MSV Ocean Trader, la nave più “segreta” del mondo
La MSV Ocean Trader è in servizio presso il Military Sealift Command (MSC), cioè quella componente della US Navy che allinea particolari unità ausiliarie, generalmente poco “visibili” in condizioni normali e del resto questa unità nasce con il particolare scopo di supportare le operazioni delle Special Forces, assetto piuttosto “riservato” per sua stessa natura. In particolare, si parla di quelle appartenenti al Naval Special Warfare Command (NSWC) della US Navy; anche se, in teoria, il tutto potrebbe essere esteso anche al resto della grande comunità delle Forze Speciali degli Stati Uniti inserite nello United States Special Operations Command (USSOCOM).
Lo sviluppo del programma
Sono le 08.28 del 16 novembre 2018 quando sul sito dell’allora Federal Business Opportunities (FBO) compaiono le prime indicazioni attraverso una Request For Proposal, RFP) per una nave battente bandiera statunitense che dovrà svolgere la funzione di Maritime Support Vessel (MSV). Indicazioni integrate poi da una serie di allegati che forniscono specifiche e caratteristiche varie; anche contrattuali.
La pubblicazione di quell’avviso dà così il via al processo di selezione del soggetto che dovrà fornire la piattaforma, effettuare le modifiche su di essa e far fronte al suo noleggio.
Dunque, non si procede all’acquisto ma a un “affitto” che comprende anche l’equipaggio destinato a condurla e gestirla; consentendo così ai militari di potersi concentrare sulle missioni assegnate.
Passa quindi un anno circa ed ecco giungere la scelta della proposta vincitrice e l’assegnazione di un contratto del valore di circa 73,7 milioni di dollari a Maersk Line Limited, destinato a coprire i costi di conversione e un primo breve periodo di noleggio.
L’allora eventuale esercizio delle successive opzioni (poi esercitate) avrebbe così portato il costo totale a 143,1 milioni di dollari saliti oggi a 196,5 milioni di dollari al netto di ulteriori prolungamenti del contratto.
In origine, era poi previsto che i lavori di modifica avessero una durata di 7 mesi, con consegna finale già nel novembre del 2014. In effetti, già nel gennaio del 2014, la nave giunse presso i cantieri di BAE Systems Southeast Shipyard di Mobile, in Alabama; con la concreta possibilità dunque di rispettare i tempi.
Invece, il programma finisce con il subire dei ritardi, determinati soprattutto dalle proteste inoltrate dalla Crowley Technical Management (che aveva proposto una soluzione alternativa) contro l’assegnazione del contratto alla Maersk.
Tutti ricorsi presentati vengono respinti ma questa lunga battaglia legale ha effetti pesanti sui tempi complessivi. Mentre infatti nello stesso ottobre del 2015 la nave effettua il definitivo cambio di bandiera e, soprattutto, quello del nome da Cragside a Ocean Trader, il ritardo rispetto ai piani iniziali diventa già di quasi 1 anno; con il traguardo delle prove in mare raggiunto poi solo nel maggio del 2016.
E’ dunque probabile che questi ritardi abbiano giocato un certo ruolo nell’aumento dei costi anche se non sono da escludere altri fattori come l’impatto della conversione stessa (piuttosto invasiva).
Tra l’altro, corre l’obbligo di ricordare che nell’ambito degli estesi lavori di trasformazione molti degli equipaggiamenti erano dei cosiddetti GFE (Government Furnished Equipment).
Si sta parlando ovviamente di sistemi specifici; per le comunicazioni, il comando e il controllo, per i mezzi/sistemi imbarcati e per tutte le esigenze più propriamente di natura militare.
A margine, si osserva che la scelta della proposta fatta da Maersk Line Limited è stata influenzata da 2 fattori principali. La società in questione, infatti, è la filiale Americana della Maersk Line e cioè un autentico “colosso” nel settore delle compagnie di navigazione.
Il suo rapporto consolidato con le varie ramificazioni dell’Amministrazione statunitense, sono stati un primo punto a favore. Sul secondo ha invece pesato il fatto che la nave scelta è stata costruita negli allora cantieri Danesi Odense Staalskibsværft, di proprietà della stessa Maersk.
