L’Etiopia sfida l’Egitto, cerca armi a Parigi e strizza l’occhio ad Ankara
Con l’aumento delle tensioni tra Addis Abea e Il Cairo per l’impatto sul corso del fiume Nilo della grande diga sul Nilo Azzurro nota come GERD (Grand Ethiopian Renaissance Dam), si sono moltiplicate le voci circa un massiccio riarmo delle forze etiopiche.
Nel novembre 2019 Le Point International ha pubblicato copia di una lettera con cui il primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali chiedeva al presidente francese Emmanuel Macron di dare concretezza all’accordo di cooperazione di difesa firmato all’inizio di quell’anno fornendo equipaggiamenti moderni alle sue forze armate.
“Chiedo gentilmente il suo sostegno nel facilitare un prestito a lungo termine attraverso il quale l’Etiopia sarà in grado di procurarsi elicotteri da trasporto e multi-ruolo, aerei da trasporto, elicotteri da combattimento, velivoli da combattimento multiruolo, veicoli/droni aerei senza pilota strategici e operativi, missili strategici, sistemi elettronici e di jamming, Queste forniture richiedono anche lo sviluppo delle capacità di piloti e tecnici che gestiranno gli equipaggiamenti” si legge nella lettera datata 22 luglio 2019.
Una lista della spesa traducibile in:
- 6 elicotteri da trasporto (Airbus H225)
- 6 elicotteri multi-ruolo Airbus H125M o H145M
- 2 aerei da trasporto tattico C295
- 6 elicotteri d’attacco Tiger HAD
- 12 aerei da combattimento Mirage 2000 o Rafale
- 10 UAV Dassault nEUROn
- 30 missili balistici intercontinentali a medio raggio M51
- jammer, contromisure elettroniche, radar e altri sistemi correlati
Non è chiaro come l’Etiopia valutasse di pagare una lista (inverosimile) di armamenti di tale portata anche in caso di maxi credito da parte di Parigi né se la Francia abbia mai preso in considerazione una commessa che indisporrebbero l’Egitto, uno dei maggiori clienti dell’export francese della Difesa anche se, recentemente, la decisione del Cairo di rivolgersi all’italiana Fincantieri per potenziare le proprie forze navali con almeno 2 fregate FREMM ha sollevato malumori oltralpe.
Africa Intelligence all’inizio di giugno di quest’anno ha riferito che la Francia aveva sospeso i negoziati per la vendita di 18 elicotteri e 2 C295 pur registrando un interesse tedesco a sostenere l’Etiopia nell’acquisto confermato da fonti diplomatiche.
In termini strategici due sono gli aspetti fondamentali di questa vicenda. Volendo credere a quanto è emerso nella lettera attribuita al presidente etiope emerge la volontà di Addis Abeba di dotarsi di moderne capacità di difesa aerea tese a proteggere le infrastrutture strategiche e soprattutto la diga GERD da potenziali raid aerei o missilistici egiziani dotandosi al tempo stesso della possibilità di effettuare rappresaglie individuando i bersagli in territorio “nemico” con droni strategici stealth e colpendoli con missili balistici M-51, armi in grado di colpire obiettivi a 8/10 mila chilometri di distanza imbarcate (con testate atomiche) sui 4 sottomarini strategici francesi classe Le Triomphant.
Pur escludendo che l’Etiopia intenda diventare una potenza nucleare è evidente che anche la gestione di armi balistiche così complesse e a così lungo raggio d’azione risulterebbe finanziariamente proibitiva e impraticabile per le capacità delle forze armate nazionali oltre a determinare in tutta la regione una corsa al riarmo balistico.
Del resto negli ultimi anni, e soprattutto dopo gli accordi che hanno concluso il conflitto con l’Eritrea, le spese militari in Etiopia sono scese dall’1,5% del PIL allo 0,7%, pari negli ultimi anni a poco più di mezzo miliardo di dollari annui.
Per garantirsi un’arma in grado di scatenare rappresaglie contro l’Egitto sarebbe certo più agevole per l’Etiopia procurarsi missili balistici a medio raggio cinesi, nordcoreani, pakistani o indiani.
In termini di capacità economiche, tecniche e strategiche Addis Abeba potrebbe forse permettersi di acquistare e gestire solo una parte degli equipaggiamenti inseriti nella “lista della spesa”: gli elicotteri, gli aerei cargo e i cacciabombardieri Mirage 2000 ex Armèe de l’Air (più alla portata rispetto ai nuovi e più impegnativi Rafale) per sostituire una linea di aerei da combattenti composta da 10 decrepiti Mig 23 e 14 Sukhoi Su-27 (nell’immagine qui a lato) .
Oltre ai missili balistici e agli UAV strategici, del tutto al di là delle capacità militari etiopiche, anche gli elicotteri da attacco Tiger risultano troppo sofisticati e del resto in Malì hanno mostrato tutti i loro limiti e vulnerabilità nell’operare nel duro ambiente africano. L’Etiopia schiera 14 elicotteri multiruolo Mi-8 e 8 da attacco Mi-24, più “rustici” e certo più aderenti alle capacità delle forze locali.
Nella lista della spesa del presidente etiope si nota l’assenza di moderni sistemi da difesa aerea a corto e medio raggio con cui proteggere la diga e altri obiettivi strategici: segno forse che l’Etiopia si affida ai sistemi di origine russo/sovietica Pantsir, SA-6, SA-3, SA-4, SA-2/3, SA-9 e alle batterie cinesi HQ-64 (copia degli Aspide italiani).
In termini politici le notizie sui massicci piani di riarmo etiopici in Francia avevano forse l’obiettivo di influenzare i negoziati con l’Egitto sulla diga GERD: in ogni caso il confronto con Il Cairo è emerso ancor più chiaramente con la visita in Etiopia, il 16 luglio scorso, del ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu.
La Turchia è il secondo più grande investitore straniero in Etiopia, dopo la Cina, oltre 150 aziende turche con oltre 30 mila dipendenti sono attive nell’ex colonia italiana (come in Libia e Somalia anche in Etiopia Roma “si è fatta superare” da Ankara) ma è evidente che la visita di Cavusoglu suggella il supporto di Ankara, acerrimo avversario del Cairo su tutti i fronti (e specie in Libia), al braccio di ferro che l’Etiopia porta avanti con l’Egitto.
Un supporto che potrebbe avere dimensioni militari anche in termini di forniture più alla portata dell’Etiopia sotto ogni punto di vista.
Del resto un confronto militare tra Etiopia ed Egitto può avvenire solo in termini di attacco aereo e missilistico e di capacità di difesa aerea, deterrenza e risposta poiché i due Stati non hanno confini comuni (sono separati dal Sudan) e l’Etiopia non ha sbocchi al Mar Rosso dove incrocia parte della flotta egiziana.
Per sottolineare proprio questo aspetto, il ministro turco ha incontrato ad Addis Abeba l’ex presidente etiope Mulatu Teshome Wirtu (nella foto sopra), rappresentante speciale del primo ministro per i rapporti con l’Egitto: di fatto il negoziatore che discute con Il Cairo le conseguenze determinate dalla Grand Ethiopian Renaissance Dam, ormai quasi ultimata e il cui bacino è stato recentemente riempito.
L’Egitto ha minacciato ritorsioni severe che non escludono opzioni militari.