Italiani cacciati dagli Emirati: è tempo di mettere l’export della Difesa al riparo dalla demagogia
Il blocco ai contratti di export militare a sauditi ed emiratini e l’ostilità nei confronti dell’Egitto, stanno provocando danni gravissimi e hanno compromesso la credibilità dell’Italia con le maggiori potenze militari, politiche ed economiche del mondo arabo e della Lega Araba.
Si tratta di un esito determinato dal furore ideologico e dalla mancanza di consapevolezza che hanno dominato la dirigenza politica del ministero degli Esteri, a cui peraltro ha fatto eco nel gennaio scorso la distrazione di Palazzo Chigi e del parlamento, incapaci di fermare i provvedimenti che hanno cancellato le forniture militari italiane ad emiratini e sauditi e compromesso i rapporti con Il Cairo.
Il danno reputazionale avrà probabilmente effetti devastanti sull’interscambio commerciale e sull’influenza italiana nel Golfo Persico, in Medio Oriente e Nord Africa.
Cacciati dalla base aerea
L’esempio più eclatante, umiliante e senza precedenti è l’ordine di rapido sgombero che il governo degli Emirati Arabi Uniti ha impartito al centinaio di militari dell’Aeronautica italiana basati ad al-Minhad, la base aerea utilizzata come scalo logistico per le operazioni in Afghanistan, Iraq e Corno d’Africa e che dovremo sgombrare entro e non oltre il 2 luglio.
Un articolo del sito specializzato francese Zone Militaire definisce i militari italiani negli Emirati “personae non gratae”. Superfluo aggiungere che il collasso del prestigio e della credibilità dell’Italia nel mondo arabo favorisce tutti i nostri competitor, soprattutto quelli europei.
Cacciati senza tanti complimenti da al-Minhad, i militari italiani dovranno trovare un altro scalo aereo e marittimo per completare il ritiro dall’Afghanistan peraltro ormai quasi terminato.
La Difesa sta cercando basi alternative in Kuwait e Oman ma è difficile riorganizzare tutto su due piedi dopo 20 anni di presenza negli Emirati, soprattutto dopo aver perso la faccia con le principali potenze regionali.
In prospettiva potrebbe risultare arduo anche dare il via alla partecipazione di una nave italiana alla missione EMASOH a Hormuz, prevista dal nuovo decreto missioni, considerato che quella forza navale a guida francese è basata proprio negli Emirati Arabi Uniti.
Un prioritario problema politico
Più in generale, l’ostilità delle principali potenze arabe, rischia di imporci un prezzo da pagare salatissimo dal Golfo alla Libia.
Vani finora gli sforzi del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, che ha avuto colloqui con il suo omologo emiratino al punto che la crisi con gli emiratini non sembra risolvibile senza iniziative energiche della Presidenza del Consiglio..
Considerato che al nostro ministro degli Esteri non rispondono più neppure al telefono a Riad, Abu Dhabi e Il Cairo, urge un rapido intervento di Mario Draghi innanzitutto per ripristinare immediatamente i contratti e le forniture militari, meglio se attuando un altrettanto rapido e qualificato ricambio ai vertici della Farnesina.
Nonostante i delicati equilibri interni alla composita maggioranza che sostiene l’attuale governo italiano, la questione dell’imbarazzante inadeguatezza della Farnesina è ormai tema di dibattito politico.
“Guardiamo con attenzione e preoccupazione alcune azioni sugli scenari internazionali che stanno compromettendo settori strategici delle nostre produzioni nazionali” hanno dichiarato sabato in una nota i deputati leghisti Roberto Paolo Ferrari, responsabile Difesa del Carroccio e Raffaele Volpi, già sottosegretario alla Difesa e presidente del Copasir.
“Ci riferiamo in particolare al Medio Oriente dove errori ed incertezze di postura mettono a rischio consolidate posizioni nel campo dell’industria della difesa e della sicurezza energetica nazionale. Il multilateralismo non può essere confuso con ambiguità compromissive e non concertate nel complessivo alveo dell’interesse nazionale. In particolare per il settore dell’industria della difesa, che oltre alla peculiare produzione significa diplomazia parallela, sviluppo tecnologico e posizionamento geopolitico, bisogna uscire da qualsiasi ambiguità e dai marginali tentativi di condizionamento ideologico.
Da subito quindi un chiarimento sugli obbiettivi strategici, un immediato rafforzamento delle architetture di Governo per accompagnare le nostre aziende, tra le migliori al mondo, in una competizione sempre più accesa sia da parte di player mondiali sia da parte di vicini paesi europei. Ristabiliamo chiarezza geopolitica e strategica e creiamo adeguati strumenti sistemici del Governo in supporto a questo comparto” concludono i due leghisti.
