Il Saab 35 Draken, noto anche come J 35, è un aereo da caccia svedese da superiorità aerea e attacco al suolo, il primo aereo scandinavo capace di raggiungere Mach 2.
Molto innovativo nella sua struttura aerodinamica, ha prestato servizio per circa 40 anni ricoprendo praticamente tutti i ruoli possibili per una macchina tattica. L’avanzata idea di un caccia intercettore capace di velocità supersoniche venne concretizzata già nel 1949 in una nuova specifica emessa dalla Flygvapnet (Aeronautica militare svedese) relativa ad un intercettore capace di Mach 1,4 e strumentazione ognitempo. L’ufficio tecnico della Saab, diretto dall’ingegner Erik Bratt, lavorò su di una struttura alare che risultò particolarmente innovativa. La forma migliore per l’ala di un velivolo supersonico è quella a delta, ma dal momento che questa ha anche vari inconvenienti alle basse velocità, venne escogitata una variante chiamata “a doppio delta”, con uno speciale raccordo tra le prese d’aria e il bordo d’attacco dell’ala stessa. Il velivolo era talmente originale che per studiarne le concrete possibilità venne costruito una sorta di “mini-Draken”, conosciuto come Saab 210, che era una macchina in scala 7:10 rispetto al caccia previsto, ed era motorizzato da un turbogetto da 475 chili di spinta. L’aereo volò nel 1952. L’anno dopo venne emesso un ordine per tre prototipi del Saab J 35, e il primo di essi decollò per la prima volta nel 1955. Il caccia raggiunse effettivamente Mach 1,4, ma ben presto le esigenze di una maggiore velocità resero necessario adottare un motore più potente, e i primi esemplari del J 35A da Mach 1,8 entrarono in linea nel 1961. Analizzare quest’aereo al meglio richiede la descrizione del modello definitivo, la versione F. Questo velivolo aveva la struttura tipica del progetto, un’ala a doppio delta con un leggero angolo a freccia nelle semiali esterne. Il bordo d’uscita era totalmente occupato da due coppie di alettoni-ipersostentatori. Nella parte bassa della fusoliera posteriore erano sistemati gli aerofreni, molto piccoli. Il caccia disponeva di un motore RM-6C, versione su licenza dell’RM-146 Avon inglese. Esso garantiva una spinta “a secco” di 5.765 chili (che diventavano 7.830 con postbruciatore). Le prese d’aria erano sul bordo d’entrata delle ali. La dotazione di carburante era di circa 2.860 litri, oltre a un massimo di quattro serbatoi esterni da 525 litri. Il carrello d’atterraggio ha una particolarità: rappresenta un misto di triciclo anteriore e posteriore, come si vede dall’assetto cabrato che tiene il muso del Draken a terra; ciò è dovuto al quarto elemento, il ruotino di coda, che è stato aggiunto per aumentare la sicurezza dell’aereo all’atterraggio, caso davvero unico per un jet “convenzionale” come questo. Il muso racchiudeva il radar PS-1, che a suo tempo era uno dei migliori e più potenti radar disponibili, nonostante le minuscole dimensioni della prua della macchina. Il sensore all’infrarosso, sistemato sotto le ali, era uno Hughes LM-1. Era disponibile il datalink per il sistema di difesa aerea STRIL 60, assolutamente necessario per sfruttare al meglio le capacità dell’aereo, inserito in un network informatico vero e proprio. Il Draken era dotato di un cannone alla radice dell’ala destra. L’armamento si basava su varie combinazioni di equipaggiamenti in ben 11 punti d’aggancio sotto la grande ala e la fusoliera. I missili Aim-26B erano la versione migliorata degli AIM-4, molto più affidabili. Il modello AIM-26 è nato come vettore di armi nucleari aria-aria, ma ne è entrata in servizio una derivazione convenzionale, anche esportata in alcuni paesi, sia pure senza molto successo.
Versioni:
J35A: versione basica, motore RM6B, due cannoni da 30 mm e due AIM-9B. Il radar era l’Eriksson LM, come quello del Lansen, ed è curioso vedere come esso fosse un prodotto su licenza CSF, cosicché il Draken aveva un radar francese coniugato con un motore inglese.
J35B: modello migliorato, dotato di un’interfaccia con il sistema di difesa aerea STRIL60, capacità di trasportare 1.000-1.800 kg di bombe e miglioramenti vari. Quasi tutti i J 35A vennero aggiornati a questo standard.
Sk35C: ribattezzato ben presto Sk 35C, era il modello biposto del velivolo; 25 J 35A furono convertiti in questa versione.
J35D: il primo modello “maturo” era questo caccia, totalmente integrato nel sistema STRIL 60, solo parzialmente ottenuta con il “B”. Aveva un motore RM6C con una spinta da 7.830 chili a pieno postbruciatore, e quattro AIM-9B. Entrato in linea nel 1963, tre anni dopo il primo volo. 24 aerei denominati S-35Oe vennero consegnati nel 1987 all’aviazione austriaca.
S35E: ridenominato S 35E, aveva una vocazione per la ricognizione aerotattica, grazie a cinque camere OMERA, da scegliere tra le sette disponibili. Incorporava anche altre migliorie, come il tettuccio a bolla per migliorare la visibilità per il pilota.
J35F: versione totalmente “maturata” tecnicamente e tatticamente. Esso aveva un radar PS-1 e un sensore infrarosso, contromisure elettroniche passive di tipo imprecisato (anche perché non sembrano visibili antenne) e i missili Rb 27 (gli Aim-26B Falcon statunitensi, il modello “maturo” dei missili Falcon) sia di tipo radar che IR-guidato. Il cannone di sinistra venne rimosso. Furono prodotti 320 esemplari.
F35X: modello export; per la prima volta la Svezia realizzò un modello specificatamente commerciale di un suo aereo. Venne acquistato in 51 esemplari dalla Danimarca nei modelli caccia, addestratore e ricognitore, oltre a 12 per la Finlandia che ha acquistato anche decine di altre macchine di altre versioni.
J35J: modello aggiornato del Draken, ottenuto trasformando 64 “F” con aggiornamenti vari quali i missili AIM-9L. Sono stati ricostruiti alla fine degli anni ottanta.
Il Draken era nelle sue ultime versioni un potente strumento bellico. La maneggevolezza era molto buona, grazie alla struttura alare molto elaborata ed antesignana del delta-canard, al ridotto carico alare ed all’assenza di vizi di volo particolari.
Il combattimento aereo vedeva un deciso vantaggio nel radar PS-1, uno dei migliori della categoria, e che tra i caccia leggeri è stato superato praticamente giusto da quelli della nuova generazione, come l’APG-66. È impressionante che il muso, tanto piccolo ed appuntito, lo contenesse, ed assieme vi era pure un IRST di prima generazione, probabilmente simile a quello montato sui F-4B Phantom.
