alfa Romeo Alfetta e la più rara Alfa 6, raffinata ma poco
fortunata sul mercato. A queste si aggiungevano le eleganti Lancia 2000 e Gamma. Tutte con motori compresi tra 1.8 e 3.2 litri, trazione posteriore (tranne le Lancia) e pesi tra 1.200 e 1.700
kg nelle versioni civili.
Le blindature dell’epoca seguivano tre livelli di protezione non ancora standardizzati: leggera, contro armi corte (7,65 mm o 9 mm Parabellum); media, contro armi lunghe come carabine o 7,62×39 mm; e pesante, in grado di offrire una resistenza parziale alle armi automatiche e alla frammentazione di granate.
In base ai dati, le Fiat 130 e Alfetta blindate, utilizzate da ministri, alti ufficiali e scorte del Ministero della Difesa, erano realizzazioni speciali commissionate a carrozzieri come Pavesi, Coriasco e, secondo alcune fonti, Coggiola. In base ai dati, le Fiat 130 e le Alfetta blindate, utilizzate da ministri, alti ufficiali e scorte del Ministero della Difesa, erano realizzazioni speciali commissionate a carrozzieri come Pavesi, Coriasco e, secondo alcune fonti, Coggiola.
Degna di nota anche la Maserati Quattroporte III Royale (utilizzata dal presidente Pertini), spinta dal V8 di 4.930 cm3, un equilibrio riuscito tra sportività e grande lusso nella migliore tradizione modenese, con un peso, però, superiore alle due tonnellate. La berlina richiedeva grande attenzione al sistema frenante, che nella versione non protetta lavorava già ai limiti della sua efficacia. Il cambio automatico a tre rapporti Chrysler Torqueflite privilegiava la fluidità alla prontezza nella guida sportiva.

Cambio manuale o automatico: la guida operativa
A differenza di oggi, queste vetture erano quasi tutte dotate di cambio manuale, più pratico in caso di
guida tecnico-operativa e generalmente più robusto. Il cambio automatico, all’epoca, era ancora poco
diffuso e poco conosciuto.
I cambi automatici dell’epoca, a tre marce idrauliche, erano “analogici”, cioè un regolatore centrifugo indirizzava – estendendosi o contraendosi – la pressione dell’olio alle singole marce, permettendo così le cambiate. Nella pratica, ciò poteva creare seri problemi di risposta, ad esempio, viaggiando in seconda e sollevando il piede prima di una curva, il cambio poteva inserire la terza, riducendo coppia e aderenza. Per mantenere la spinta e la trazione, la scelta più efficace era bloccare la leva in posizione “2”, mantenendo alto il regime di giri seppur a scapito dei consumi. Inoltre mancava la frizione di lock-up, per cui a ogni rilascio del gas, il motore scendeva di giri e l’unica parvenza di resistenza era generata dall’olio. Insomma, serviva attaccarsi ai freni.
Una seconda marcia, su un automatico a tre rapporti di quel periodo, poteva comunque superare senza difficoltà i 100 km/h.
Consumi e prestazioni reali
Le versioni standard della Fiat 132 2000 i.e. percorrevano circa 8–9 km/l a velocità costante, mentre la
130 V6 scendeva a 6–7 km/l.
Nelle varianti blindate, il maggior peso e il cambio automatico – scelto dai clienti più facoltosi anche per immagine – facevano crescere i consumi del 25–35%, portando la percorrenza reale a 4–5 km/l. Dati confermati dai registri del Servizio Autonomo del Ministero dell’Interno e dai test di Quattroruote (1975–1980). Anche le prestazioni ne risentivano, e la velocità massima passava da circa 180 km/h a 150–160 km/h, con spazi d’arresto più lunghi fino al 20%. Le versioni con cambio manuale, invece, soffrivano di maggiore usura di freni e frizione in particolare nelle partenze, mentre sospensioni e cerniere, pur rinforzate, risentivano dei carichi superiori. Si scaldavano inevitabilmente un pò di più, e anche gli impianti di aria condizionata andavano seguiti nella manutenzione.