Matteo Perego, membro della Commissione Difesa della Camera /Forza Italia) parla senza mezzi termini di “autogol tremendo che compromette il nostro ruolo in tutto il Medio Oriente e ci fa perdere ingenti commesse”.
La crisi determinata dalla disastrosa gestione della Farnesina ha favorito un ampio dibattito sulla situazione dell’export armamenti italiano.
Rafforzare l’export della Difesa
Un settore in cui “è urgente un rafforzamento normativo sul piano della governance, non ancora sufficientemente definiti” ha detto il consigliere militare di Palazzo Chigi, generale Luigi De Leverano, in audizione (guarda il video completo) alla Commissione Difesa della Camera dei deputati tenutasi il 22 giugno.
“L’Italia ha bisogno di misure di sostegno, con un’accelerazione delle procedure e una semplificazione delle commesse, come stanno facendo altri Paesi per conquistare spazi di mercato internazionali”, ha detto ancora De Leverano aggiungendo che “procede l’espansione dei nostri concorrenti europei, Francia, Germania e Spagna in primis che incrementano l’esportazione di materiali militari anche grazie al sostegno dei rispettivi governi”.
Pur senza toni polemici, il generale ha poi aggiunto che “i Paesi del Golfo e quelli del Medio Oriente costituiscono dei partner strategici per la stabilità regionale, per l’economia e per la stessa industria della Difesa italiana. Il loro ruolo rileva ancor più in questo momento anche per il ritiro dall’Afghanistan e più in generale per le operazioni che noi svolgiamo in Iraq, Golfo Persico e Libia”.
“Le decisioni di fornire, sospendere o revocare contratti di fornitura di materiali militari con Paesi terzi sono scelte – ha sottolineato – con riflessi diretti e sostanziali sul complesso delle nostre relazioni con i Paesi interessati.
Che ci si trovi di fronte a scelte di assoluta rilevanza politica lo dimostra l’intenso dibattito nelle commissioni Esteri di Camera e Senato, oltre che della Difesa dei due rami del Parlamento” per “le risoluzioni del 26 giugno 2019 e del 22 dicembre 2020” che “hanno esortato e impegnato il Governo a procedere alla sospensione e alla revoca delle autorizzazioni di contratti di fornitura di missili e di bombe di aereo avvenute tra il 2016 e il 2018 all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi.
Accentrare l’export della Difesa a Palazzo Chigi
La necessità di sottrarre l’autorizzazione alle licenze di export all’ufficio UAMA della Farnesina per portarlo sotto il controllo diretto della presidenza del Consiglio è evidente sia per evitare il ripetersi di situazioni umilianti per gli interessi nazionali sia per evitare che anche in futuro funzionari del ministero degli Esteri al vertice dell’UAMA debbano rendere conto del loro operato nei tribunali, come sta accadendo ora.
La crisi con i paesi arabi ha dimostrato come le decisioni di fornire, sospendere o revocare contratti di fornitura di materiali militari comporti riflessi di valore strategico sulle nostre relazioni con i Paesi interessati. Per questo occorre che le decisioni vengano accentrate a Palazzo Chigi (meglio se sotto la guida di un sottosegretario “ad hoc” alla Presidenza del Consiglio), con l’istituzione di un organismo interministeriale.
Alcuni analisti, come Michele Nones, hanno proposto di ricostituire il Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (CISD) peraltro previsto dalla Legge 185 ma che ha poi visto le sue competenze attribuite al ministero degli Esteri.
Ripristinare il CISD richiederebbe un intervento legislativo che modifichi la Legge 185 del 1990, mentre “a normativa vigente” si potrebbe ricostituire con un Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) il Gruppo di Lavoro Interministeriale per l’Esportazione di materiali della difesa (GLICED), istituito nel febbraio 2001 da una direttiva del Presidente del Consiglio all’interno dell’Ufficio del Consigliere Militare di Palazzo Chigi ma poi di fatto mai attivato.
Il GLICED , o uno strumento analogo, potrebbe coordinare le attività di governo e industria sui mercati dei prodotti della Difesa italiani e la gestione dei maggiori contratti in un’ottica GovToGov, normativa di cui è urgente oggi più che mai completare l’iter, ma potrebbe occuparsi anche di indicare le nazioni a cui negare in parte o in toto commesse militari e quelle con cui risulti d’interesse primario a stringere accordi di cooperazione nella Difesa e Sicurezza.
Le idee sul tavolo non mancano. Ciò che conta è fare in fretta per rilanciare al più presto la credibilità e l’export italiano in questo settore strategico.