L’aereo non aveva però una grande accelerazione, perdeva facilmente energia nelle manovre e la velocità di salita appariva inferiore a quella della maggior parte dei suoi contemporanei, nonostante la potenza del motore fosse certamente la più elevata disponibile per un monoposto dell’epoca. Il fatto è che anche il peso era molto elevato.
In missione d’attacco, il J 35 poteva volare con insospettabile stabilità per una macchina a delta, persino in voli veloci a bassa quota. Aveva la possibilità di trasportare 1.000 kg di bombe a 720 km di distanza, una prestazione di tutto rispetto, sia pure ottenuta con un profilo misto di volo, “Hi-Lo-Hi” (avvicinamento ed allontanamento ad alta quota, avvicinamento finale, attacco e disimpegno a bassa). Visto che tale valore è il doppio di quello del MiG-21, pur dotato della stessa capacità di carburante e di un motore meno potente, ci si può chiedere come ciò sia possibile. La risposta in larga misura va cercata nella capacità di trasportare esternamente due serbatoi da 1.270 litri. Il sistema di navigazione inerziale permetteva inoltre la straordinaria prestazione di un errore di appena 300 metri dopo un volo di un’ora e mezzo.
Nell’atterraggio il Draken era avvantaggiato dalla sua velocità di stallo che, complice un carico alare tra i 160 e i 350 kg/m², era di appena 210 km/h. Questo spiega come fosse possibile atterrare in 450-600 metri a seconda delle situazioni. Il Draken aveva quattro aerofreni, ma erano talmente piccoli che non avevano quasi effetto sotto i 300 km/h, tanto che il pilota li poteva lasciare persino aperti in fase d’atterraggio e non rendersene conto. Inutile dire che la macchina aveva una grande stabilità sulla pista, grazie al carrello a larga carreggiata con ben quattro elementi.
Paesi utilizzatori:
SVEZIA;
Austria – Il 21 maggio 1985 l’aeronautica militare austriaca (Österreichische Luftstreitkräfte) stipulò un contratto per l’acquisto di 27 J35D, risiglati J35ÖE. Erano dei J35D con motore Rolls-Royce Avon 300 con compressore Volvo Flygmotor RM6C, capacità di carburante interna aumentata di 600 litri, nuovi radar e sistemi di tiro, tettuccio bombato come quello del J35F, ricevitori radar d’allarme (Radar Warning Receiver, RWR) e lanciatori di chaff e flare. A seguito delle limitazioni agli armamenti imposte nel trattato di pace alla fine della seconda guerra mondiale, l’Österreichische Luftstreitkräfte non poteva avere aerei armati con missili, quindi l’armamento dei Draken austriaci era limitato ai cannoni di bordo. L’ordine venne poi ridotto a ventiquattro aerei che vennero consegnati tra il 25 giugno 1987 ed il 18 maggio 1989. Nel contratto erano compresi motori ed altri ricambi, un simulatore di volo e l’addestramento di piloti e tecnici. I piloti venivano addestrati in Svezia sui Draken biposto SK35C fino alla loro radiazione nel 1997. I Draken entrarono in servizio in entrambi i gruppi di volo (Staffel) dello stormo di sorveglianza (Uberwachungsgeschwader), il I Staffel sulla base di Zeltweg ed il II Staffel sulla base di Graz-Thalerof. Nel 1991 con la guerra civile nell’ex-Jugoslavia iniziarono le violazioni dello spazio aereo austriaco da parte di aerei jugoslavi, e quindi le intercettazioni su allarme (scramble) da parte dei Draken. A seguito di questa nuova situazione, l’Österreichische Luftstreitkräfte venne autorizzata ad usare missili, per cui i Draken vennero armati con AIM-9P Sidewinder e dotati di nuovi ricevitori radar d’allarme e lanciatori di chaff e flare identici ai più recenti usati sui Draken svedesi. Nel 2003 l’Österreichische Luftstreitkräfte ha scelto come sostituto del Draken l’Eurofighter Typhoon. Il contratto per diciotto aerei è stato firmato nell’agosto 2003. A causa dell’elevato numero di ore di volo dei Draken e dei tempi di consegna previsti per il Typhoon, era chiaramente necessaria una soluzione provvisoria per sostituire i Draken appena possibile. Il nove marzo 2004 venne approvato un accordo con la Svizzera per la fornitura di dodici Northrop F-5E Tiger II in leasing per quattro anni, fino al giugno 2008. Il contratto prevede 5.000 ore di volo e comprende ricambi, attività di manutenzione eseguita da un’azienda svizzera ed addestramento dei piloti. I primi quattro Tiger sono arrivati il sette luglio 2004 alla base di Graz-Thalerof e sono stati assegnati al II Staffel che ha passato i suoi Draken al I Staffel di Zeltweg. Il II Staffel ha iniziato il servizio d’allarme coi Tiger nella primavera del 2005. In seguito anche il I Staffel è stato riequipaggiato coi Tiger, gli ultimi Draken sono stati radiati a fine 2005.
Finlandia – Nel 1972 l’aeronautica militare finlandese (Suomen ilmavoimat) ricevette sette J35B in leasing dalla Svezia, denominati J35BS. A partire dal 1974 vennero prodotti dalla Valmet su licenza dodici J35F denominati J35S. Nel 1976 vennero acquistati i J35BS ed inoltre ventiquattro J35F, risiglati J35FS, e cinque biposto SK35C risiglati SK35CS. Il contratto comprendeva anche l’acquisto di due simulatori di volo e due cellule per l’addestramento dei tecnici di manutenzione. I Draken finlandesi erano armati con missili RB-27 Falcon, versione prodotta su licenza dell’AIM-4 Falcon, e RB-24J Sidewinder, versione prodotta su licenza dell’AIM-9P. Probabilmente erano stati modificati per impiegare anche i K-13 (AA-2 Atoll) di produzione sovietica acquisiti per i MiG-21. I Draken erano in servizio in due gruppi di volo, l’HavLLV 11 di base a Rovaniemi, responsabile della difesa aerea del nord della Finlandia, e l’HavLLV 21 di base a Tampere, responsabile della difesa aerea del sudovest. L’HavLLV 31 di base a Kuopio, responsabile della difesa aerea del sudest, era equipaggiato coi MiG-21. A partire dal 1995 la Suomen Ilmavoimat ha sostituito entrambi i caccia in servizio con McDonnell Douglas F/A-18 Hornet. Nel febbraio 1995 sono arrivati dagli USA sette biposto F/A-18D, entrati in servizio il sette novembre. La Finavitec, ex-Valmet, ha prodotto su licenza cinquantasette F/A-18C a partire dal 1996. Poiché le limitazioni agli armamenti imposte nel trattato di pace alla fine della seconda guerra mondiale imponevano un limite di sessanta caccia e privi di capacità di attacco al suolo, la Suomen Ilmavoimat ha acquisito solo armamento aria-aria e risiglato gli Hornet come F-18, i biposto ufficialmente sono solo aerei da addestramento.
