Nel 2021 il flop delle missioni Onu e Ue
L’augurio per un 2022 meno difficile per tutti a tutti i livelli è certamente auspicabile non solo per far fronte alla diffusione pandemica ma anche ai preoccupanti rischi di conflitti regionali e asimmetrici in Africa, Medioriente, Afghanistan, e a più lungo termine, di scontri globali, con il colosso cinese. La situazione potrebbe deteriorarsi più velocemente del prevedibile in particolare nel caso non si trovassero compromessi accettabili su Taiwan, Hong Kong, zone di influenza nel Pacifico.
Non solo gli Usa, l’Occidente, il Giappone ne sarebbero irrimediabilmente coinvolti. Senza sottovalutare a livello europeo la miccia Ucraina e il Kazakistan benché con la Russia il dialogo dovrebbe essere facilitato e consolidato costruttivamente nell’interesse comune dei contendenti.
Le reiterate minacce reciproche, l’inasprimento delle tensioni porterebbero a conseguenze devastanti per entrambi, sia in termini economici che politici. L’interventismo e l’attivismo russo in Africa, Libia, Mediterraneo non possono essere considerati semplici ritorsioni episodiche, bensì azioni strategiche certamente non favorevoli a Usa, Ue, Francia e Italia.
In un tale contesto le azioni autorevoli, efficaci, rispettate di una organizzazione internazionale globale quale l’Onu e di un’istituzione internazionale (unione sovranazionale economica e politica) come la Ue avrebbero dovuto giocare un ruolo di primo piano nel disinnescare, ammorbidire le tensioni fra giganti oltre a proporre iniziative condivise.
Accade invece tutt’altro, entrambe, messi da parte retoriche e formalismi, si dimostrano e vengono trattate da nani politici la cui irrilevanza si è accentuata in maniera preoccupante proprio nel 2021.
Nulla di buono promette il 2022 senza cambiamenti sostanziali nelle politiche e nella gestione delle stesse istituzioni. Si potrà obiettare che le due istituzioni sono comunque soggette alle volontà degli Stati Membri e alle decisioni che vengono prese dagli organi decisionali rappresentativi interni creati per il funzionamento delle istituzioni. Giusta considerazione, ma la crisi deriva piuttosto dall’inefficacia esecutiva delle azioni autorizzate, dagli sperperi, dalle rigide procedure burocratiche non più rispondenti a flessibilità e velocità di esecuzione richieste dai tempi e dalle sfide a cui rispondere.
In sintesi, a costi esorbitanti corrispondono tempi lunghi di esecuzione e risultati troppo modesti per essere ritenuti accettabili. Spesso, purtroppo, le operazioni sul campo si prolungano per decenni senza apportare benefici significativi a Stati e popolazioni, al contrario il raggiungimento degli obiettivi quali stabilità, sicurezza, sviluppo economico e maggiore benessere per le popolazioni vengono nel complesso disattesi fino a creare, maggiore instabilità, insicurezza, dittature, corruzione, malessere.
Evitando di addentrarci nelle numerose ramificazioni delle due organizzazioni e quindi in dettagli troppo complessi da digerire, ci limitiamo a segnalare alcuni dati oggettivi i quali, seppur parziali, confermano, a livello generale, l’incapacità di incidere, di produrre i risultati attesi.
Le missioni dell’Onu
Della galassia Onu e del suo enorme apparato inclusivo delle Agenzie specializzate limitiamoci ad alcune considerazioni sugli uffici e i dipartimenti del Segretariato Generale, in particolare sui più visibili in termini di rilevanza delle operazioni sul campo e delle spese generali.
I Dipartimenti delle Operazioni di pace (DPO) e (DPPA) degli Affari politici e peacebuilding (l’italiano costruzione della pace non rende esattamente l’idea di consolidamento e rafforzamento della pace e delle istituzioni locali) gestiscono, attraverso responsabili di alto profilo con il grado di Vice Segretari Generali, tutte le operazioni politiche e di mantenimento della pace sul terreno.