La Fiat 132, non blindata per via del suo assetto e del baricentro, aveva una guidabilità eccezionale e, nella versione manuale, scalare e sfruttare un pò di bloccaggio di coppia sul posteriore, agevolava l’inserimento in curva, caratteristica simile alle Alfa Romeo Giulietta (più corte in coda rispetto l’Alfetta) anni ‘80; fenomenali.
Materiali e tecnologia di protezione
Negli anni ’70 la classificazione balistica non seguiva ancora gli standard NATO STANAG.
Le vetture impiegavano acciai balistici al nichel-cromo-molibdeno, simili agli attuali AR500 (acciai ad altissima durezza), ma più spessi: 6–8 mm sulle portiere e 10–12 mm sui pannelli frontali, abbinati a vetri multistrato da 22–30 mm. Questo comportava un forte aumento di peso, che richiedeva il rinforzo di cerniere, sospensioni e pneumatici.
La Giulia “semiblindata”
Tra le icone storiche figura anche la Giulia Super semiblindata, rara – e, diciamolo, un po’ bruttina – ma facilmente riconoscibile per il parabrezza non più curvilineo, suddiviso in tre sezioni piane. I cristalli blindati, infatti, sono “allergici alle curvature”. Secondo alcune fonti, era dotata di una paratia antiproiettile alloggiata all’interno del cofano motore, segno di una (minima) evoluzione tecnica applicata anche alle berline di medio segmento, adattate ai canoni protettivi dell’epoca.
Il confronto con la tecnologia odierna
Oggi piattaforme come il VTLM “Lince” superano livelli di protezione STANAG 4569 di livello 2-3, garantendo la resistenza a proiettili calibro 7,62×39 mm e alla detonazione di mine anticarro fino a 6 kg di esplosivo. Si tratta di standard NATO che definiscono i parametri di sopravvivenza dei veicoli militari leggeri, in base alla loro capacità di protezione balistica e anti-mina. Eppure, grazie a materiali avanzati – acciai microlegati, compositi ceramici e kevlar – il peso resta comparabile a quello delle berline blindate di quarant’anni fa. Ciò che negli anni Settanta richiedeva 8–10 mm di acciaio oggi si ottiene con 4–5 mm di materiale composito, dimezzando i pesi e migliorando dinamica e sicurezza passiva. Sistemi di sospensione evoluti, freni potenziati e pneumatici run-flat hanno poi eliminato molti dei limiti di guidabilità che caratterizzavano le vetture protette di allora.
L’ingegno italiano che fu: un’eredità da ricordare
Da allora la tecnologia ha trasformato profondamente la protezione balistica e la gestione dell’energia d’impatto, ma quelle vetture restano un simbolo dell’ingegno meccanico e dell’orgoglio industriale italiano. Auto costruite in pochi esemplari ma la vera svolta, sia in termini di prestazioni stradali sia di allestimenti blindati, arriva negli anni ’90 con segmenti come la Lancia Thema Turbo 16 Valvole.

In parallelo, la classificazione balistica B1–B7 trova le sue radici in Germania nei primi anni ’90 (norma DIN
52290-2) e viene successivamente armonizzata a livello europeo con la EN 1063. Certo, la serie blindata della Thema rappresentava un limite alla sua proverbiale agilità, e la fatica meccanica si faceva sentire già a chilometraggi relativamente contenuti, un particolare riguardante anche la sorella Fiat Croma blindata, che soffriva maggiormente dll’aumento di peso e delle sollecitazioni del telaio. Le versioni non protette, invece, restano tra le berline più equilibrate e affidabili dell’epoca, capaci di competere con le migliori concorrenti europee per comfort, tenuta e prestazioni. Chi l’ha guidata e ha ammirato quel ruggito rotondo e progressivo del motore sa bene di cosa parlo. Una vettura intuitiva, con una tenuta di strada eccellente e una sorprendente capacità di gestire il beccheggio a proprio favore sui grandi tornanti, anche a velocità sostenute. Occhio, però, a esagerare con il freno… perché poi si gira.
Anche le Alfa Romeo 155 1.8 e 2.0 vantavano una guidabilità sopra la media, ma qui rischiamo di sforare dal concetto di berlina di alta gamma per accendere l’adrenalina dei cuori sportivi.
Foto: OpenAI / Maserati / Fiat
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