1954: il BAC “Lightning”
L’English Electric Lightning (Fulmine), successivamente BAC Lightning, è stato un caccia intercettore britannico supersonico, in servizio presso la RAF principalmente tra gli anni sessanta e settanta; gli ultimi esemplari furono radiati dall’11° Squadron nel 1988.
Quest’aereo era rinomato principalmente per la sua velocità (era capace di volare a velocità supersoniche senza ricorrere al postbruciatore), la rapidità di salita in quota (poteva salire a 15.000 m in meno di un minuto), l’agilità di manovra e trovò impiego, oltre che nella RAF, anche presso l’aviazione saudita e quella del Kuwait (Kuwait Air Force).
Le origini del Lightning risalgono agli anni cinquanta, quando il progettista Teddy Petter, già capo disegnatore alla Westland Aircraft, iniziò ad ideare un aereo in grado di soddisfare la specifica F.23/49 rilasciata dall’Air Ministry. Questa era stata preceduta dalla specifica E.24/43, che aveva portato allo sviluppo del Miles M.52, progetto poi abbandonato nel 1946. Si trattava di un aereo sperimentale supersonico, da cui il futuro Lightning ereditò le innovazioni aerodinamiche, tra le quali la più importante fu la presa d’aria a cono.
Il Lightning fu progettato per essere utilizzato come caccia intercettore da difesa locale, capace di tempi di reazione limitati, al fine di difendere il territorio inglese da eventuali incursioni di bombardieri. Per ottenere tali prestazioni, l’aereo fu disegnato con una fusoliera di sezione il più ridotta possibile, anche a scapito della capacità del serbatoio. Si tentò di sopperire a ciò riempiendo di carburante ogni spazio non utilizzato per altri scopi, perfino i flap. Anche gli pneumatici del carrello furono previsti delle minori dimensioni possibili, per non sottrarre spazio al carburante.
Sempre per ottimizzare le prestazioni, i due motori furono disposti l’uno sull’altro verticalmente, sfalsati (per evitare di concentrare tutto il peso nella coda dell’aereo), con quello inferiore più in avanti di quello superiore. Questa disposizione permise di minimizzare la resistenza aerodinamica: si otteneva il doppio della spinta incrementando il diametro della fusoliera solo della metà
Il primo prototipo, il P.1, volò per la prima volta il 4 agosto 1954 dalla base RAF di MoD Boscombe Down, nello Wiltshire. Al terzo volo, l’11 del mese, il pilota riuscì a spingerlo oltre Mach 1, nonostante i motori, due Armstrong Siddeley Sapphire Sa.5, fossero sprovvisti di postbruciatore.
Il secondo prototipo, il P.1A, fu presentato al pubblico durante il Farnborough Air Show del 1955. Il P.1A era semplicemente un P.1 con cannoncino da 30mm e in seguito dotato di un'”escrescenza” ventrale, che incrementava la capacità del serbatoio.
La versione successiva, P.1B, fu dotata dei più potenti motori Rolls-Royce Avon, la presa d’aria assunse sezione rotonda (prima era a forma d’uovo) con il tipico cono, e l’impennaggio verticale fu ingrandito. Inizialmente furono ordinati 3 P.1B ed in seguito altri 20 (1954), per valutare l’efficacia della macchina nel ruolo di intercettore; il primo esemplare di questa preserie ebbe il battesimo del volo il 4 aprile 1957, e benché non avesse il serbatoio ventrale i successivi velivoli ne furono dotati.
Da notare che contemporaneamente il ministro della difesa britannico dichiarò in un documento (la White Paper) che era finita l’epoca del caccia pilotato e che la difesa della Gran Bretagna sarebbe stata garantita, da allora in avanti, dai missili terra-aria. Questo ebbe un impatto negativo su tutta la produzione aeronautica inglese, ma non sul progetto della English Electric, il cui sviluppo non fu arrestato.
Nell’ottobre del 1958 la RAF assegnò all’aereo della English Electric il nome ufficiale di Lightning: era il primo aereo britannico a superare Mach 2.
Il primo Lightning entrò in servizio nel dicembre del 1959, presso la base RAF di Coltishall, nella contea di Norfolk: in realtà era un P1.B di preserie. I primi Lightning di serie (F Mark1) furono consegnati, a partire dall’anno successivo, al 74° Squadron in sostituzione degli Hawker Hunter. Vista la difficoltà di pilotare un aereo così innovativo, nel 1961 fu fatta entrare in linea una versione (TMk.1) da addestramento biposto della F Mk.1.
Le versioni successive del Lightning furono più che altro aggiornamenti dell’avionica, dei sistemi d’arma, dei motori e aggiustamenti delle superfici aerodinamiche; l’aereo comunque non subì modifiche sostanziali.
Il Lightning uscì di produzione nel dicembre 1969, ma rimase in servizio presso la RAF fino alla sua ufficiale radiazione il 30 luglio 1988. Fu rimpiazzato principalmente dai Tornado, ma anche dagli F-4 Phantom.
Il Lightning era il principale intercettore inglese durante il periodo culminante della guerra fredda, dispiegato presso ben 10 Squadron, sparsi tra Inghilterra, Cipro, Germania e Singapore. Non fu mai impiegato in nessuna operazione di guerra; comunque, dovette più di una volta, come altri aerei NATO, intercettare bombardieri sovietici a lungo raggio, come i Tu-20, che saggiavano i sistemi di difesa occidentali.
La Royal Air Force ha impiegato il Lightning dal 1959 al 1988.
La Royal Saudi Air Force ha impiegato i Lightning dal 1967 al 1986.
L’aviazione kuwaitiana ha impiegato sia F.53K monoposto che T.55K da addestramento dal 1968 al 1977.
Il Lightning vantava delle prestazioni invidiabili, anche quando giunse alla fine della carriera.
La velocità di salita, 15 km in un minuto, superava quella dei Mirage III (9 km/min), dei MiG-21 (11 km/min), dei Tornado (13 km/min) e dei Draken.
Anche la tangenza massima, ufficialmente indicata come superiore a 18.000 m, sembra che sia stata testata in 26.600 m. Comunque è documentato il fatto che durante un’esercitazione NATO, nel 1984, un F Mk.3 intercettò un U-2, a 26.800 m di quota.
In un test contro un F-104 Starfighter, il Lightning si dimostrò superiore in tutte le prove di “tempo per altezza” e perfettamente alla pari nel caso dell’accelerazione supersonica a bassa quota.