Da qualche anno le operazioni più complesse vengono definite pomposamente ma più realisticamente Missioni multidimensionali di stabilizzazione di un determinato paese piuttosto che l’inattuale peacekeeping ovvero mantenimento della pace. Non evidenziandolo esplicitamente si prevede, in una missione di stabilizzazione, l’eventuale uso della forza non solo difensivo in risposta ad attacchi diretti ma anche preventivo, teoricamente, per proteggere adeguatamente le popolazioni e le istituzioni sotto minaccia terroristica imminente.
In parole povere iniziative e reazioni adeguate ad attacchi diretti e indiretti. Le missioni multidimensionali sono quelle più note per la loro dimensione in termini di personale militare, civile e di polizia e purtroppo anche per la durata negli anni non sostenuta da risultati concreti e visibili. Il rapporto costi benefici è tuttora, in grande prevalenza, altamente deficitario.
Consultando i dati forniti dal sito Onu, segretariato generale, i bilanci approvati dall’Assemblea generale, le risorse extra-budget e i contributi volontari degli Stati membri a favore dei due dipartimenti risultano decisamente cospicui. Peraltro fra i rivoli dei fondi speciali e di finanziamenti ad hoc, non si riesce a far chiarezza sul volume annuale reale delle risorse destinate a gestione amministrativa e costi delle operazioni. E’ tuttora una delle critiche più fondate da parte dei donatori che emerge dagli stessi rapporti interni di valutazione dei due dipartimenti.
Dalla consultazione del sito risultano i seguenti finanziamenti annuali (consideriamoli un minimo accertato):
- Dipartimento degli affari politici e peacebuilding (DPPA) gestisce tutte le missioni politiche e elettorali sul terreno e i costi dei vari uffici degli inviati personali e speciali del segretario Generale. Ai 700 milioni di dollari dal bilancio regolare dell’Onu cui vanno aggiunti almeno 11 milioni di dollari extra bilancio, 40 milioni dal fondo Multi year appeal fund, 45 milioni per le missioni politiche speciali. Per un totale di almeno 800 milioni di dollari annui.
- Dipartimento delle Operazioni di pace (DPO) gestisce tutte le operazioni di stabilizzazione e mantenimento della pace sul terreno. Riceve contributi da 124 Paesi. Il bilancio approvato nel 2018 (periodo pre Covid) riportava circa 6,7 miliardi di dollari per la copertura di 14 missioni sul terreno incluse le spese amministrative di gestione. Il bilancio approvato dal 1° luglio 2021 al 30 giugno 2022 si attesta su un minimo di 6,38 miliardi di dollari riportato sul sito sopraindicato.
Fra i maggiori Paesi contributori al primo posto gli Usa con il 27,89% della copertura del bilancio. La Cina al secondo posto seguita da Giappone, Germania, Regno Unito, Francia e ITALIA al settimo posto.
Per i due dipartimenti ricaviamo dunque un contributo annuale accertato di almeno 7,2 miliardi di dollari ma se si considerano altre entrate provenienti da linee di bilancio non direttamente ascrivibili agli stessi la cifra sarebbe più elevata.
Vengono subito alla mente un pensiero, una visione: con la riduzione anche solo del 30% di spese esorbitanti rivelatesi improduttive, si potrebbe predisporre ed iniziare concretamente sul terreno una sorta di Piano Marshall per l’Africa sub-sahariana.
Appare utile riportare un supplemento di dati, sempre tratti dal sito Onu e dalle schede delle missioni, relativi a 3 operazioni in Africa gestite dal DPO, fra le più importanti in termini di personale, costi e… risultati “disattesi”.
Il “case study” MINUSMA
Esaminiamo la MINUSMA (Missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite in Mali). Componente personale 16.598 unità (autorizzato oltre 17,000) di cui 13,289 militari, 1,920 polizia, 3,000 civili circa. Per la componente militare le seguenti nazionalità primeggiano fra il personale impiegato: Bangladesh 1,121 unità, Egitto 1059, Senegal 970, Togo 932, Niger 870, Germania 521.
