Fremm all’Egitto: la vera posta in gioco
Nonostante il via libera del governo alla fornitura all’Egitto delle due ultime fregate Fremm (Bianchi e Schergat, nona e decima unità di quel tipo) realizzate per la Marina Militare continuano le polemiche alimentate da più parti che puntano a far fallire questa importante opportunità economica e geopolitica per l’Italia.
Da un lato vi sono partiti e correnti della maggioranza di governo che insistono sulla priorità di ottenere risposte dal Cairo circa l’assassinio di Giulio Regeni, richiesta legittima e condivisa da tutti ma che non può pregiudicare i rapporti bilaterali tra Roma e la più grande potenza militare e politica del Mondo Arabo e dell’Africa.
Parte della politica insiste affinchè venga chiesto all’Egitto di consegnare i vertici della polizia e dell’intelligence, che si vorrebbero processare in Italia.
Ma nessuna nazione acconsente che propri militari o funzionari dello Stati vengano processati all’estero (Roma impostò su questo principio la difesa dei fucilieri di Marina Latorre e Girone accusati di omicidio in India) per cui una simile richiesta posta alle autorità del Cairo punterebbe solo a incassare il fermo diniego egiziano da utilizzare, in modo strumentale, per creare un nuovo alibi utile a ostacolare la vendita delle Fremm.
Del resto è curioso che molti di coloro esprimono critiche sul rispetto dei diritti umani in Egitto siano gli stessi che spalancano le braccia alla dittatura comunista cinese e al regime venezuelano.
Dall’altro lato c’è chi critica con forza la cessione delle due Fremm perché indebolirebbe sensibilmente la Marina Militare: una campagna sostenuta a gran voce anche da ex capi di stato maggior della Marina, dal Cocer e persino da qualche esponente dell’opposizione in Parlamento.
Non c’è dubbio che chi accetta l’onere di governare dovrebbe accettare di portare anche il fardello di scelte non sempre facili o popolari ma dettate dal realismo e dalla priorità di difendere gli interessi nazionali. Soprattutto oggi che l’Italia si è fatta sottrarre dalla Turchia in appena nove mesi l’influenza su Tripoli, non può certo perdere l’opportunità di rinsaldare i rapporti politico-militari con l’Egitto.
Colosso politico militare sostenuto finanziariamente da sauditi ed emiratini ma che tra pochi anni, grazie alle rendite di gas e petrolio dei mega giacimenti rinvenuti dall’ENI di fronte alle coste egiziane, avrà una importante capacità di spesa autonoma.
Per comprenderlo basta rilevare che dal 2015 i russi hanno venduto prodotti militari all’Egitto per 10 miliardi, la Francia per 8, la Germania per 4,5 mentre gli Stati forniscono aiuti per 1,2 miliardi annui.
Abbiamo già illustrato in più occasioni su Analisi Difesa che dietro alla cessione delle 2 Fremm si potrebbero schiudere altri importanti contratti (altre 4 fregate simili, 20 pattugliatori da realizzare in gran parte in Egitto per il mercato africano, 24/28 cacciabombardieri Eurofighter Typhoon, 20/24 addestratori M-346 e un satellite) per un totale stimato 12/15 miliardi di euro, quasi il triplo dell’intero export annuale italiano nel settore Difesa.
In ambito geopolitico l’intesa di Fincantieri con l’Egitto aumenta il peso dell’Italia anche presso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti e va aggiunta all’accordo altrettanto di portata strategica per il rinnovo e potenziamento della flotta del Qatar.
Circostanze concomitanti che offrono all’Italia l’inedita opportunità di poter fungere da cerniera tra i due schieramenti rivali nel mondo arabo sunnita: basterebbe aggiungere alle commesse conquistate dall’industria una politica estera in grado di esprimere uomini capaci per gestire dossier così delicati e una visione a medio/lungo termine da sostenere nel tempo.
Quanto alle paure espresse circa le penalizzazioni che subirebbe la nostra Marina Militare si tratta di preoccupazioni ingiustificate: fin da quando si cominciò a discutere dell’affare egiziano è stato sempre chiaro che la Marina avrebbe ricevuto altre due nuove Fremm nei tempi più rapidi possibili, anche lavorando al tempo stresso su entrambi gli scafi in cantieri diversi.
Certo in attesa di queste unità un paio di vecchie fregate classe Maestrale dovranno restare in servizio ancora per un po’ ma l’accordo con l’Egitto, così come quello col Qatar, aprono prospettive di proiezione per la Marina non solo in termini di navi ma anche di ruolo nella formazione, consulenza e supporto che potranno determinare importanti ricadute per la forza armata anche in termini finanziari.
Al di là delle opportunità c’è però una ragione ancora più rilevante che dovrebbe indurre tutti a sostenere l’intesa con l’Egitto.
In tempi di post Covid-19, con un crollo annunciato del PIL forse superiore quest’anno al 10 per cento e con le commesse civili per Fincantieri e Leonardo destinate a ridursi al lumicino per qualche anno, rinunciare all’affare egiziano e a ogni altra occasione di esportare prodotti per la Difesa significa rinunciare a milioni di ore e a molte migliaia di posti di lavoro.
Uno scenario che comprometterebbe non solo la credibilità ma pure la sopravvivenza della nostra industria cantieristica e dell’aerospazio e difesa, le cui difficoltà valgono oro colato per i nostri rivali europei ed extra-europei. Al di là delle motivazioni giudiziarie e morali, questa è la vera posta in gioco che tutti dovrebbero tenere ben presente.