Queste notevoli capacità di volo del Lightning erano però associate a capacità belliche ridotte: un pannello degli strumenti con un design degli anni cinquanta, un radar (il Ferranti AI-23) non molto efficiente, la capacità di trasportare solo due missili, nessun tipo di contromisure e un raggio di azione limitato.
Curiosità: Il Lightning avrebbe dovuto chiamarsi Excalibur, ma il nome fu bocciato da Sir Dermot Boyle, capo della RAF (Marshal of the RAF).
Il Lightning era scherzosamente chiamato frightning (da fright + lightning) a causa delle difficoltà di atterraggio in caso di vento di traverso alla pista. Nomignolo leggermente più macabro quello che voleva le due “E” che ne precedevano il nome in codice (nella realtà abbreviazione di “English Electric”) come sigla di “Ensign Eliminator” (‘Eliminatore di Portainsegna/Sottotenente’).
Al 2006 alcuni Lightning erano ancora in condizioni di volo:
Tre (due T Mk.5, e un F Mk.6) volano per una compagnia aerea civile, la Thunder City di Città del Capo Sudafrica. Un volo costa circa 9.500 €.
Due F Mk.6 presso il Lightning Preservation Group.
Un T Mk.5 è in via di restauro presso l’aeroporto internazionale Stennis in Mississippi.
Un T Mk.5, di proprietà di un privato.
1954: l’F-104 “Starfighter”
Quando il capo del gruppo di progettazione della Lockheed Clarence “Kelly” Johnson, ebbe occasione di interrogare i piloti reduci della Guerra di Corea che si erano scontrati con il MiG-15, si rese conto che essi avrebbero sacrificato molto in cambio di maggiori prestazioni da parte dei loro aerei.
Nessun caccia alleato aveva potuto competere con quelli dell’URSS, sia in velocità, sia per velocità e angolo di salita, sia per quota di tangenza. Inoltre, i piloti chiedevano una riduzione di peso e dimensioni e una semplificazione dei mezzi.
Al ritorno negli Stati Uniti, Johnson iniziò la progettazione di un aereo con tali caratteristiche. A marzo, il suo team stava studiando diversi tipi di velivoli, che spaziavano dalle 3 alle 23 tonnellate di peso. Nel novembre del 1952 il risultato fu il Lockheed L-246 di 5,4 tonnellate, che rimarrà essenzialmente identico allo Starfighter. Il progetto fu presentato all’Air Force, che si rivelò interessata al velivolo, tanto da coinvolgere diverse aziende nella sua realizzazione.
Ad aprile il mock-up era già pronto per le ispezioni e a maggio cominciarono i lavori su due prototipi. Il primo di questi cominciò a volare nel marzo 1954 nelle mani del collaudatore Tony LeVier. Va notato che il tempo totale per arrivare a volare a partire dal progetto fu, per lo Starfighter, di circa due anni, a fronte dei dieci/quindici necessari al giorno d’oggi.
L’F-104 era caratterizzato da un disegno dell’ala dalle caratteristiche radicali. La maggior parte dei caccia a reazione dell’epoca adottavano l’ala a freccia o a delta, le quali consentivano un ragionevole equilibrio tra le prestazioni aerodinamiche, la velocità di salita e lo spazio interno utilizzabile per il carburante e gli equipaggiamenti. Test della Lockheed, tuttavia, stabilirono che la forma più efficace per il volo supersonico ad alta velocità era una piccola ala trapezoidale dritta montata a metà fusoliera. L’ala scelta fu quindi estremamente sottile con uno rapporto spessore/corda di solo 3,36% e un allungamento alare (il rapporto tra apertura alare e corda alare media) di 2.45. I bordi d’entrata erano così sottili (0,016 in/0,41 mm) e taglienti che risultavano un pericolo per il personale di terra e dovevano essere installati dispositivi di protezione durante le operazioni a terra.
La sottigliezza delle ali richiese che i serbatoi di carburante e il carrello di atterraggio dovessero essere collocati nella fusoliera. I martinetti idraulici di azionamento degli alettoni dovevano essere di solo 1 pollice (25 mm) di spessore, per potere trovare alloggiamento. Le ali furono dotate di flap sia sul bordo d’entrata che su quello d’uscita. La piccola ala era caratterizzata da un elevato carico alare, il che causava velocità di atterraggioeccessivamente elevate. Venne quindi introdotto un sistema di controllo dello strato limite (in inglese boundary layer control system – BLCS) che, utilizzando aria compressa spillata dal compressore del motore, soffiava un flusso d’aria supplementare sul bordo d’uscita dell’ala per fornire maggiore energia al flusso d’aria che investiva i relativi flap e quindi aumentarne la portanza generata. Il sistema si dimostrò fondamentale per aumentare la sicurezza degli atterraggi, ma nel contempo si rivelò un problema per la manutenzione.
Lo stabilator (stabilizzatore orizzontale completamente mobile) venne montato in cima all’impennaggio verticale per ridurre l’accoppiamento inerziale. Poiché la deriva verticale era di poco più corta della lunghezza di ogni ala e quasi altrettanto efficace aerodinamicamente, poteva comportarsi come un’ala quando si utilizzava il timone creando il fenomeno noto come Dutch roll. Per compensare questo effetto le ali vennero di progetto inclinate verso il basso con un angolo diedro negativo di 10°.
La fusoliera dello Starfighter aveva un alto rapporto di finezza (il rapporto lunghezza/larghezza), cioè si assottigliava verso il naso affilato e aveva una piccola sezione frontale. La fusoliera era completamente riempita con il radar, la cabina di pilotaggio, il cannone, carburante, il carrello di atterraggio e il motore. Questa combinazione fusoliera/ala creava le condizioni per una resistenza estremamente bassa, ad eccezione degli assetti di volo ad alto angolo d’attacco (alfa), condizione in cui la resistenza indotta diventava molto elevata. Come risultato, lo Starfighter aveva eccellenti accelerazione e velocità di salita e potenzialmente un’alta velocità massima, ma le prestazioni in virata sostenuta erano scarse. Una modifica successiva dell’F-104A/B consentì l’uso dell’impostazione di decollo per i flap fino alla velocità di Mach 0.8/550 nodi, il che migliorò la manovrabilità alle velocità subsoniche. Per il complesso delle sue caratteristiche aerodinamiche, l’F-104 era sensibile ai comandi ed estremamente spietato in caso di errore del pilota.
L’F-104 è stato progettato per utilizzare il motore turbogetto General Electric J79 alimentato da prese d’aria laterali con coni di aspirazione ottimizzati per le velocità supersoniche. A differenza di alcuni aerei supersonici, l’F-104 non ha prese d’aria a geometria variabile. Il rapporto potenza-peso è eccellente e permette una velocità massima superiore a Mach 2. la velocità massima dello Starfighter è limitata più dalla struttura in alluminio e dai limiti di temperatura del compressore del motore che dalla spinta o resistenza, valori che porterebbero a una velocità massima teorica di Mach 2,2 calcolata solo dal punto di vista aerodinamico. Modelli successivi ai primi impiegarono versioni migliorate del J79, aumentando la spinta e diminuendo il consumo di carburante in modo significativo.