Bilancio approvato luglio 2021- giugno 2022: 1 miliardo, 262 milioni, 194,200 dollari. E’ noto che la missione in questione, come riportato più volte su Analisi Difesa, è considerata fra le più deludenti tanto da aver contribuito a peggiorare l’instabilità del Mali o perlomeno a non essere riuscita ad arginare le scorribande terroristiche né tantomeno a migliorare lo sviluppo economico sociale e la sicurezza delle popolazioni.
A fronte di una spesa minima di oltre 1 miliardo di dollari annui e di una presenza continuativa da oltre 7 anni, è lecito porsi delle questioni sul valore aggiunto di questa missione e sulla scelta delle componenti del personale militare e civile dal comando in giù. Recentemente perfino il Presidente ad interim del Mali, il Col. Goita autore di 2 colpi di stato in pochi mesi, ha dichiarato la sua insoddisfazione sulla missione Onu ribadendo che dovrebbe agire con maggiore aggressività per contrastare il terrorismo jihadista.
Dichiarazione sorprendente in quanto in genere, anche per i benefici finanziari che ne derivano piuttosto che per i risultati, le missioni Onu sono poco criticate dai governi africani. L’inazione e l’inadeguatezza della MINUSMA hanno portato come principale conseguenza la giustificazione per l’accelerazione di uno schieramento ormai palese di consiglieri militari russi e contractors del gruppo Wagner in Mali (area Timbouctou) a prescindere dalla crisi di rapporti del governo maliano con i francesi e il gruppo di Paesi Ue presenti nel Paese.
La MINUSMA spesso non manifesta la determinazione richiesta per contrastare seriamente il terrorismo e quando raramente accade, lo si deve principalmente all’iniziativa di unità specifiche. Nell’ultimo caso noto ad esempio una componente britannica presente sul terreno ha sgominato un gruppo terroristico.
MONUSCO
Esaminiamo il caso della MONUSCO (Missione di stabilizzazione delle N.U. nella Repubblica Democratica del Congo). Totale personale impiegato 17,728 unità di cui 14,000 personale militare, 2970 civili e alcune centinaia di unità di polizia.
Nazionalità più rappresentate della componente militare: Pakistan 1976 unità, India 1,867, Bangladesh 1,635, Indonesia 1,036. Il bilancio approvato luglio 2021-giugno 2022 è pari a 1 miliardo, 123 milioni 346.000 dollari.
La missione è presente dal 2010. In aggiunta a risultati più che deludenti negli anni sono stati denunciati scandali di abusi sessuali da parte di unità di caschi blu tanto da riuscire a inimicarsi le popolazioni locali inizialmente accoglienti e felici di avere una protezione internazionale contro gli attacchi sia di bande organizzate di criminali, che di matrice terroristica. La presenza massiccia di componenti militari e civili di questa missione provenienti da Pakistan, India, Bangladesh e altri paesi asiatici evidenzia una delle probabili ragioni del fallimento.
Oltre a non avere particolare omogeneità operativa, si pensi a militari indiani e pakistani insieme, bisognerebbe altresì riconoscere pragmaticamente che queste nazionalità non hanno particolari affinità con le popolazioni africane anzi, non nascondono intimamente sentimenti di velato razzismo.Come già segnalato in precedenza su Analisi Difesa sono attratte principalmente dalle indennità di missione versate loro dalle N.U. ad integrazione dei poco lauti stipendi nazionali. Non avranno quindi grandi stimoli professionali ed umani se non quelli di arrivare a fine mese, rischiando il minimo sindacale, e prolungare la missione. Questa la cruda realtà da valutare, la vera ragione di un sostanziale abbassamento di livello delle prestazioni che sarebbe lecito attendersi da missioni di questa portata, dai costi più che esosi se contrapposti ai risultati e agli anni di permanenza in loco. Perseverare in ciò che risulta dannoso, non modificare pratiche e procedure inadatte sembra tipico delle burocrazie fuori controllo e a rischio minimo di sanzioni.
