Gli sviluppi del conflitto in Ucraina
Man mano che passano i giorni appare chiaro come la guerra in Ucraina non sia entrata ancora nella sua fase culminante. Al momento in cui scriviamo, fra il 4 e il 5 marzo 2022, la capitale Kiev resta in sostanza circondata dalle truppe russe che sostengono combattimenti in alcuni sobborghi, come quello di Bucha, a circa 24 km dal centro della capitale.
Il governo di Mosca, almeno per ora, non sembra intenzionato, ancora, ad alzare il livello dello scontro fino a quello di una sanguinosissima battaglia urbana, che replicherebbe in scala assai maggiore le disastrose macerie di Grozny al tempo delle guerre in Cecenia.
Gran parte delle forze russe localizzate nel settore di Kiev e nelle immediate retrovie sui confini russi e bielorussi non è ancora entrata in azione. Parimenti, l’aeronautica russa ha agito finora abbastanza sottotono, in proporzione alle sue potenzialità di attacco ad alta intensità, pur continuando anche nelle ultime ore a colpire obiettivi urbani e in altre aree del paese.
Mosca punterebbe quindi a ridurre l’impatto che deriverebbe da un’intensa campagna aerea oppure, come sostengono alcuni, è consapevole che la difesa aerea ucraina non è ancora “estinta”.
L’impressione generale è che, nel settore della capitale, la pressione offensiva russa sia dosata in funzione delle difficili trattative di pace in corso in questi giorni, suddivise in varie riprese, e che si tengono sul territorio bielorusso, segnatamente nelle regioni di Gomel e di Brest-Litovsk, fra la delegazione russa, guidata da Vladimir Medinsky, funzionario ministeriale ed esponente del partito politico del presidente Vladimir Putin “Edinaja Rossija” (“Russia Unica”), peraltro nativo dell’Ucraina allora sovietica, e quella del governo di Kiev, capitanata dal ministro della Difesa Oleksii Reznikov.
Finora i negoziati hanno potuto solo ottenere “corridoi umanitari” per l’evacuazione dei civili dalle città attaccate. Gli ucraini, nonostante l’avanzata russa, specialmente nel Sud, continuano a chiedere il ritiro totale senza condizioni degli invasori dal loro territorio, cioè un qualcosa che un esercito che sul campo è soverchiante non accetterebbe mai di attuare, se non dopo un’eventuale sconfitta. E’ chiaro quindi che in sede negoziale, l’Ucraina ostenta un peso contrattuale che, in termini militari, non ha e che è basato sull’appoggio politico dell’Occidente e dell’ONU.
La votazione dell’Assemblea Generale straordinaria del 3 marzo, in cui al Palazzo di Vetro di New York, ben 141 paesi hanno condannato l’offensiva russa, solo 5 hanno votato contro, cioè oltre alla stessa Russia, le alleate Bielorussia, Eritrea, Corea del Nord e Siria, e 35 si sono astenuti, tra cui Cina, India, Iran, Iraq, Pakistan, Sudafrica, Cuba, Vietnam, Mongolia, Mali e Sudan. Vero è che il voto ONU è simbolico e non vincolante, inoltre se si tiene conto della demografia si può dire che, fra contrari e astenuti, circa metà del mondo non sia tuttora ostile alla Russia.
⚔️ Так гинуть російські окупанти. Цього разу у вертольоті!
Слава Україні та її захисникам! Разом до перемоги! 🇺🇦@GeneralStaffUA pic.twitter.com/raFOepF06P
— Defence of Ukraine (@DefenceU) March 5, 2022
I russi, dal canto loro, rinnovano le loro richieste di una Ucraina neutrale fra Est e Ovest e “smilitarizzata”, soprattutto intendendo priva di basi o truppe straniere. E mentre tutto il mondo guarda soprattutto a Kiev, dove il tempo potrebbe lavorare a favore dei russi nella misura in cui i difensori della città esaurissero scorte e munizioni, proprio nel settore meridionale del paese l’avanza russa prosegue. Proprio in quella regione, sul basso corso del fiume Dnepr, è stata occupata il 3 marzo la maggior centrale nucleare dell’Ucraina, e dell’Europa, quella di Enerhodar, a di Zaporizhzhia.