I primi Starfighter utilizzavano seggiolini eiettabili, che uscivano dal basso della fusoliera del tipo Stanley C-1. Ciò era dovuto alla preoccupazione nei confronti dei più convenzionali sedili a espulsione verso l’alto, che si temeva non fossero in grado di evitare l’impennaggio a T che sopraggiungeva. Questa scelta iniziale creò evidenti problemi nelle emergenze a bassa quota e 21 piloti USAF non riuscirono a salvarsi quando i loro velivoli ebbero emergenze a bassa quota. Il sedile a uscita inferiore venne presto rimpiazzato dai Lockheed C-2 a uscita verso l’alto, che erano in grado di evitare la coda, anche se avevano ancora un limite minimo di velocità dell’aereo di 104 nodi (170 km/h) per risultare efficaci. Su molti F-104 per l’esportazione il seggiolino originale venne sostituito dai Martin-Baker Mk.7 con capacità “zero-zero”, cioè in grado di estrarre con successo il pilota dal velivolo, anche a quota zero e velocità pari a zero.
1956: il Mirage III
Mirage è un nome dato a diversi tipi di aerei a reazione progettati dalla società francese Dassault Aviation (ex Avions Marcel Dassault), alcuni dei quali sono stati prodotti in diverse varianti. La maggior parte erano caccia supersonici con ali delta. Il più riuscito è stato il Mirage III nelle sue numerose varianti, che sono state ampiamente prodotte e modificate sia da Dassault che da altre aziende. Ad alcune varianti sono stati dati altri nomi, mentre ad alcuni tipi non correlati è stato dato il nome Mirage.
I primi prototipi e progetti:
Dassault MD550 Mystère Delta, l’originale delta sperimentale Dassault, che ha fornito la linea di base per la serie Mirage principale.
Dassault Mirage I, essendo il Mystère Delta modificato e rinominato.
Dassault Mirage II: progetto di progettazione di un caccia di produzione più grande del Mirage I. Caduto a favore del Mirage III, ancora più grande.
Serie Mirage III/5/50.
La linea di maggior successo dei Mirages era una famiglia di caccia supersonici con ali a delta, tutti con la stessa cellula di base, ma diversi per quanto riguarda il propulsore, l’equipaggiamento e i piccoli dettagli. I primi esemplari erano senza coda, mentre molte varianti successive hanno aggiunto le alette canard.
Il Dassault Mirage III (in francese: miraggio) è un aereo da caccia ad ala a delta prodotto dall’azienda francese Dassault Aviation ed introdotto negli anni sessanta. Grazie alla sua caratteristica configurazione alare è uno dei più famosi della storia dell’aviazione militare e simbolo della produzione aeronautica francese. Prodotto in innumerevoli versioni, esportato in 5 continenti, ha partecipato ai più vari conflitti combattuti tra gli anni sessanta e gli ottanta, dimostrando grande longevità essendo ancora in servizio in alcuni paesi, seppure con compiti di seconda linea.
Le ottime prestazioni e la sua nazionalità ne hanno fatto una valida scelta per quelle nazioni che per motivi politici ed economici non potevano rivolgersi alla produzione statunitense o sovietica.
Dopo i precedenti MD 550 Mirage I e II, rimasti senza nessun seguito operativo, la Dassault continuò a sviluppare il concetto del caccia con ala a delta con un nuovo progetto che esprimeva appieno il potenziale di questa architettura aerodinamica.
L’aeronautica francese aveva bandito un concorso in cui le specifiche salienti erano la salita a 18.000 metri in 6 minuti ed una velocità massima largamente supersonica. Migliorato il progetto del Mirage attraverso una maggiore potenza propulsiva, il prototipo volò nel 1956 e dimostrò presto di raggiungere una velocità di Mach 2. I risultati furono talmente validi da non lasciare dubbi sulla scelta finale, e l’ordine che ne seguì per le prime 100 macchine chiuse la questione, relegando nell’oblio gli altri concorrenti. Il primo Mirage III B era dotato di un motore a razzo ausiliario, in alternativa ai cannoni, ma questa scelta non ha avuto molto seguito pratico, a causa della scarsa praticità della soluzione.
Secondo quanto riportato da molte fonti, Dassault chiamò l’aereo così perché gli avversari avrebbero potuto solo vederlo, ma senza poterlo raggiungere. Sempre secondo Dassault, “ciò che è bello vola anche bene”. Il suo aeroplano dimostrò di tenere bene fede a queste due affermazioni.
L’ala del Mirage, di grande superficie, era un delta puro, controllato da elevoni, con l’angolo di freccia di 60 gradi e lo spessore relativo mediamente del 3,4%. Il caccia era ottimizzato per le prestazioni lineari, e l’ala a delta è l’ideale per le prestazioni supersoniche, offrendo limitata resistenza ma grande superficie e robustezza. Il problema era dato dall’assetto molto cabrato nei decolli ed atterraggi, per cui erano necessarie piste molte lunghe, e dalla resistenza indotta durante le manovre ad alto angolo d’attacco, durante le azioni di combattimento.
Il pilota era sistemato in un abitacolo abbastanza stretto, praticamente incassato nella parte anteriore della fusoliera, ma con una buona visibilità complessiva, specie sul davanti e sui lati, mentre il settore posteriore era quasi cieco, dal momento che l’aereo aveva un muso molto piccolo, montanti leggeri del tettuccio, ma non specchi retrovisori.
Aveva a disposizione fin dalle prime versioni un radar di ricerca e controllo del tiro, del tipo Cyrano II, un sistema di comunicazione e navigazione radioassistita e un apparato Radar Warning Receiver, mentre nei modelli evoluti esisteva un sistema di navigazione inerziale e d’attacco con radar altimetrico di precisione, per il volo a bassa quota.
La propulsione era affidata ad un turbogetto Snecma Atar 9C, derivato dal tedesco BMW 003 del periodo bellico, ma dotato di prestazioni nettamente superiori. L’architettura generale è la stessa, a flusso assiale, ma l’aggiunta del postbruciatore ha introdotto un nuovo concetto di superpotenza, ideale per ottimizzare le prestazioni con un motore ragionevolmente leggero, a scapito però del consumo. Il sistema dei serbatoi comprendeva circa 3 300 litri, distribuiti tra le ali e la parte centrale della fusoliera. Considerando la potenza installata, è un quantitativo assai consistente, che dava una buona autonomia. La salita e l’accelerazione erano invece poco impressionanti, se comparate con quelle di alcuni progetti contemporanei, a causa del relativamente basso rapporto potenza-peso. Era possibile usare un motore a razzo ausiliario, ma rinunciando ai cannoni. Le prese d’aria comprendevano un cono mobile che si adattava alla variazione della pressione, arretrando ad alta velocità, e una piastra per la separazione dello strato limite dalla fusoliera.
