La frontiera marittima italiana: esigenze umanitarie e tutela dell’integrità territoriale dello Stato
Il problema della sorveglianza della frontiera marittima italiana rappresentata dal limite esterno delle acque territoriali si è ripresentato, dopo anni di infinite discussioni politiche legate al salvataggio dei migranti, con il decreto-legge 21 ottobre 2020, n. 130 la cui conversione è attualmente in discussione alla Camera.
Nel 2019 c’era stata la così detta “chiusura dei porti” attuata con il “Decreto Salvini Bis” poi emendato con il provvedimento citato in precedenza che aveva tenuto conto di alcune osservazioni formulate dal Capo dello Stato e della decisione della Cassazione sul caso della “Sea Watch 3”. In questa sentenza si era affermato, tra l’altro, il nesso inscindibile tra salvataggio dei migranti e loro trasporto in un “luogo sicuro”, applicando quindi la causa di giustificazione penale dell’adempimento degli obblighi di soccorso.
Non si vuole qui trattare la complessa materia della disciplina dell’immigrazione circa espulsioni, permessi di soggiorno o protezione internazionale. Nè si intende affrontare la questione delle condizioni che legittimano la concessione dell’anzidetta scriminante, qualora la nave soccorritrice abbia comunicato la sua attività ad un non precisato “competente centro di soccorso” (che, con riguardo alla casistica delle operazioni, potrebbe essere, oltre a quello italiano, il libico o il maltese).
Il tema che interessa è il transito inoffensivo nelle acque territoriali e le connesse misure per impedirne le violazioni. La Convenzione del diritto del mare (Unclos) qualifica come “offensivo” il passaggio che attenti alla “pace, buon ordine e sicurezza” dello Stato costiero elencando anche -a titolo esemplificativo- vari illeciti. Tra questi, oltre all’immigrazione irregolare ed alla violazione di leggi sanitarie e doganali, rientrano forme asimmetriche di terrorismo, attività di intelligence, azioni (militari e non) contro la sicurezza nazionale.
Acque interne, territoriali ed ipotetica zona contigua (Fonte IIM)
Il DL 130-2020 purtroppo non disciplina organicamente la materia ma attua un’artificiosa distinzione tra comportamenti “lesivi dell’ordine e sicurezza pubblica” e la violazione del transito inoffensivo per immigrazione irregolare, per farne discendere la non punibilità della nave che collabori con l’organizzazione SAR. Prevede, inoltre, una macchinosa procedura interministeriale, facente capo all’Interno, per vietare o limitare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale italiano non adeguata alle esigenze di celere operatività che richiede il contrasto di minacce alla sicurezza nazionale.
E modifica, infine, il “Salvini Bis” nella parte riguardante divieto di ingresso nelle acque territoriali (evidentemente per evitare ulteriori casi “Sea Watch”), nonostante l’Unclos, all’art. 25, autorizzi lo Stato costiero ad “adottare le misure necessarie per impedire nel suo mare territoriale ogni passaggio che non sia inoffensivo”.
Zone SAR prospicienti l’Italia; si noti la sovrapposizione di quella maltese con la nostra (Fonte: Maricogecap)
Non sappiamo se il provvedimento ora in discussione verrà blindato o potrà essere emendato. Il fatto è che le istanze politiche per un cambio di passo rispetto al “Salvini Bis” non considerano che i recenti episodi terroristici accaduti in Francia – come ben evidenziato da Gianandrea Gaiani in una sua audizione in Commissione Difesa della Camera – indicano che il nesso tra immigrazione irregolare via mare e terrorismo non è solo un’ipotesi di scuola.
Volendo, questa sarebbe invece l’occasione giusta per mettere ordine nella materia del controllo sul transito inoffensivo, rientrante nelle competenze di “ordine e sicurezza pubblica sul mare” attribuite dall’Interno alla Guardia di Finanza con il concorso della Marina e della Guardia Costiera.
Anche perché, si capirebbe finalmente che la realizzazione di un efficiente Dispositivo integrato interministeriale di sorveglianza marittima (Diism) –già realizzato dalla Marina con proprie risorse per adempiere agli obblighi istituzionali di sorveglianza di alto mare e ZEE – risponde ad esigenze concrete ed a moderni criteri di messa in comune di capacità settoriali.
Per non dire, poi, della necessità di sanare sul piano normativo, emendando l’art. 1100 del Codice della Navigazione, il vulnus subito dalla Guardia di Finanza per la mancata configurazione, nella citata sentenza della Cassazione, del reato di resistenza e violenza commesso a danno di una propria Unità.
Tra l’altro, il Paese vive un momento particolare in cui sta crescendo l’attenzione per la sua inconfutabile marittimità, sulla scia delle contese del Mediterraneo orientale.
Anche noi istituiremo una ZEE come previsto da un’apposita iniziativa parlamentare e forse ne approfitteremo per far uscire dalle nebbie legislative l’istituto della Zona contigua (frontiera avanzata di 12 miglia al di là delle acque territoriali per prevenire e contrastare immigrazione illegale, contrabbando e violazioni di leggi sanitarie), teoricamente già previsto dalla “Fini-Bossi” del 2002.
Insomma, una cosa sono le innegabili istanze umanitarie volte a non penalizzare il soccorso di necessità (la questione dovrebbe però interessare l’intera Ue, e non solo noi), un’altra, la tutela dell’integrità territoriale delle frontiere marittime nazionali.
Altri Stati – si veda il caso della Slovenia – dedicano un’attenzione estrema alla materia, che va ben al di là del controllo dell’immigrazione. Perché un grande Paese come il nostro deve umiliare la sua marittimità per distorte visioni politiche o, in mancanza di un’unica “cabina di regia”, per gelosie interministeriali?