Fare business grazie a 3 miliardi di (nostre) foto
Immaginate un software capace di navigare all’interno dei social network e dei siti web, sbirciando, setacciando e copiando tutte le immagini (e i video), con volti di persone e le informazioni ad esso correlate (ad esempio il testo associato all’immagine, l’utente del profilo che le ha messe online, la data di pubblicazione, ecc).
Tecnicamente un’operazione non particolarmente complessa, nota con il nome di scraping (o web scraping): un software che, simulando la navigazione umana (anche attraverso un tradizionale browser), naviga tra i contenuti Internet, “raschiando” i contenuti di interesse.
Il risultato di questo scraping è il database di miliardi (almeno 3 miliardi !!!) di Clearview AI , una società on sede a Manhattan fondata nel 2017 da Mr. Ton-That (nella foto) ,di origine vietnamita, australiano di nascita e americano di adozione.
Come abbiamo più volte sottolineato in altre occasioni, accumulare i dati non basta, ed è per questa ragione che Clearview AI ha sviluppato un algoritmo molto efficace in grado di identificare e convertire ogni volto memorizzato nel loro database in una formula matematica. Nel momento in cui un utente carica una nuova foto, il sistema è in grado di visualizzare immediatamente le immagini presenti nel suo archivio (con le altre informazioni ad esso associate) giudicate matematicamente più simili.
La valenza strategica del software è stata immediatamente compresa e percepita da oltre 2.400 forze di polizia attualmente abbonate al servizio di Clearview AI.
L’attività di Clearview AI ha proceduto, senza grandi intoppi, fino al gennaio 2020, quando il New York Times, per primo, ha acceso le luci della ribalta sull’esistenza di questo enorme database di dati personali (probabilmente contiene anche quelli di molti di coloro che stanno leggendo questo articolo), raccolti senza il consenso dei proprietari.
E nemmeno senza il permesso delle piattaforme social dove erano state pubblicate (Facebook, YouTube, Twitter, Instagram, …) che hanno immediatamente denunciato la violazione delle loro policy di utilizzo, che non ammettono lo scraping.
Dodici mesi dopo, il Governo Canadese si è espresso in modo netto, accusando Clearview AI di perpetrare una “sorveglianza di massa”, dunque un’azione illegale. Anche Australia e Regno Unito hanno avviato inchieste ufficiali sullo stesso argomento.
Mr. Ton That, a sua difesa ha dichiarato che:
– la sua società ha raccolto solo immagini pubbliche, sottolineando che basta cambiare le impostazioni del proprio profilo social per evitare che questo accada;
– lo scraping, azione proibita dai “termini di servizio” di molti social e siti web, è una pratica assai comune ed è un fenomeno risaputo agli stessi social network;
– in generale si tratta di una “semplice questione di informazione pubblica ed in particolare di chi accede a tale informazione e per quali scopi”, aggiungendo che “noi non vogliamo un mondo dove Google e poche altre tech-company accedano alla informazione pubblica”.
In conclusione, se da un lato emerge il conflitto tra l’attività di Clearview AI e il concetto inviolabile di tutela della privacy, allo stesso tempo tante altre questioni non meno critiche, stanno venendo finalmente a galla. Inclusa la diffusa capacità di acquisire e utilizzare i nostri dati prelevandoli indiscriminatamente senza eccessive difficoltà dalla rete.
Foto PBS