L’armamento era basato su cannoni Giat DEFA M 552 calibro 30 mm derivati dall’MG 213 da 20 mm usato dalla Luftwaffe durante la seconda guerra mondiale. Avevano 125 colpi per arma, sufficienti per 6 secondi di fuoco, e sparavano granate da 0,270 kg.
I missili erano i Matra R530, di concezione francese, dotati di una gittata nominale di 18 km e di un sistema di guida in versioni radar e IR. Normalmente solo un missile era trasportato sotto la fusoliera, mentre sotto le ali erano presenti gli AIM-9 Sidewinder, sostituiti in seguito con i Matra R550 Magic oppure altri modelli non francesi. Missili di vario tipo, bombe e razzi calibro 68 mm erano disponibili per un’ampia varietà di compiti operativi nel campo dell’attacco al suolo.
Inoltre per sopperire al limitato numero di punti d’aggancio erano disponibili anche contenitori sub-alari misti, con 19 razzi da 68 mm davanti e 230 litri di carburante nella parte posteriore.
Il Mirage III V era un caccia sperimentale monomotore a getto ad ala a delta realizzato dall’azienda aeronautica francese Générale Aéronautique Marcel Dassault (ora Dassault Aviation) negli anni sessanta e rimasto allo stadio di prototipo.
All’inizio degli anni sessanta, il Ministero della Difesa francese emise una specifica per la fornitura di un nuovo velivolo. Alla richiesta risposero i costruttori aeronautici GAMD e Sud-Aviation che realizzarono delle sperimentazioni per degli aerei a decollo e atterraggio verticali (VTOL) con due velivoli:
il Balzac V destinato a convalidare la formula usata con motori esistenti
il Mirage III T destinato a testare nuovi motori
il Mirage III V con prestazioni elevate grazie a nuovi motori più potenti. Il programma fu fermato nel 1966 per motivi tecnici e finanziari, senza condurre ad alcuna produzione di serie.
Il Balzac V fu un aereo monoposto sperimentale a decollo e atterraggio verticali subsonico, basato sul Mirage III 001, destinato a testare la formula da usare sul Mirage III V prima di sviluppare dei motori definitivi per questo aereo.
Mirage III T – Si trattava di Mirage III trasformato in banco di prova volante del motore Snecma TF104 poi TF106 (Pratt & Whitney JT10 costruito su licenza) destinato al Mirage III V. Ha fatto il suo primo volo il 4 giugno 1964 ed è stato testato fino al 1966.
Mirage III V – Il Mirage III V fu un prototipo di aereo decollo e atterraggio verticali, più pesante del Balzac, capace di volare a Mach 2.
1958: il Mig-21 “Fishbed”
Il Mikoyan Gurevich MiG-21 (in cirillico Микояна и Гуревича МиГ-21, nome in codice NATO Fishbed) è un monomotore a getto da caccia ad ala a delta progettato dall’OKB 155 diretto da Artëm Ivanovič Mikojan e Michail Iosifovič Gurevič e sviluppato in Unione Sovietica negli anni cinquanta.
Impiegato principalmente dalla Sovetskie Voenno-vozdušnye sily (VVS), l’Aeronautica militare dell’Unione Sovietica, e da moltissime forze aeree del Patto di Varsavia e filosovietiche, venne fabbricato in più di 10.000 esemplari conquistando il primato di caccia bisonico più prodotto della storia dell’aeronautica.
La perseveranza dei progettisti aeronautici sovietici nel voler colmare il divario tecnologico con l’Occidente, aiutati da una ben concepita politica di commesse della Frontovaya Aviatsiya (aviazione frontale), l’aviazione tattica sovietica, ha prodotto aeroplani relativamente semplici, ma solidi e di facile manutenzione (anche se non in tutti i casi), in grado di operare da alcune delle piste più primitive del mondo. Alla fine del 1953, l’amministrazione principale dell’aviazione sovietica (VVS) emanò una specifica per un caccia completamente nuovo, con le massime prestazioni possibili ed incorporante tutte le lezioni apprese in Corea. Lo TsAGI, istituto centrale di aeroidrodinamica, concepì due buone configurazioni, entrambe con una presa d’aria sul muso, ma differenti per il fatto che una aveva una snella ala a freccia, come quella del MiG-19, e l’altra un’ala a delta, entrambe con una freccia alare di 57° o 58°. L’ufficio tecnico di Pavel Sukhoj utilizzò le due configurazioni su grandi caccia potenziati dal grosso motore Lyul’ka AL-7F, quello a delta fu sviluppato come intercettore ognitempo (Su-9) e quello con ala a freccia era previsto come caccia diurno (ma fu poi prodotto come Su-7B per missioni d’attacco al suolo). L’OKB MiG utilizzò le due configurazioni per sviluppare aerei di due formati, il più grosso dei quali restò un progetto che fu sviluppato successivamente. Il formato più piccolo era propulso dal vecchio Mikulin AM-5 ed era chiamato Ye-1 (viene utilizzata la traslitterazione anglosassone, più frequente in letteratura, precisamente nell’alfabeto cirillico Е-1, dall’iniziale della parola единица, edinica, unità), con ala a freccia. Quando fu disponibile il Mikulin AM-9Ye, da 3.250 kg di spinta, venne montato sul prototipo successivo lo Ye-2. Dal nuovo Tumanskij R-11, invece, fu propulso lo Ye-2A ed entrambe le configurazioni furono provate con i due diversi tipi di ala. Lo Ye-2 (designato Faceplate dalla NATO) effettuò il primo volo il 14 febbraio 1954 (secondo Kondratev nel 1953) con Grigorj Aleksandrovič Sedov ai comandi e tutta l’attenzione di Mikoyan. Alla fine gli fu preferito il più brillante Ye-4, con ala a delta, dal quale venne sviluppato lo Ye-5 che volò nel 1958.
Per completezza riportiamo che lo Ye-3 era una copia in scala maggiore dello Ye-2. Non volò subito a causa del fatto che non aveva pronto un motore, mentre l’OKB Sukhoj aveva già pronto quello che divenne il Su-7 (con ala a freccia) ed il Su-9 (ala a delta). Venne costruito in due varianti, lo Ye-3U, cacciabombardiere, e lo Ye-3P, intercettore, ma questi velivoli vennero battuti nelle prove di volo dal Su-7 e dal Su-9. Venne poi costruito anche lo Ye-75Fcon un motore Lyul’ka, radar Uragan e missili AA-3 Anab. Venne anche costruita la serie degli Ye-150 alla quale si rimanda.