Nel frattempo, la Ocean Trader si è ormai come “eclissata”; questo perché il transponder dell’AIS (Automatic Identification System) è stato spento, rendendola così ancora più “invisibile” anche per il fatto di aver mantenuto quasi inalterato l’aspetto esterno di una normale nave mercantile.
La nave
Per quanto riguarda le caratteristiche generali e le prestazioni richieste, il MSC aveva posto pochi ma importanti vincoli: lunghezza massima non superiore agli 800 piedi (213,4 metri circa), pescaggio non superiore ai 30 piedi (9,1 metri), autonomia minima di 8.000 miglia, velocità sostenuta di 20 nodi per almeno 5 giorni e, infine, una configurazione dell’impianto propulsivo con 2 eliche su altrettanti assi per ovvie questioni di ridondanza in caso di guasto o danno.
Nel dettaglio quindi, la proposta di Maersk Line Limited è incentrata sulla Cragside, una nave per il trasporto di veicoli di tipo RO-RO (Roll On-Roll Off), varata nel 2010 e completata l’anno successivo.
L’aspetto interessante è che queste navi sono basate su un progetto elaborato anni addietro dai cantieri tedeschi Flensburger Schiffbau Gesellschaft.
Lo stesso progetto (denominato RORO 2700) che è stato utilizzato per le 6 unità della classe Point, costruite per conto del Ministero della Difesa Britannico.
La Ocean Trader dunque non differisce molto dalle Point, tanto che sfruttando le informazioni disponibili sulle seconde, diventa possibile ricostruire un “identikit” anche della prima.
In termini di configurazione generale, contraddistinta dalla presenza di 3 ponti di carico per i veicoli (Main, Upper e Top Tank Deck) e dalla sovrastruttura posizionata a centro-poppa (ospitante la plancia di comando, gli alloggi per l’equipaggio, quelli per eventuali ospiti e i locali tecnici).
Ma pure in termini di dimensioni, con una lunghezza fuori tutto di 193 metri, larghezza di 26, pescaggio massimo di 7,4 metri e un dislocamento a pieno carico di 23.000 tonnellate.
A completamento della descrizione generale, la rampa di carico poppiera è stata mantenuta anche nella configurazione finale perché utile sia in banchina (per l’imbarco/sbarco in banchina di mezzi e materiali), sia quando la nave è in mare (per le operazioni con le imbarcazioni).
Come anticipato, anche il quadro delle prestazioni presenta aspetti di rilievo. Sul fronte della velocità di servizio si raggiunge infatti il valore di 21,5 nodi, al quale corrisponde un’autonomia di oltre 9.000 miglia. Dunque, in entrambi i casi, piena rispondenza ai criteri fissati sempre dal MSC.
Prestazioni che sono assicurate da un impianto propulsivo incentrato su 2 motori diesel MAK 9M 43 della potenza di 11.000 HP ciascuno; a questi, per le esigenze elettriche di bordo, si aggiungono 3 generatori diesel: 2 di servizio da 1.440 kW e 1 di emergenza da 450 kW.
Viste le accresciute necessità operative, non si può escludere che siano stati effettuati interventi di potenziamento. Di sicuro invece, è stata notevolmente accresciuta la capacità di produzione di acqua potabile: fissata circa 85.000 litri al giorno per le esigenze di tutto il personale imbarcato e circa 20.000 per quelle connesse alle altre esigenze di bordo.
Tra i sistemi i vari sistemi di bordo, si segnala la presenza di un’elica di manovra a prua mentre le funzioni di stabilizzazione sono assicurate da un sistema passivo di tipo Flume.
A suo tempo, i cantieri tedeschi Flensburger si vantavano delle qualità nautiche del loro progetto RORO 2700 in termini di tenuta al mare, basso livello di rumore e di vibrazioni, quadro prestazionale “brillante” e costi di gestione contenuti: qualità perfettamente funzionali ai compiti e alle missioni poi assegnate alla Ocean Trader.
Per ciò che riguarda l’equipaggio, sulle unità in configurazione originale erano disponibili 25 cabine singole anche se la nave poteva essere condotta/gestita da 18÷22 uomini. A ciò si aggiungevano comunque altre 6 cabine doppie, per un totale dunque di 37 posti.
Non vi sono indicazioni precise sulla consistenza esatta dell’equipaggio che invece arma l’Ocean Trader; anche se appare molto probabile che i numeri finali siano diversi (intorno ai 55/60 membri?).