Evento che ha scatenato il giorno dopo una tempesta mediatica contro la Russia, accusata di voler causare un incidente con fuga di radiazioni (assurda se sui considera che i confini russi distano appena 250 chilometri da di Zaporizhzhia). Stando alle autorità russe, si tratterebbe di un piano per neutralizzare gradatamente il programma atomico ucraino, sospettato da Mosca di poter avere risvolti militari ma soprattutto la conquista delle centrali energetiche ucraina (nucleari o meno) consente ai russi di conseguire in maggior peso nei negoziati con la minaccia di “spegnere” l’Ucraina.
L’impatto del conflitto sull’Europa
Dopo che nei giorni precedenti, sia il presidente russo Vladimir Putin, sia il ministro degli Esteri Sergei Lavrov avevano cercato di dissuadere l’Occidente a immischiarsi, ricordando che “una guerra mondiale sarà per forza di cose nucleare”, la NATO ha tenuto un vertice straordinario dei suoi ministri degli Esteri il 4 marzo, nel corso del quale è stato ribadito l’appoggio all’Ucraina in termini di sostegno politico e forniture di armi, ma anche l’impegno a evitare un confronto diretto con la Russia, mantenendo il conflitto circoscritto al territorio ucraino.
In particolare, il segretario generale dell’alleanza, il norvegese Jens Stoltenberg, ha chiarito: “Putin non è riuscito a dividerci, la Nato è più unita e determinata che mai. Questa settimana è stata attivata per la prima volta la Nato Response Force con 130 aerei da caccia in massima allerta e oltre 200 navi dal Nord fino al Mediterraneo, per rafforzare il fianco orientale dell’Alleanza. Continueremo a fare tutto il necessario per difendere e proteggere ogni centimetro di territorio Nato”. Ha assicurato però che “non ci sarà alcuna no-fly zone sull’Ucraina”, come invece pretendeva Kiev, poiché, ha ricordato Stoltenberg: “La Nato è una forza difensiva, non facciamo parte di questo conflitto e abbiamo la responsabilità di garantire che non travalichi i confini dell’Ucraina, perché ciò sarebbe ancora più devastante e pericoloso”.
Stoltenberg sembra aver messo la parola fine alla pericolosa idea di una zona di non-volo garantita da caccia della NATO per abbattere qualsiasi aereo russo intento ad attaccare il territorio ucraino. Un’ipotesi che avrebbe automaticamente significato un disastroso stato di guerra fra i paesi occidentali e la Russia, ma che la dirigenza di Kiev ha caldeggiato negli ultimi giorni con un fervore che, anche tenendo conto della situazione disperata di quel paese, può essere definito ai limiti dell’irresponsabile.
Già il 2 marzo il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba aveva dichiarato che “la NATO sta valutando la possibilità di una no-fly zone su nostra richiesta”. Poche ore dopo lo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha rinnovato la richiesta della misura, col pretesto che “i russi hanno bombardato anche le chiese”. Al che, sia la portavoce del presidente americano Joe Biden, Jen Psaki, sia il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, si sono detti contrari. Michel, in particolare, ha dovuto ripetere l’ovvietà sfuggita, o taciuta, dalla dirigenza ucraina: “Una no-fly zone costituirebbe un rischio reale di escalation e un rischio reale di una possibile terza guerra mondiale. L’Unione Europea non è in guerra con la Russia.
La realtà è che la Russia ha lanciato una feroce guerra contro l’Ucraina. L’Ucraina non è un membro della Nato e per questo noi dobbiamo essere molto attenti e cauti. Dobbiamo fare tutto il possibile, ma tenendo in considerazione che la Russia ha armi nucleari ed è molto importante evitare una terza guerra mondiale”. Dopo che la pretesa ucraina è stata cassata, nel pomeriggio del 4 marzo, Zelensky ha attaccato pesantemente la stessa NATO: “Sapendo che nuovi attacchi e vittime sono inevitabili, la Nato ha deliberatamente deciso di non chiudere il cielo sull’Ucraina. Oggi la leadership dell’alleanza ha dato il via libera ad ulteriori bombardamenti di città e villaggi ucraini, rifiutandosi di creare una no-fly zone”.
Riferendo del vertice NATO, Stoltenberg ha inoltre azzardato che l’alleanza teme “aggressioni anche a Moldavia, Georgia e Bosnia Erzegovina”. Nel caso della Bosnia si tratterebbe delle tensioni interne fra la Republika Srpska e la Federazione croato-musulmana, coi primi contrari alla richiesta di adesione alla NATO ventilata dalla seconda. Una simile tensione viene alla ribalta anche fra Serbia e Kosovo, di fronte alla volontà espressa dal governo di Pristina di aderire all’Alleanza Atlantica, proprio nel pieno di rinnovate spaccature con Belgrado sui destini della comunità serba locale.