Venne dato il permesso allo OKB MiG di costruire delle varianti dello Ye-2, dal quale nacque così lo Ye-50. Questo era praticamente identico allo Ye-2 eccetto per il fatto che aveva un motore a razzo ZhRD S-155, oltre a quello principale, che era alimentato da una pompa che prelevava cherosene dai serbatoi principali e RFNA (red fuming nitric acid, acido nitrico rosso fumante) da un serbatoio esterno particolarmente protetto. Il razzo era alloggiato sotto alla deriva. Furono costruiti tre prototipi dello Ye-50 e Valentin Moukhin volò con il primo di questi nel giugno del 1955. Qualche tempo dopo, durante le prove, il turbogetto si incendiò in atterraggio e Moukhin restò leggermente ferito quando precipitò a pochi metri dalla pista.
Mentre Moukhin recuperava, Aleksej Petrovič Vasin fu assegnato allo Ye-50/2, che era virtualmente identico al primo. Il 17 giugno 1957 questo aeroplano raggiunse Mach 2,33 in volo livellato, mentre in un’altra occasione Vasin riuscì ad arrivare a 25 600 m di quota. Normalmente il razzo che coadiuvava il motore era acceso a 9000 m, ma nell’inverno del 1957 Vasin lo accese già al decollo per impressionare il maresciallo Žukov. Vasin divenne Eroe dell’Unione Sovietica per il progetto Ye-50, il quale fu abbandonato nel 1958 con l’ultimo Ye-50/3 con pochi cambiamenti alla presa dinamica, alla fusoliera ed alla deriva. L’eredità dello Ye-50 fu però ripresa dallo Ye-60 di cui si parlerà più avanti.
Agli inizi del 1956 il motore R-11S era finalmente disponibile e venne montato sullo Ye-2A con cui volò Grigorij Sedov il 22 marzo del 1956. Come lo Ye-2 aveva ali a freccia, simili a quelle del MiG-19, ma in scala ridotta, due piani di coda con freccia di 45°, due cannoni NR-30 (lo Ye-50 ne aveva tre) e, una novità per l’epoca, un cupolino in plexiglas che si apriva alzando la parte anteriore. La parte retrostante era incernierata al seggiolino del pilota, cosicché, se il pilota si fosse espulso, il cupolino avrebbe fatto da protezione e da parabrezza. La presa d’aria sembrava come quella dello Ye-2, malgrado il motore richiedesse un flusso d’aria maggiore. Le due differenze riscontrabili ad occhio nudo erano la piastra antiscorrimento (una paratia montata sul dorso dell’ala che, impedendo lo scorrimento dello strato limite, creava dei vortici che lo rimescolavano energizzandolo) montata su ciascuna delle due semiali, allineate con le estremità degli elevoni (piani di coda interamente mobili) e le prese d’aria a periscopio del sistema di raffreddamento del motore, montate in fusoliera vicino ai piani di coda. La velocità massima che lo Ye-2A raggiunse fu di 1900 km/h o Mach 1,79.
Il MiG OKB alla fine fece volare lo Ye-4/1 il 16 giugno del 1956 con Grigorij Sedov ai comandi. Eccetto che per l’ala, questo caccia era uguale allo Ye-2, incluso il motore R-9Ye. Questo naturalmente precludeva il fatto che potesse superare Mach 2,0 come sperato, ma le prestazioni furono anche peggiori del previsto, la velocità massima era più bassa di quella del MiG-19 di serie. I tentativi di migliorare la macchina si prolungarono per due settimane al termine delle quali sia lo Ye-4/1 che lo Ye-4/2 volarono di nuovo. Lo Ye-4/2 aveva ben tre paratie antiscorrimento, le cui dimensioni e geometria vennero cambiate almeno quattro volte. Nel 1957 il grosso del problema della resistenza aerodinamica sembrò risolto modificando l’area intorno all’ugello di scarico.
Il 24 giugno del 1956 sia lo Ye-2A che lo Ye-4/1 fecero un passaggio ad alta velocità alla parata aerea di Tushino in occasione della Giornata delle Forze Aeree Sovietiche. Le foto scattate dagli occidentali furono moltissime e per i sei anni seguenti gli analisti discussero su chi li avesse concepiti, su quale fosse il loro nome e se fossero in produzione. A peggiorare le cose il ricostruito OKB di Sukhoj aveva già fatto volare un caccia con ala a delta, molto simile a quelli di Mikoyan e Gurevich a causa della comune impostazione dello TsAGI, ma, come detto, più grandi. I giornalisti presto scoprirono che a questi nuovi aerei era stato dato il nome in codice di Faceplate, Fishpot, Fishbed e Fitter, ma in questo modo la confusione era aumentata anziché diminuire. Verso il 1963 i giornalisti credevano chi il nuovo MiG-21 entrato in produzione, fosse il Faceplate e, per aggiungere difficoltà, sui giornali oltre cortina il MiG-21 era spesso associato a foto del Su-7.
Nel settembre 1958 uno degli Ye-4 fu rimotorizzato con un R-11S, che forniva 5100 kg di spinta, e chiamato Ye-5. Gli ingegneri sovietici insistono nel ricordare che questo non era un nuovo aereo, infatti l’ala era la stessa dello Ye-4/1 e le paratie antiscorrimento erano le stesse dello Ye-4/2 nella loro evoluzione finale. Questo aeroplano alla fine toccò i 2000 km/h e si dimostrò anche leggermente superiore allo Ye-2A in manovrabilità, salita e capacità interna del combustibile. D’altra parte la VVS e la MiG avevano deciso di adottare l’ala a delta già dal 1957. In alcuni rapporti lo Ye-5 era anche definito come I-500 (in precedenza si usava la designazione I per istrebitel’, caccia).
Dal 1957 l’OKB era alle prese con le continue migliorie apportate alla serie Ye-4, designata Ye-6 e che incorporava tutte le idee acquisite con lo Ye-4. Tutti i modelli avevano 57° di angolo di freccia alare ed il motore R-11, ma i dettagli erano variabili. Lo Ye-6/1 aveva la stessa ala dello Ye-5, con la paratia più vicina alla radice che si prolungava un poco sul ventre, mentre quella più vicina all’estremità era più sottile ed occupava tutto il dorso. L’ala ed i piani di coda poi erano leggermente più bassi rispetto alla fusoliera, il che portò a ridisegnare gli aerofreni in tre separate superfici e la sostituzione delle due pinne ventrali con una sola al centro del ventre. Più importante era il fatto che il nuovo aereo non era più un prototipo sperimentale ma un aereo di preserie. I cannoni erano due NR-30 ed il motore uno R-11S.