All’equipaggio stesso sono infatti affidati non solo i compiti relativi alla condotta e alla gestione della piattaforma ma anche le funzioni di supporto/sicurezza alle operazioni e i servizi di guardia.
Infine, si ipotizza (ma senza conferme ufficiali) che sulla Ocean Trader possa essere stato adottato lo schema “dual crew”; un doppio equipaggio che si alterna per massimizzare il tempo di permanenza in mare.
Dalla Cragside alla Ocean Trader
Sulla Ocean Trader non esistono informazioni di carattere ufficiale e l’unico modo per ricostruirne le caratteristiche principali è attingere all’importante quantità di informazioni/specifiche emerse nella fase della competizione iniziale. Solo così si riesce a ottenere un quadro preciso delle capacità operative, aA grandi linee, suddivisibili quindi in 3 aree principali:
- il personale imbarcato,
- le capacità aeronautiche,
- le imbarcazioni trasportate.
Per ciò che riguarda il primo capitolo, come già ricordato, oltre al contingente “standard” di 50 uomini solitamente imbarcato, se ne può aggiungere un altro la cui consistenza può arrivare a 157 persone.
Questo personale ha disposizione 5 cabine singole, destinate agli Ufficiali, e 25 cabine doppie (queste ultime però capaci di ospitare fino a 4 persone in caso di necessità). In caso di “surge”, sono disponibili altre 5 cabine da 10 posti ciascuno. Infine, una cabina doppia per l’eventuale presenza di personale femminile.
Ovviamente, si parla di locali dotati di sistemi HVAC (Heating, Ventilation, Air Conditioning), con ampia disponibilità di tutto ciò che serve per la vita a bordo e le connessioni ai sistemi di comunicazione/ distribuzione di segnali audio e video. Gli alloggi per questo personale aggiuntivo dovrebbero essere stati ricavati all’interno dell’estensione verso poppa della sovrastruttura.
Sempre con riferimento alla presenza di personale a bordo, cioè Navy SEALs o altri operatori delle Forze Speciali Statunitensi, una grande attenzione è stata rivolta alla disponibilità di ampi spazi per alcune funzioni fondamentali.
In particolare, è prevista una “Conference Room” dotata di sistemi per le video-conferenze, radio e workstation con computer più periferiche varie.
Poi è stata richiesta una “Communication/Server Room” che, come la precedente, deve essere “SCIF capable” (Sensitive Compartmented Information Facility); in pratica, un’area all’interno della quale possono essere trattate in sicurezza informazioni classificate.
Essa deve disporre di spazi per i sistemi di comunicazione, con ulteriori stazioni di lavoro per gli operatori. Sempre “SCIF capable” sono anche le 2 “Support Rooms”, che possono essere unite o separate secondo le necessità, con spazio sufficiente per ospitare ulteriori postazioni di lavoro. In tutte queste aree sono inoltre disponibili un ampio numero di connessioni alla LAN (Local Area Network) e ai sistemi di comunicazione interni/esterni della nave. Anche questi locali dovrebbero essere stati ricavati nella sovrastruttura modificata.
Degni di nota anche i locali destinati all’attività fisica. Sulla Ocean Trader se ne trovano 2, che possono essere collegati formando un unico ambiente. La disponibilità di spazi completamente liberi e privi di ostacoli, fa pensare che essi possano venire usati anche per varie attività di addestramento più articolate.
Su una unità di questo genere e con queste caratteristiche/capacità operative non poteva certo mancare un “Medical Space” attrezzato, dotato cioè 2 tavoli chirurgici, 10 posti letto per i degenti, apparecchiature per analisi e diagnostica e sistemi di comunicazione anche per sfruttare le moderne tecniche di telemedicina. Altra caratteristica, la posizione centrale e di facile accesso rispetto al ponte di volo e a quello dedicato alle imbarcazioni.
A dimostrazione del fatto che nulla è stato lasciato al caso, sulla Ocean Trader è presente anche una “Equipment Ready Room”; al suo interno devono poter essere riposti tutti gli equipaggiamenti essenziali di pronto impiego e, non caso, essa è posta in maniera nevralgica vicino a tutte le aree operative più importanti.
