La rappresaglia di Biden e i tanti afghani portati in Occidente
La vendetta “a caldo” di Joe Biden, la rappresaglia per la strage compiuta all’aeroporto di Kabul, si è compiuta questa mattina nella provincia orientale afghana di Nangarhar, roccaforte dello Stato Islamico del Khorasan (IS-K), branca afghana dell’IS.
L’attacco statunitense avrebbe ucciso un paio di esponenti dell’ISK incluso un “pianificatore” di medio livello dell’organizzazione jihadista, come hanno specificato fonti governative americane.
“Due membri di alto profilo di Isis-K sono stati uccisi e uno è rimasto ferito” ha detto il generale William “Hank” Taylor, nel quotidiano briefing del Pentagono, specificando che non ci sono vittime tra i civili. “Continueremo ad avere la capacità di difenderci e di condurre operazioni di contro-terrorismo”, ha aggiunto il portavoce.
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Non esiste però alcuna indicazione che la vittima fosse coinvolta direttamente negli attacchi costati la vita il 26 agosto a circa 180 persone, fra cui 13 militari statunitensi.
Secondo fonti talebane nel raid Usa contro l’IS-K sono rimasti feriti “due donne e un bambino”, come ha detto un portavoce dei talebani alla Reuters dopo che il Pentagono aveva parlato di “zero civili coinvolti” nell’operazione di rappresaglia contro il gruppo terroristico.
“Era un chiaro attacco su territorio afghano, due persone sono state uccise e due donne e un bambino sono stati feriti”, ha detto il portavoce.
I talebani hanno negato di essere stati informati da Washington del raid aereo, probabilmente effettuato con l’impiego di velivoli senza pilota, ma hanno protestato per la violazione della sovranità afghana compiuta dal raid statunitense.
Poche ore dopo il raid aereo che coincide con la fine delle operazioni di evacuazione di civili afghani dall’aeroporto di Kabul, i servizi d’intelligence statunitensi hanno dato l’allarme per la minaccia di attentati contro le truppe alleate allo scalo aereo di Kabul e sul territorio degli Stati Uniti.
La CNN ha riferito che il Dipartimento per la Homeland Security sicurezza interna sta monitorando la minaccia di attacchi condotti da terroristi già presenti sul territorio americano ma galvanizzati dal successo talebano e dall’impatto dell’attentato all’aeroporto oltre al rischio che individui associati all’IS o ad al-Qaeda possano aver sfruttato l’evacuazione di 110 mila afghani per infiltrarsi negli Usa.
“Per contrastare ciò, è in atto un ampio processo di screening e controllo per coloro che vengono trasferiti negli Stati Uniti”, ha dichiarato il capo del dipartimento, John Cohen, mentre un funzionario dell’FBI ha sostenuto che, sebbene non ci siano informazioni specifiche su organizzazioni terroristiche, “non possiamo escludere che sia una possibilità”.
Le valutazioni
L’impressione è che gli Stati Uniti abbiano effettuato una rappresaglia simbolica contro l’IS-K) al punto da non sapere al momento neppure indicare i nomi dei terroristi uccisi.
Del resto dopo il pesante impatto sociale e politico della morte di 13 militari all’aeroporto di Kabul (forse i morti più inutili dell’intera guerra afghana il cui esito ha reso inutili tutti i caduti americani e alleati), rendeva assolutamente necessaria e non rimandabile la rappresaglia di Washington anche se è lecito riporre dubbi circa la sua efficacia.
Si può forse affermare che, come il ritiro degli alleati ha riportato la storia afghana indietro di 20 anni, il raid di rappresaglia contro l’IS-K di oggi riporta la lotta degli USA al terrorismo islamico indietro di 23 anni.
Nell’agosto 1998 il presidente Bill Clinton rispose alle stragi compiute dalle cellule di al-Qaeda alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania con un lancio, poco più che simbolico, di missili da crociera contro la base del movimento di Osama bin Laden in Afghanistan.
Biden resta nell’occhio del ciclone per i fatti afghani di agosto, criticato ormai apertamente anche dagli ambienti militari, dove il disastro afghano si aggiunge al malumore di molti militari per il recente obbligo di somministrazione dei vaccini anti Covid imposto dal Pentagono.
Oggi un ufficiale dei Marines in servizio attivo è stato sospeso dall’incarico per avere criticato in un video la leadership militare e politica dopo l’attentato di Kabul.
Il tenente colonnello Stuart Scheller (nella foto sotto) aveva postato su Facebook un video nel quale chiedeva ai suoi comandanti militari e ai responsabili politici di rendere conto degli errori compiuti durante il ritiro dall’Afghanistan. “Le persone sono arrabbiate perché i loro leader li hanno abbandonati e nessuno di loro sta alzando la mano per assumersi la responsabilità e dire che abbiamo fatto un casino”, ha affermato l’ufficiale nel video.
Tra i bersagli delle sue critiche il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, e il generale Mark Milley, capo di stato maggiore delle forze armate, per aver dichiarato che le forze nazionali afghane avrebbero resistito e per aver permesso la chiusura della Base aerea di Bagram, la più imponente installazione militare americana in Afghanistan, costringendo i militari statunitensi ed occidentali a effettuare le evacuazioni dal memo sicuro aeroporto di Kabul.
In un successivo post pubblicato su Facebook venerdì, Scheller ha detto di essere stato sollevato dal suo incarico di comandate di battaglione per l’addestramento avanzato a Camp LeJeune, in North Carolina e che dopo 17 anni di servizio lascerà il corpo dei Marines.
Al di là delle motivazioni indicate, il caso Scheller potrebbe anticipare altre proteste o lamentale da parte di personale in esercizio attivo e di certo aumenterà la sfiducia tra i militari.
