Era posseduta:
- per il 35% da Montecatini Edison,
- per il 20% da Fiat, Contraves Italiana e Finmeccanica
- e per il 5% dalla Snia.
Nel 1969 la Sistel rilevò la maggior parte del lavoro missilistico della Contraves e l’intero staff della Divisione Missilistica della società; era una azienda italiana che operava nel settore della progettazione e realizzazione di sistemi missilistici e unica azienda italiana in possesso delle conoscenze necessarie per lo studio e la sperimentazione di sistemi d’arma missilistici avanzati.
Come già evidenziato, la Sistemi Elettronici venne fondata nel 1967 dalla Montecatini Edison (35%), Fiat (20%), Contraves Italiana (20%, gruppo Oerlikon), Finmeccanica (20%) e dalla SNIA (5%). Nel 1969 rilevò la Divisione Missilistica della Contraves Italiana e dunque il sistema missilistico antinave Nettuno Mk-1 che quest’ultima stava mettendo a punto per la Marina Militare Italiana e che Sistel utilizzerà per la progettazione e la realizzazione del successivo missile Vulcano Sea Killer Mk-2. Entrambi i missili erano progettati per essere lanciati da navi: gli Mk-2 furono utilizzati anche dalla Marina Militare Iraniana nella Guerra del Golfo.
I successivi sviluppi del missile MK2 furono orientati al suo impiego come arma in dotazione agli elicotteri della Marina Militare con finalità antinave. Con il nome di Marte il nuovo missile interessò la Marina Militare Italiana, che nei primi anni ’80 lo omologò per l’impiego sugli elicotteri imbarcati classe AB 212 ed SH 3D in funzione antinave.
Gli acquirenti dei missili Sea Killer furono:
- Italia,
- Iran,
- Venezuela,
- Libia
- e Perù.
Dalla Contraves, la società ereditò anche il progetto Indigo, un sistema missilistico contraereo che però fu abbandonato nel 1980.
Assieme ad Aeritalia, SNIA e Selenia, la Sistel prese anche parte al progetto relativo al Missile strategico “Alfa” (classe POLARIS A-1), da molti ritenuto il tentativo italiano di realizzare un missile nucleare, occupandosi dello sviluppo dell’elettronica di bordo.
Negli anni ottanta l’accantonamento del Progetto MEI, relativo allo sviluppo di sistemi di difesa aerea a bassa quota, comportò per la società l’insorgenza di gravi problemi economici tanto da richiedere il salvataggio ad opera della Selenia (IRI), della OTO Melara e della Breda (Efim), azionisti con il 90% e della Contraves, socia al 10%. La Sistel venne liquidata nel 1992 e parte del personale fu assorbito dalla OTO Melara e dalla Selenia. Nel 1986 fatturava 17 miliardi di lire con utili per 46 milioni. Aveva 180 dipendenti nel 1989, locati nello stabilimento di Roma, in via Tiburtina.
Il sistema missilistico anti-aereo di punto denominato “INDIGO”
Nel 1974 la Sistel stava continuando una graduale evoluzione del suo missile terra-aria a breve raggio denominato “Indigo”, ma non aveva ottenuto ancora alcun contratto per la produzione di serie. Le prove di qualificazione dell’Esercito Italiano nella versione trinata terrestre – per la difesa di punto – terminarono alla fine del 1973, e le prove della variante semovente per la protezione delle truppe continuarono per tutto il 1974, con l’ultima serie di lanci in Sardegna. In tutto vennero effettuati circa 100 lanci di qualificazione.
Sulla base dell’esperienza nella guerra di ottobre 1973 in Medio Oriente, la Sistel era fiduciosa che ci fosse un mercato per il lanciatore mobile Indigo accoppiato con i cannoni Oerlikon da 35mm o Bofors da 40mm per la difesa di punto a corto raggio. Sia i missili che i cannoni potevano essere diretti dal sistema di controllo del tiro “Superfledermaus” della Contraves.
L’Indigo era un missile antiaereo utilizzabile per la bassa e bassissima quota, messo a punto nel 1972. Veniva lanciato da lanciatori trinati semoventi ed era progettato per l’uso con un’ampia gamma di sistemi di controllo del fuoco all’epoca esistenti della categoria del Superfledermaus di Contraves (nella versione trainata) o tramite radar di acquisizione e tracciamento Thomson-CSF Mirador Eldorado accoppiati con una centrale di tiro Galileo (quando si utilizzava il lanciatore semovente).
Il lanciamissili a sei colpi poteva essere schierato su di una pendenza fino a 7° e poteva essere pronto al tiro con estrema rapidità. L’Indigo veniva lanciato singolarmente o in salva (due missili), il metodo di funzionamento era selezionato dal computer di ingaggio, ma era anche possibile un annullamento manuale. Una versione navale denominata Sea Indigo era prevista.