Un altro ambiente di grande importanza è costituito dall’”Ordnance and Weapon Storage”, destinato a ospitare i diversi tipi di contenitori dedicati ad armi e munizioni degli operatori delle Forze Speciali imbarcati. Oltre a questi, altri 8 specifici contenitori sono posizionati in corrispondenza delle 6÷8 mitragliatrici scudate installate a bordo.
Distribuite in vari punti della nave, le 6 M2 da 12,7 mm su semplici affusti manuali servono a garantire una minima capacità di autodifesa; altre 2 mitragliatrici possono infine essere installate temporaneamente sul ponte di volo.
Visto che si è parlato di sicurezza e difesa della nave, un breve inciso; tra le richieste del MSC, vi è anche l’installazione di sistemi di allarme anti-intrusione, di un sistema di TV a circuito chiuso e di luci posizionate in prossimità della linea di galleggiamento per illuminare lo scafo (si tratta di luci infrarosso, funzionali anche alla condotta di operazioni notturne di messa in mare e recupero delle imbarcazioni).
Questa prima rassegna di analisi degli spazi interni più strettamente legati alle esigenze del personale imbarcato, si conclude con altre 2 zone ugualmente importanti.
La prima è definita “Equipment Stowage” ed è pensata per accogliere ben 12 container ISO da 20 piedi e 6 contenitori ISU standard, con le predisposizioni per una loro eventuale alimentazione. Da ultimo, una serie di “Departmental Storage Spaces” per l’immagazzinamento di attrezzi, parti di ricambio ed equipaggiamenti vari. Anche in questo caso sono previste predisposizioni per l’alimentazione di diverse utenze.
A conferma poi della natura di vera e propria “Sea Base”, la Ocean Trader dispone di un’autonomia operativa davvero importante così come richiesto dal MSC: sia in presenza del contingente di 50 militari normalmente imbarcato che nel caso di aumento degli stessi, la nave deve essere comunque in grado di operare senza rifornimento per 45 giorni.
Al tempo stesso deve essere “UNREP (Underway Replanishment) capable” e cioè deve essere in grado di essere rifornita in navigazione al fine di estendere l’autonomia fino a 90 giorni; sia con la modalità FAS (Fueling At Sea) per ricevere carburante, sia con quella VERTREP (Vertical Replanishment) per ricevere principalmente carichi solidi. Al fine di poter essere rifornita in navigazione, la Ocean Trader è stata quindi dotata dell’apposita attrezzatura per ricevere il carburante.
Le capacità aeronautiche, e…
Il secondo aspetto distintivo di questa piattaforma è costituito dall’introduzione di significative capacità aeronautiche. A spiccare tra tutte le modifiche apportate è così l’hangar di notevoli dimensioni, eretto a prua della sovrastruttura esistente; esso insiste dunque su di una porzione dell’Upper Deck, la cui parte libera rimanente si trasforma così nel ponte di volo. L’hangar è dimensionato per poter ospitare 2 elicotteri medi della famiglia H-60 o, in alternativa, uno pesante di quella H-53.
Le specifiche fanno riferimento alla capacità di svolgere operazioni di atterraggio/decollo per 2 elicotteri H-60 in simultanea o un singolo H-53 (o ancora, in caso di necessità, di un convertiplano MV-22). Sempre il ponte di volo è stato strutturato in modo da consentire le operazioni VERTREP con un ampio ventaglio di elicotteri e poter ricevere/distribuire rapidamente dall’interno/verso l’interno della nave carichi pallettizzati. Il tutto a valle di una certificazione che consente operazioni diurne, notturne e in condizioni meteo avverse.
Nelle vicinanze dell’hangar sono poi stati ricavati altri 2 locali destinati alle attività di manutenzione.
Sempre in termini di dotazioni aeronautiche, un passaggio a parte lo meritano i 2 EUAS (Expeditionary Unmanned Aerial System) imbarcati ma di tipo mai specificato anche se dalle poche foto disponibili è emersa la presenza su di uno spazio ricavato a poppa per un lanciatore pneumatico per sistemi della Boeing-Insutu.
Dunque, o si tratta degli MQ-27 Scan Eagle o dei più recenti RQ-21 Blackjack. Ad ogni modo, a essi è dedicato un “Operations Space” che ospita 2 GCS (Ground Control Station). Da ultimo, le significative capacità di carburante imbarcato: ben 150.000 galloni di JP-5.