Circa la minaccia terroristica non c’è dubbio che la vittoria talebana abbia galvanizzato tutti i movimenti jihadisti del mondo
“La loro vittoria in Afghanistan ora galvanizzerà gli altri movimenti radicali e jihadisti della regione, perché hanno dimostrato che in vent’anni non solo si può vincere la guerra ma anche creare uno Stato islamico” ha spiegato la ricercatrice Tasnim Butt dell’Université Libre de Bruxelles.
Al successo militare degli insorti afghani si aggiunge la percezione netta della debolezza di USA ed alleati, accentuata peraltro dalla commozione mostrata in mondovisione dal presidente Biden, emotivamente provato dalla morte dei militari.
Emotività comprensibile, specie per la sensibilità dell’opinione pubblica occidentale, ma che verrà senza dubbio mostrata sui canali della propaganda jihadista e presso l’opinione pubblica islamica come un segno indiscutibile della fragilità del “commander in chief” e in generale dei vertici americani.
Un problema di tenuta e credibilità che coinvolge tutto l’Occidente in realtà. Mentre i canali d’informazione jihadisti inneggiano alla loro forza e alla nostra debolezza i nostri media sono pieni di immagini di paracadutisti, diplomatici e marines che tengono in braccio bambini afghani o offrono loro una caramella.
150 mila afghani evacuati da Kabul: tutti bravi ragazzi?
Nel contesto del rinnovato allarme per la sicurezza dell’Occidente si inserisce anche il gran numero di afghani evacuati, enormemente superiore al numero di collaboratori dei contingenti militari e delle ambasciate e dei loro famigliari di cui era prevista l’evacuazione.
Sono 117 mila le persone finora che finora gli Stati Uniti hanno evacuato dall’Afghanistan, dei quali oltre 110 mila cittadini afgani. Lo ha fatto sapere ieri in conferenza stampa il generale Hank Taylor, vice direttore dello Stato maggiore congiunto per le operazioni regionali, spiegando che questo numero comprende 5.400 cittadini statunitensi.
L’ultimo volo del Regno Unito esclusivamente per gli evacuati civili ha lasciato ieri l’aeroporto di Kabul, come ha confermato il ministero della Difesa britannico, citato dalla BBC. I voli per il personale militare britannico e un piccolo numero di evacuati afghani continueranno oggi.
I numeri di afghani evacuarti sono quindi ampiamente superiori a quelli previsti prima che i talebani prendessero Kabul. Solo per fare un esempio, l’’Italia in giugno stimava di evacuare dall’Afghanistan non più di 900 persone tra collaboratori e famigliari.
C’è molta differenza tra evacuare i collaboratori afghani previsti e portare via da Kabul più persone possibile. L’impressione è che siano stati imbarcati anche migliaia di persone almeno in parte conosciute negli ambienti diplomatici, militari e delle organizzazioni internazionali i cui nomi non erano però stati inseriti nelle liste i cui nomi erano già stati sottoposti ai controlli di sicurezza.
Sono già stati resi noti casi di “infiltrati non graditi” Per ora è stato ufficializzato che cinque afghani evacuati in Francia sono stati posti sotto sorveglianza per presunti legami con i talebani. Un caso non isolato considerato che fonti governative britanniche hanno segnalato che sei persone ritenute una “minaccia” per il Regno Unito hanno cercato di imbarcarsi e uno di loro è riuscito ad arrivare all’aeroporto di Birmingham con un volo di sfollati.
“Ci sono persone in Afghanistan che rappresentano una seria minaccia per la sicurezza nazionale e pubblica” ha riferito un portavoce. All’aeroporto di Kabul però si è operato per far partire il maggior numero di afghani possibile in una situazione caotica che certo non ha aiutato le misure di sicurezza. Lo stesso ministro Wallace ha ammesso che “il nostro obiettivo è quello di portare fuori dall’Afghanistan quante più persone possibile”.
L’emergenza all’aeroporto e il “senso di colpa” dell’Occidente nei confronti degli afghani abbandonati al nuovo regime talebano, potrebbero favorire l’infiltrazione di personaggi “indesiderati” in Occidente.
Valutazioni di sicurezza che spiegherebbero almeno in parte gli accordi assunti da Washington con Uganda, Qatar e diversi altri paesi per ospitare (anche per diversi mesi) presso nazioni amiche invece che sul suolo americano migliaia di afghani evacuati da Kabul e che per ora non verranno trasferiti negli USA.
Accoglienza e integrazione che si preannunciano difficili anche per il divario culturale che separa la società afghana da quelle occidentali, al punto che sarebbe auspicabile che in generale fossero paesi islamici si rendessero disponibili ad accogliere chi fugge da Kabul.
Meglio non dimenticare che le rigide norme islamiche diffuse in Afghanistan non sono certo legate al solo regime talebano e che la sharia ha dominato la società afghana anche in assenza degli uomini del mullah Omar dal governo: basti ricordare il caso di Abdul Rahman, l’afghano convertito al cristianesimo che ottenne asilo in Italia e rischiava la condanna a morte per apostasia nella Kabul del presidente Hamid Karzai.
Del resto un ponte aereo di queste dimensioni diretto negli USA e in Europa attirerebbe un enorme numero di persone anche in molte altre nazioni in via di sviluppo, pure in assenza di conflitti o di regimi come quello talebano.
Un contesto molto complicato che si sarebbe potuto evitare evacuando i collaboratori afghani e i loro famigliari prima del completo ritiro dei militari alleati e del trionfo talebano.
Foto US Marine Corps, UK MoD e Facebook