La MINUSCA in Centrafrica
Emblematico anche il caso della MINUSCA (Missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite in Repubblica Centrafricana). Personale impiegato 15,481 di cui 14,400 militari, 1230 civili, e componenti di polizia Onu.
Nazionalità più rappresentate nella componente militare: Ruanda 1,696, Bangladesh 1,332, Pakistan 1,313, Egitto 1023 e Zambia 933. Il bilancio approvato luglio 2021-giugno 2022 è pari a 1 miliardo, 116 milioni, 738.700 dollari.
Anche in questo caso valgono le stesse considerazioni riportate precedentemente. La presenza sempre cospicua e costante di alcune nazionalità sembra confermare una sorta di “business” consolidato in ambito missioni, senza apportare tuttavia particolari contributi di riuscita delle stesse. O meglio la presenza Onu è stata richiesta ed è stata necessaria almeno per evitare una guerra civile e un bagno di sangue dopo il ritiro francese della missione Sangaris. Eppure da anni evitando di prendere iniziative serie e più aggressive la situazione resta indefinita, pronta a riesplodere.
Così anche nella Repubblica Centrafricana la presenza e l’influenza russa si sono notevolmente rafforzate in particolare attraverso l’agenzia privata Wagner. La Francia ha criticato fortemente il governo Centroafricano per le ultime evoluzioni poco favorevoli comunque alla presenza occidentale.
E’ stato riportato da diverse agenzie e fonti stampa, fra cui il prestigioso Le Monde, come le campagne di disinformazione orchestrate ad hoc indirettamente dai russi con la compiacenza del governo abbiano contribuito ad un sostanziale incremento del dissenso anti francese fra la popolazione locale.
Il risultato è che la Francia (e dal Dicembre scorso anche la missione Ue Eutm di addestramento dell’esercito centrafricano) hanno sospeso la cooperazione con le forze locali lasciando così campo libero alla penetrazione russa e cinese.
Il caso libico
Per quanto concerne l’altro Dipartimento indicato DPPA, gestore di tutte le missioni politiche e degli Inviati speciali del Segretario generale dell’ONU, basterà citare, senza dilungarci su più missioni attive, il caso dell’UNSMIL ovvero la missione di supporto delle N.U. in Libia.
Un pericoloso fallimento a livello politico e di scelta delle risorse umane chiamate a mediare, sostenere il processo di transizione libico, ad organizzare nuove elezioni condivise e approvate dalle principali fazioni in campo, assicurare l’uscita progressiva dal Paese delle unità militari straniere in flagrante appoggio a l’una o l’altra delle fazioni libiche. Il riferimento specifico sarebbe in particolare a russi e turchi nuovi attori nel contesto libico eppure capaci in poco tempo di soppiantare Onu, italiani, francesi, tedeschi, Unione europea, irridendo embarghi e altre misure proposte dall’Onu pur accettate da tutte le parti coinvolte.
L’ulteriore rinvio a data da destinarsi delle elezioni libiche sancisce un’ulteriore sconfitta della comunità internazionale ipocritamente unita sostegno dell’azione dell’Onu. Quest’ultima peraltro colpevole a sua volta di iniziative rivelatesi illusorie spacciate più volte come risolutive. Le dimissioni forzate di più inviati speciali, da ultimo lo slovacco Ian Kubis dopo qualche mese dalla sua nomina, testimoniano ampiamente la disfatta. Non è chiaro, dal sito Onu già menzionato, a quanto ammontino, per approssimazione, le spese annuali di UNSMIL inclusive dell’Inviato Speciale cui spetta anche il comando della missione di supporto, la quale fra le altre mansioni si occuperebbe anche del problema migratorio.
Possiamo indicare solo il numero del personale: 314 unità di cui 214 internazionali e 98 locali. I costi non sono irrisori a fronte di un’imponente produzione cartacea, rapporti e riunioni e degli scarsi risultati concreti ottenuti sul terreno.