…e quelle nel settore delle imbarcazioni
In questo caso, è stato il Main Deck a essere stato profondamente trasformato allo scopo: nel dettaglio, le specifiche indicano che devono essere almeno 8 le imbarcazioni, delle dimensioni di 12,5 metri di lunghezza per 3 di larghezza da ospitare al proprio interno. Oltre a queste, devono però poter essere imbarcati anche 8 gommoni Zodiac F470 (i classici Combat Rubber Raiding Craft o CRRC) e altrettanti jet ski.
Scendendo poi nel dettaglio, inizialmente, si era pensato all’imbarco dei soli NSW RIB (Naval Special Warfare, Rigide Inflatable Boat), veri e propri “cavalli da battaglia” per i Navy SEALs. Sono state però le solite foto “rubate” quasi di nascosto a fornire nuove indicazioni; da esse si individua infatti chiaramente la presenza anche dei CCA (Combatant Craft Assault), uno dei mezzi di più recente introduzione nelle fila del NSWC. Dunque, alla fine, sulla Ocean Trader c’è sicuramente la possibilità di ospitare svariate combinazioni tra i RIB e le CCA.
Ovviamente, una tale presenza di mezzi ha bisogno di una non meno importante dotazione di sistemi.
Prima di tutto, quelli di lancio e recupero delle stesse imbarcazioni; che, per la precisione sono 4, tutti installati sul lato di dritta della nave. E’ da notare la scelta di mantenere celate le 4 aperture praticate sul fianco della nave; sia per riparare dagli agenti atmosferici quanto contenuto all’interno, sia per nascondere il tutto da sguardi indiscreti. Accanto a ogni stazione di lancio/recupero sono poi presenti varie attrezzature di supporto, comprese stazioni di rifornimento.
Ma, come detto, è l’intero Main Deck a essere interessato da profonde modifiche; accanto infatti agli spazi destinati alle imbarcazioni/mezzi, sono state ricavate delle aree che svolgono la funzione di officina meccanica e di magazzini per le parti di rispetto. Oltre ai vari strumenti utilizzati per la movimentazione di quanto imbarcato.
Per certi versi ancora meno appariscente l’ultimo set di capacità riferibili al contesto subacqueo. Sulla Ocean Trader è infatti presente una “Dive Locker” posizionata in prossimità del ponte delle imbarcazioni composta da un locale per la ricarica delle bombole (con compressori e pompe di trasferimento dell’ossigeno) e da una “Oxygen Safe Room” all’interno della quale riporre tutte le attrezzature da sub.
Tale area è inoltre attrezzata per ospitare anche una “Standard Navy Double Lock (SNDL) recompression chamber”, cioè una camera iperbarica di supporto alle operazioni subacquee che, non a caso, è collocata nelle vicinanze del “Medical Space”. Accanto a questi 2 locali principali, si trovano inoltre una stanza dedicata all’asciugatura delle attrezzature (con appositi deumidificatori), un altro locale dedicato alla carica delle batterie dei sistemi (quali, per esempio, i Diver Propulsion Vehicles o DPVs) e, infine, l’immancabile area dedicata alla manutenzione.
Per quanto non se ne faccia cenno nella documentazione del MSC, appare logico ipotizzare che l’Ocean Trader possa supportare in futuro anche la nuova generazione di mezzi subacquei in fase di sviluppo: lo Shallow Water Combat Submersible (SWCS) e, forse, anche il Dry Combat Submersible (DCS).
Molto più complicata infine la questione legata all’analisi di altri sistemi specifici. In particolare, giungono (generiche) informazioni sulla presenza di un sistema di comunicazione interna, corredato di uno “Shipborne Alarm and Announcing System”.
La nave dispone inoltre di 3 reti in fibra ottica, tra loro separate. Ancora più nebulosa la questione degli apparati di comunicazione verso l’esterno; a grandi linee si può affermare che sono stati installati apparati radio VHF, UHF e satellitari (in particolare, Iridium); inoltre sono presenti antenna e terminali del Global Broadcast Service (GBS).
Al fine inoltre di migliorare le capacità di scoperta, sono stati aggiunti 2 sistemi FLIR (Forward Looking InfraRed) e 2 rilevatori di segnali per emissioni radar/radio; oltre ad altrettanti sistemi IFF (Identification Friend or FOE). Non infine dato sapere se i 2 radar di navigazione in origine installati sulla Cragside siano stati mantenuti o sostituiti.