Uno Ye-50 fu modificato con uno R-11F-300 ed un nuovo ugello di scarico che forniva una spinta di 5 750 kg. Assieme al razzo la nuova motorizzazione fece arrivare l’aereo a 2 640 km/h a Mach 2,6. Questo aereo, noto come Ye-60, si distingueva da un grandissimo serbatoio ventrale, che alimentava il razzo, lungo tutta la fusoliera.
Il pilota assegnato allo Ye-6/1 era Nyefyedov. Le prime prove furono incoraggianti, l’aereo raggiunse Mach 2,05 ad una quota di 12 km. Sfortunatamente il 20 maggio 1958 il motore esplose ad una quota di 18 km, danneggiando i controlli di volo. Un altro rapporto afferma che fu solo uno stallo del compressore, che causò lo spegnimento del motore e Nyefyedov non poté riaccenderlo perché il serbatoio dell’ignizione era surriscaldato e pieno solo di vapore. Quando il pilota si avvicinò al suolo perdette progressivamente il controllo del velivolo ed alla fine l’aereo si schiantò al suolo, uccidendo Nyefedov.
I controlli di volo vennero riprogettati. Il compito era nelle mani di Mossolov, mentre l’ingegnere il cui progetto venne accettato da Mikoyan era Rostislav Apollosovich Belyakov (che poi divenne progettista capo del MiG OKB alla morte di Mikoyan). Egli decise di duplicare ogni controllo, dalle pompe idrauliche alle unità che pilotavano le superfici. Molti nuovi miglioramenti vennero adottati nel 1958, inclusa una spina centrale della presa d’aria a tre posizioni (la spina si sposta per controllare la quantità di flusso necessaria al motore e per tenere le onde d’urto nella giusta posizione) e delle prese d’aria ausiliarie vicino al bordo d’attacco dell’ala. La spina centrale veniva spinta nella posizione più avanzata a velocità maggiori di Mach 1,8 (le onde d’urto dipendono dal numero di Mach, non direttamente dalla velocità).
Sullo Ye-6/2, che volò nello stesso periodo dello Ye-6/1, le tre paratie antiscorrimento furono rimpiazzate da una sola tra lo spazio tra alettone e ipersostentatore. Quest’ultimo era di tipo Fowler, ma senza la caratteristica superficie superiore e si abbassava di 24,5° al decollo e di 44,5° in atterraggio, mentre l’ipersostentatore di bordo d’attacco era assente. Lo Ye-6/3 era virtualmente un aeroplano di serie. Volò nel dicembre del 1958 e venne prodotto in una serie di 30 aerei, designati come MiG-21F, dalla fabbrica di massa, non da quella dello OKB, agli inizi del 1959.
Il 31 ottobre del 1959 lo Ye-6/3, dichiarato alla FAI (Fédération Aéronautique Internationale) come Ye-66 e pilotato da Mossolov, siglò la velocità media di 2.388 km/h su un circuito di 15/25 km. I motori erano dichiarati alla FAI come R-37F. Un anno dopo K. Kokkinaki usò lo Ye-66 per siglare una velocità di 2149 km/h su un circuito di 100 km, mentre il 28 aprile 1961, Mossolov usò lo Ye-66A per arrivare ad una quota di 34.714 m. Lo Ye-66A era propulso da un R-11F2S-300 da 5.950 kg ed un razzo U-2 in un pacco ventrale completo di un serbatoio di RFNA.
Durante questo stesso periodo la fabbrica di produzione stava costruendo le prime vere macchine di serie, i MiG-21F-13. Questa era la versione finale, lo Ye-6T, dove la T significava трофей, “trofeo”, e si riferiva al fatto che un caccia cinese aveva riportato a terra un missile AIM-9B Sidewinder che gli si era incastrato senza esplodere. I sovietici riuscirono a copiare quest’arma, chiamandola K-13 o R-13 (AA-2 Atoll) e lo Ye-6T ne agganciava uno per semiala.
Ci furono molte varianti del K-13, le cui prestazioni erano persino migliori della controparte USA. I piloni del MiG-21F-13 erano semplici e fornivano la connessione elettrica ed il sistema di raffreddamento. Il peso dei missili era così elevato che fu necessario rimuovere il cannone NR-30 sinistro con la scatola dei suoi 75 colpi. Fu colta anche l’opportunità di allargare la pinna ventrale per aumentare la stabilità di rollio, specialmente ad alti angoli d’attacco (i MiG-21 seguenti migliorarono ancor di più questi accorgimenti). Molte migliaia di MiG-21F-13 uscirono di fabbrica, inclusi gli S-106 fatti a Vodochody, in Cecoslovacchia a partire dal 9 maggio del 1963 che si distinguono per il fatto che hanno la parte posteriore del cupolino in metallo anziché in plexiglas. Molti altri furono fabbricati senza licenza nella Repubblica Popolare cinese e chiamati J-7.
Nel 1960 il MiG-21F-13, chiamato alla MiG anche come “modello 72”, era entrato in piena produzione. Sebbene fosse un aeroplano che si pilotava facilmente ed avesse prestazioni e manovrabilità avanzate per l’epoca, soffriva (come anche l’F-104A e, da un certo punto di vista, il Mirage IIIC) di una limitata capacità interna. I 2470 litri di combustibile stivati in sei serbatoi d’alluminio nella fusoliera e quattro integrali nell’ala non erano disponibili tutti insieme senza precludere o limitare la stabilità della macchina. Il limite autorizzato era di 2340 l e questo riduceva il raggio d’azione o peggio le prestazioni. Era infatti praticamente impossibile raggiungere la velocità di Mach 2,0 con solo poco più di 2000 l di cherosene. Per di più, al contrario delle sue controparti occidentali, a bordo non c’era un radar di scoperta e l’armamento era composto da appena due missili K-13 ed un cannone NR-30 con 75 colpi. L’avionica consisteva solamente della antenna UHF, di due antenne VHF, dello IFF (identificatore amico o nemico) SRO-2, di un radioaltimetro (strumento che misura la quota con le onde radio ed è quindi più accurato dell’altimetro barometrico) che arrivava fino a 300 m, una radiobussola ed un radar collimatore. Dal 115o esemplare (il primo con la pinna ventrale più grande) fu introdotto anche un RWR (un allarme passivo che segnala le onde radar in arrivo).
Vi furono diversi altri prototipi dello Ye-6. Uno dei più importanti, lo Ye-6U, volò nel 1961. Era il prototipo per il modello da addestramento biposto, con una capacità interna ridotta di 70 l per far spazio al secondo seggiolino, il nuovo KM-1, e non montava armamento, ma solo un serbatoio ventrale da 490 l. Il cupolino si apriva di lato. Un aeroplano simile, chiamato Ye-33, fu utilizzato per siglare primati, pilotato da donne pilota come Natalya Prokhanova, la quale arrivò ad una quota di 24.366 m.