Le missioni della Ue
Per quanto concerne la UE, nonostante le iniziative sui Balcani, le svariate missioni di addestramento modello Eucap o Eutm in Africa, le missioni di sorveglianza nel Mediterraneo, di sorveglianza delle frontiere meridionali, Frontex, della crisi migratoria, antipirateria e altro, sembra lecito affermare in sintesi che essa ha perso autorevolezza e occasioni per incidere nella politica estera e di difesa comune Pesc/Pesd.
Dal punto di vista politico limitiamoci a evidenziare 2 clamorosi fallimenti, indicativi di una burocrazia pachidermica vittima di procedure troppo rigide, poco adattabili a risolvere crisi venendo meno in tal modo al mandato affidato dagli Stati membri per facilitare, agevolare, rafforzare il ruolo della unione di Stati nell’arena internazionale. Se ne ricava un senso di impotenza che arriva a penalizzare alcuni Stati membri rispetto ad altri in barba all’Unione, alla condivisione di destini e decisioni comuni. Il caso mai risolto da anni di un approccio comune alla sfida migratoria ne è testimonianza palese. Non è il solo.
La mediazione per un accordo definitivo fra Serbia e Kosovo si prolunga ormai da oltre un decennio senza risultati concreti. Le trattative sponsorizzate in prima battuta dall’Ue con il sostegno degli Usa non hanno prodotto finora una svolta decisiva, un compromesso accettabile da entrambi i contendenti, i cui nazionalismi, va ribadito, non sono certo un supporto ideale per giungere ad una soluzione appropriata. Ma è questo il punto, le pressioni di un’Istituzione europea così importante, la prospettiva europea per gli Stati balcanici, le iniziative in tal senso avrebbero dovuto condurre da tempo Serbia e Kosovo a concludere piuttosto che a rinviare al minimo pretesto l’ipotesi di accordo.
L’approccio senza esiti condivisi sulle misure da adottare per contenere gli effetti della crisi migratoria, il mancato rispetto da parte di alcuni Stati membri degli stessi regolamenti della Commissione, l’incapacità di imporre sanzioni da parte della Commissione hanno mostrato probabilmente il punto più basso delle Istituzioni riguardo alla politica estera e di difesa comune. Senza toccare, per ragioni di spazio, l’annosa questione della forza di pronto intervento europea risorsa cruciale per poter incidere nei Paesi sensibili in caso di crisi conclamate, mi sembra opportuno attirare l’attenzione su un aspetto sottovalutato da stampa e media, poco trattato, probabilmente volontariamente oscurato perfino dagli addetti ai lavori.
La Commissione attraverso le sue Delegazioni, in pratica le ambasciate Ue nei vari Paesi, gestisce cospicue risorse dei vari fondi europei di sviluppo, fondi per le emergenze, aiuti al bilancio, ecc. Proprio questi ultimi, gli aiuti al bilancio degli Stati in via di sviluppo sono costituiti da prestiti a tassi di interesse irrisori, praticamente delle donazioni.
Rilevanti tuttavia per sanare bilanci, mantenere in vita, assieme ad altri aiuti bilaterali o di Fmi e Banca Mondiale, economie disastrate evitando per quanto possibile continui sommovimenti politico-sociali.
Una delle soluzioni più appropriate, reclamate da tanti per aiutare concretamente a risolvere le crisi migratorie, sarebbe quella di incrementare occupazione e programmi di sviluppo nei Paesi a più alto tasso migratorio, e, al tempo stesso, rendere esecutivi con gli stessi accordi quadro di rimpatrio dei migranti economici, climatici, illegali.
Chi meglio della Commissione Ue potrebbe rappresentare, aiutare gli Stati Europei più penalizzati dagli sbarchi quali Italia, Grecia, Spagna, Cipro a stipulare tali accordi con tutti i Paesi coinvolti?
La pressione della Commissione, unita a quella bilaterale, ponendo condizionalità più incisive agli aiuti ai bilanci degli Stati non dovrebbe scontrarsi con risposte dilatorie o negative. Quali sarebbero le ragioni ostative ad una linea precisa e determinata da perseguire per ridurre drasticamente la pressione migratoria illegale pur non lesinando anzi incrementando gli aiuti?