Oltre la Ocean Trader
Se da una parte questa nuova nave ha attirato l’attenzione di più parti, è doveroso ricordare come essa non sia né una novità, né un caso isolato. Nell’ambito infatti del gruppo di unità del MSC denominato “Special Mission PM2”, si trovano alcune unità appartenenti al “Submarine and Special Warfare Support”; al cui interno ha già operato una unità dai compiti simili alla Ocean Trader: la MV C-Champion.
In pratica, una ex-“Offshore Supply Ship”, per l’appunto presa a noleggio e trasformata in unità di supporto alle Special Forces della US Navy. Le dimensioni ridotte hanno così consentito di imbarcare contingenti numericamente limitati (una trentina di uomini), poche imbarcazioni (4 NSW RIB o simili) e nessuna capacità aeronautica. Comunque, a quanto è dato sapere, questa piattaforma è stata impiegata nell’area di operazioni dell’allora PACOM (Pacific Command).
Il contratto di noleggio della MV C-Champion è poi terminato nell’ottobre del 2017.
Ma, di fatto, quell’esperienza non si è conclusa, perché già nel novembre successivo ha avuto inizio un altro contratto di noleggio con la società Offshore Service Vessels (OSS) sempre per il ruolo di Maritime Support Vessel. E’ da notare che tutte queste operazioni ruotano intorno a una sola azienda, la Edison Chouest Offshore (ECO); proprietaria delle navi, a loro volta costruite e poi modificate in cantieri sempre di sua proprietà.
Dal novembre del 2017 sta così operando una nuova unità, la Carolyn Chouest. Si tratta di un’altra “Offshore Supply/Service Ship” che già da diversi anni operava nell’ambito del MSC, sia pure con un altro ruolo.
Dal punto di vista delle dimensioni, questa nave presenta una lunghezza 72,5 metri per una larghezza di 15,85 e un pescaggio di 5,2; il tutto per un dislocamento di meno di 1.250 tonnellate (prima delle modifiche). La potenza totale è di 10.800 HP, con una velocità massima continuativa di 17 nodi e un’autonomia di oltre 8.600 miglia alla velocità di crociera di 12 nodi.
In termini di caratteristiche generali, la Carolyn Chouest si presenta come una sorta di “Ocean Trader in scala ridotta”; capacità di ospitare fino a 50 uomini (oltre all’equipaggio), di lanciare, recuperare e rifornire vari tipi di imbarcazioni e di far operare UAS.
Ridotta ma pur sempre interessante la dotazione di imbarcazioni; su questa nave sono infatti installati 4 sistemi di messa in mare e recupero, a fronte di una dotazione standard costituita da un NSW RIB, una CCA e 4 CRRC.
Sulla nave sono poi presenti 4 affusti per altrettante mitragliatrici destinate a fornire la protezione ravvicinata dell’unità. Sempre ai fini della sicurezza, sono installati sistemi sorveglianza a circuito chiuso, e sistemi anti-intrusione e apparati FLIR.
Non potendo ospitare elicotteri, la Carolyn Chouest si deve “accontentare” della presenza di un sistema MQ-27 Scan Eagle. Un’altra mancanza rispetto alla Ocean Trader è costituita dall’assenza di capacità di supporto a sommozzatori e alle loro operazioni; almeno oltre attrezzature/spazi pressoché basici.
Da un punto di vista economico, il costo annuale del noleggio è di circa 8 milioni di dollari. L’area di operazioni è l’attuale INDOPACOM ma rimane salva la possibilità di impiegare la nave anche in altri teatri.
Nel mezzo di questa “staffetta” tra le 2 unità del gruppo ECO, sono poi gradualmente emerse informazioni (ancora una volta, molto frammentarie) sul ricorso da parte dell’MSC a un’altra nave ancora.
Si tratta della Kellie Chouest, che per anni ha servito in seno al MSC con la missione di “Deep Submergible Elevator Support Ship”. Almeno fino al maggio del 2012, quando invece è emersa l’assegnazione di un contratto alla Alpha Marine Services (ennesima azienda del gruppo ECO) che l’avrebbe impiegata da quel momento in poi proprio come MSV. Secondo gli ultimi contratti, l’area di operazioni di riferimento è quella del SOUTHCOM (Southern Command, corrispondente all’America del Sud) ma con la possibilità di essere dispiegata anche altrove. Per questa unità, il costo annuo del noleggio è indicato in circa 11,7 milioni di dollari.