Nell’eterno conflitto tra missile e aereo, che ricorda il vecchio conflitto tra cannoni e corazze, assume particolare importanza la contrattazione a quelle basse quote di volo che offrono agli aerei attaccanti maggiori possibilità di eludere i radar di ricerca, oltre a consentire loro di sfruttare le caratteristiche orografiche della zona di combattimento nel miglior modo possibile. Le altitudini più vantaggiose sono da 50 a 300 metri di quota. In un attacco che utilizza esplosivi convenzionali per bersagli mobili, è necessario un tempestivo riconoscimento del bersaglio stesso. Ciò richiede di volare ad un’altitudine non inferiore a 100 metri ad una velocità non superiore a Mach 0,8 (850 km/h). Il lancio avverrà quindi da una distanza di 2-3 km. Per i bersagli fissi, la distanza non cambia, ma la velocità può arrivare fino a Mach 1.2 (1.270 km/h). Ciò posto, è necessario che i sistemi d’arma difensivi abbiano tempi di reazione molto brevi e siano dotati di missili ad alte prestazioni. Nel caso di un attacco con missili aria-superficie o bombe guidate con carica nucleare, il lancio potrebbe essere effettuato da una distanza di circa 15 km.
Di conseguenza, lo sviluppo dell’INDIGO venne promosso dal Ministero della Difesa italiano al fine di risolvere, secondo le specifiche stabilite dalla NATO, il problema della difesa ravvicinata contro gli attacchi a bassa quota. Gli studi in proposito furono avviati nel 1962 dalla Contraves e proseguirono finché, nel 1969, l’intero programma fu assunto dalla Sistel (costituita con la partecipazione della stessa Contraves e di altre società italiane); vennero previste tre versioni del lanciamissili:
- uno trainato a terra,
- uno imbarcato
- e una versione terrestre semovente.
Nel 1976, dopo un’ampia e favorevole serie di prove effettuate presso i campi di prova a Capo Teulada in Sardegna, la prima versione dell’arma trainata fu resa pienamente operativa.
L’INDIGO aveva le seguenti caratteristiche:
- lunghezza, 3.076 mm;
- diametro, 195 mm;
- peso al lancio, 120 kg.;
- una configurazione aerodinamica avanzata;
- ali di controllo cruciformi con un’apertura di 813 mm poste molto vicino al baricentro, che consentivano una rapida risposta ai segnali emessi dal sistema di guida. In linea con quelle ali vi erano le pinne caudali stabilizzatrici;
- La propulsione era assicurata da un booster a propellente solido che produceva una spinta di 3.750 kg e bruciava per 2,5 secondi. Al termine della combustione il missile raggiunge una velocità di Mach 2.5 (2.650 km/h) e il suo peso si riduceva a 80 kg.;
- La portata era di 10 km;
- La tangenza operativa era compresa tra il livello degli alberi e 5.000 m.;
- In caso di possibili manovre evasive da parte del bersaglio, il tempo di volo era di 30 secondi. Se il missile non riusciva ad intercettare il bersaglio dopo quell’intervallo, si autodistruggeva;
- Il missile poteva sopportare i 40 g e una forza laterale di 30 g.;
- La testata pesava complessivamente 22 kg ed era del tipo a frammentazione, simmetrica attorno all’asse;
- Utilizzava una spoletta ad impatto ed una spoletta di prossimità a infrarossi;
- I circuiti del sistema di guida erano gestiti da batterie che si attivavano al momento del lancio. Le antenne dei ricevitori radio e un trasmettitore a infrarossi erano montate sulle quattro pinne stabilizzatrici. Le antenne avevano una grande direttività ed i disturbi elettronici che potevano essere emessi dal bersaglio erano quindi molto attenuati.
Il sistema di guida poteva funzionare in due modi:
- “Ogni-tempo” utilizzando il radiocomando su di un raggio direttore radar combinato con un dispositivo a infrarossi, che dopo il lancio manteneva il missile a cavallo del raggio radar;
- “Bel tempo” (molto utile se le condizioni meteorologiche ne consentivano l’uso e quando il nemico utilizzava potenti ECM-ECCM. Il dispositivo ad infrarossi, come nella prima modalità di funzionamento, manteneva il missile all’interno del campo di avvistamento, quindi, utilizzando un raggio più stretto, calcolava il movimento del missile rispetto alla linea di mira dello strumento ottico che funzionava congiuntamente al dispositivo ad infrarossi. Il missile utilizzava razzi che facilitavano l’operazione.
Il lanciatore, progettato per essere facilmente trasportato da aerei, elicotteri e veicoli a motore, era costituito da un complesso di sei tubi, che fungevano anche da rampe. Poteva essere schierato su qualsiasi terreno che non avesse una pendenza superiore ai 70°, ed era in grado di compiere rapidi movimenti in elevazione ed azimut, con una portata sufficiente a coprire l’intero spazio sovrastante. Tuttavia, nella versione imbarcata, denominata “SEA INDIGO”, il lanciatore era quadruplo e sempre facilmente ricaricabile.
Purtroppo questo sistema di difesa aerea era basato su di una tecnologia oramai datata: due lanciatori (per 12 missili) prevedevano l’uso di una sola guida radar e anche quel canale missilistico era uguale ad uno.
Pertanto, l’intero complesso antiaereo, mostrato in foto, avrebbe potuto lanciare un solo missile alla volta su di un singolo bersaglio: il sistema di difesa aerea Indigo-MEI era inferiore non solo ai complessi sovietici dell’epoca (due canali sul razzo), ma anche al sistema Roland sperimentato negli stessi anni ed anche a quelli più datati del sistema britannico Rapier.
(Web, Google, Globalsecurity, Wikipedia, You Tube)