Conclusioni
L’Onu e la Ue restano istituzioni ineludibili in generale, a maggior ragione nei Paesi in via di sviluppo. Esse garantiscono una presenza capillare fra uffici e programmi che nessun Paese, ad eccezione forse degli Usa, potrebbe permettersi di mantenere a livello bilaterale.
Nel caso delle Nazioni Unite organizzazione intergovernativa la cui imparziale terzietà è accettata da tutti gli Stati membri, 193 ad oggi, ad essa viene garantita attraverso le decisioni del Consiglio di sicurezza una facoltà unica di intervento anche militare a livello globale per prevenire e risolvere conflitti, ristabilire sicurezza, stabilità, difesa dei diritti umani.
Le due istituzioni con la loro rappresentatività garantiscono agli Stati membri, anche ai più piccoli, una partecipazione attiva nel consesso internazionale. I problemi che si pongono sono pertanto relativi all’efficacia operativa, ad una maggiore flessibilità soprattutto procedurale e all’impatto politico delle azioni approvate e rese esecutive a fronte di spese enormi sopportate in larga parte dai maggiori Paesi donatori, fra cui l’Italia.
Con l’aggravarsi delle crisi regionali legate a terrorismo dilagante, traffici di tutti i generi fra cui un’immigrazione illegale gestita in gran parte dalle organizzazioni criminali, instabilità, minacciosi venti di guerra legati a fattori religiosi, etnici, accaparramento delle risorse energetiche e del sottosuolo, non appare più accettabile che il potenziale enorme costruito per le due Organizzazioni produca sempre più spesso irrilevanza, inefficacia, aspettative non corrisposte.
In conseguenza vengono rafforzate le azioni bilaterali, di gruppi di Stati delle organizzazioni regionali quali la Nato certamente non istituite sulle basi della neutralità politico-operativa. L’opposto delle aspettative che originariamente portarono alla creazione delle due organizzazioni. Senza contare le spese da triplicare per difesa e sicurezza da parte degli Stati occidentali, già maggiori donatori dell’Onu.
L’esempio più calzante, di attualità viene ancora dal Sahel, dal Mali e dall’area del gruppo di Paesi G5. Nonostante un’imponente missione Onu, Minusma, e le missioni di addestramento Ue, non vi sarebbero stati parziali successi sul terrorismo jihadista né protezione delle popolazioni senza il pesante intervento francese con l’operazione Barkhane ora affiancata anche dalla missione Takuba che raggruppa forze speciali di vari Paesi europei fra cui l’Italia. In uno stesso Paese si registra dunque un triplice sforzo per uno stesso obiettivo.
Alquanto deludente appare anche la messa in atto delle riforme richieste alle due Istituzioni da parte degli Stati che versano i maggiori contributi ad Onu e Ue, Italia ancora in prima linea. Poiché, ad esempio, si è reso necessario il rafforzamento di un’azione strategica bilaterale nel Sahel e di più stretta cooperazione militare tra Francia e alleati, si impongano allora all’Onu una riduzione delle spese e la garanzia da parte dei caschi blu di una seria cintura di sicurezza a protezione dei progetti di sviluppo, da realizzare con urgenza, e delle popolazioni periferiche coinvolte.
A combattere se ne occuperanno Takuba, Barkhane e le forze locali. Una maggiore sinergia fra le forze in campo, un coordinamento rafforzato fra i comandi, un rafforzamento della cooperazione civile militare costituirebbero un antidoto più efficace contro l’instabilità e la crescente minaccia terroristica.
A livello generale le riforme tanto auspicate per le due Organizzazioni sono più che mai impellenti. Controlli ben più rigorosi sulla gestione amministrativa, la qualità delle risorse umane, gli organigrammi, l’attualizzazione delle procedure, la flessibilità operativa dovrebbero finalmente essere imposti dagli Stati a burocrazie rivelatesi con il passare del tempo e delle crisi irrisolte, autoreferenziali, poco evolute, autoindulgenti.
Foto Nazioni Unite e Unione Europea