La Kellie Chouest si presenta come un’unità con caratteristiche parzialmente diverse dalla Carolyn Chouest; prima di tutti in termini di dimensioni, dato che si parla di 94 metri di lunghezza per 16 di larghezza e un pescaggio di 4,6.
Il dislocamento prima delle modifiche apportate era di 1.575 tonnellate, mentre l’impianto propulsivo dispone di 2 motori diesel con una potenza complessiva di oltre 4.000 HP che conferiscono alla nave una velocità non superiore ai 13 nodi, con un’autonomia di 9.600 miglia alla velocità di crociera di circa 10 nodi.
La missione di questa unità ricalca pressoché fedelmente quella delle altre navi appena menzionate; supporto al contingente di Forze Speciali e alle imbarcazioni in dotazione.
Sia pure con delle differenze; prima di tutto sul numero dei mezzi imbarcati e cioè ben 6 tra CCA e NSW RIB, 2 o 4 jet-ski e 5 CRRC. Ancora più particolari le modalità di lancio e recupero, visto che se da un lato sono comunque installati 4 sistemi basati su comuni gru, dall’altro è possibile utilizzare anche una particolare piattaforma abbassabile e sollevabile. Altra differenza, la vistosa piattaforma di atterraggio/decollo per elicotteri, dalla quale possono essere fatti operare anche UAS.
Sia la Carolyn Chouest che la Kellie Chouest sono poi dotate di mitragliatrici per la difesa ravvicinata, insieme alla solita presenza di sistemi di allarme/anti-intrusione e TV a circuito chiuso.
Tema che si ricollega anche alla analoga comune installazione di altre apparecchiature specifiche; dunque, FLIR, sistemi di comunicazione interni ed esterni (radio e satellitari) nonché terminali per la connessione alle reti operative USA.
Conclusioni
Le tre unità descritte risultano rappresentative di 3 tendenze importanti che spesso finiscono con l’intrecciarsi fra loro:
- la sempre maggiore importanza delle Special Forces;
- il sempre più frequente ricorso a piattaforme “civili” per determinati compiti militari;
- l’espansione del concetto del “Sea-Basing”.
Per quanto riguarda il primo, è evidente a chiunque quanto questo specifico assetto operativo abbia guadagnando attenzione per le grandi/molteplici capacità che è in grado di assicurare. In campo navale, tutto questo si traduce in un impiego sempre più intenso non solo nella vasta gamma di “Maritime Irregular Warfare Activities” ma, anche, nell’ambito dei conflitti “convenzionali”.
Ed è qui che, di fatto, entra in gioco il secondo aspetto. Rappresentato dalla considerazione che per assolvere tali “activities” diventa necessario disporre di unità flessibili che però non devono avere necessariamente specifiche caratteristiche di tipo militare; anzi, a prevalere è la richiesta verso piattaforme che siano economiche, soprattutto “discrete” e per l’appunto capaci di adattarsi facilmente a contesti/situazioni diverse.
Una tendenza che, non caso, si sta ampliando. Si pensi, solo negli ultimi anni, a esperienze come quelle delle T-EPF (Expeditionary Fast Transport) e, ancora di più, delle T-ESB (Expeditionary Sea Base). Con queste ultime evidente dimostrazione della validità di un concetto, quello della “base galleggiante” disponibile per un ampio ventaglio di missioni.
Tanto che altre Marine, oltre alla US Navy, stanno già operando o stanno progettando soluzioni simili.
Infine un’ultima considerazione è legata alla crescente importanza del mare come punto di partenza delle operazioni anche verso la terraferma con l’implementazione sempre più spinta del “Sea Basing”, di fatto, la ragion d’essere delle Maritime Support Vessel appena analizzate.
E’ innegabile che anche questo tipo di piattaforme presenti dei limiti, soprattutto in funzione del fatto che proprio la loro natura di navi mercantili trasformate in navi d’appoggio/basi galleggianti le rende particolarmente vulnerabili, prive come sono (spesso) di sistemi e apparati di difesa anche se la natura particolare delle loro missioni (tipica degli scenari a bassa intensità) le dovrebbe mettere almeno in parte al riparo da gravi minacce.
Fonti e foto: The War Zone e Global Security.org