Come si vede, quindi, il caos ucraino rischia di creare una sorta di “onde sismiche”, dal punto di vista geopolitico, che possono rimettere in movimento le mai chetate faglie dei Balcani. Nel caso della Moldavia, poi, il timore sarebbe dovuto alle immagini di una conferenza del presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko coi suoi ministri, in cui mostra una mappa delle operazioni militari russe in Ucraina, a cui potrebbero aggiungersi forze bielorusse. Sulla mappa alcune frecce di avanzata puntano in direzione della Moldavia, la quale, già impaurita, ha chiesto di aderire all’Unione Europea.
E’ presto per dire se i piano di Putin siano o no effettivamente così articolati, ma di sicuro, in un’eventuale annessione della Moldavia giocherebbe un ruolo chiave la Transnistria, la piccola striscia di territorio moldavo a Est del fiume Dnestr, indipendente de facto fin dal 1990 sotto la protezione di Mosca e popolata da circa mezzo milione di persone, nonché sede di importanti depositi di armi della 14a Armata dell’esercito russo che la presidia con 1.500 militari.
Forse Stoltenberg si riferiva a queste possibili estensioni del conflitto quando ha detto “ci aspettiamo giorni peggiori e ulteriori sofferenze”, denunciando inoltre i russi poiché “abbiamo constatato l’uso di bombe a grappolo e ci sono state notizie dell’uso di altri tipi di armi che sarebbero in violazione del diritto internazionale”, riferendosi, pare, agli ordigni termobarici, di cui però non esiste verifica indipendente. Quanto alle bombe a grappolo, va però ricordato che né la Russia, come nemmeno l’Ucraina e gli stessi Stati Uniti, aderiscono alla convenzione ONU che le vieta, in vigore dal 2010.
Guerra di numeri
Il drammatico bilancio degli scontri aumenta di giorno in giorno, ma parlare di cifre precise è molto relativo, data la perenne “guerra dell’informazione” fra i belligeranti.
Al 2 marzo 2022, il Servizio pubblico di Emergenza ucraino (SES), una specie di corrispettivo della nostra Protezione Civile, dichiarava un conteggio provvisorio della prima settimana di guerra: “In questi sette giorni, la Russia ha distrutto centinaia di infrastrutture di trasporto, case, ospedali e asili. Durante questo periodo, più di 2.000 ucraini sono morti, senza contare i nostri difensori”.
Per il SES, oltre 150 persone sono state salvate dalle macerie, 400 incendi sono stati domati e gli artificieri hanno neutralizzato 416 ordigni inesplosi. Fra gli stessi soccorritori si sono avuti 10 morti e 13 feriti. Nel frattempo, il presidente Zelensky dichiarava che “quasi 6.000 militari russi sono stati uccisi dalle nostre forze in sei giorni di guerra”. Dal canto suo, l’ONU, tramite il suo Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, o UNHCR, ha parlato il 4 marzo di 331 morti civili, fra cui 7 ragazzi, 3 ragazze e 9 bambini, e 675 feriti. Quasi tutte le vittime sarebbero dovute a schegge di granate e bombe.
Da Mosca, il 3 marzo, il portavoce del Ministero della Difesa, generale Igor Konashenkov ha per la prima volta dato cifre precise di caduti russi, oltre a fare un bilancio provvisorio della “operazione speciale”, come la chiama il Cremlino, fino a quel momento. La Russia riconosceva quel giorno 498 militari uccisi in combattimento a partire dal 24 febbraio, e 1597 feriti, cifre molto più basse dei 5840 militari russi di cui Kiev rivendica l’uccisione.
I russi, inoltre, stimano che le perdite umane ucraine siano di 2870 fra “militari e nazionalisti”, senza contare 3700 feriti. Sempre il generale Konashenkov ha fatto rapporto sui successi militari del Cremlino: “Dall’inizio dell’operazione abbiamo colpito almeno 1612 bersagli, inclusi 62 posti di comando e centri di comunicazione, 39 sistemi missilistici antiaerei S-300, Buk M-1 e Osa e 52 stazioni radar”.
Inoltre, il generale russo ha proseguito sostenendo che sono stati distrutti “49 aerei a terra e 13 in volo, 606 fra carri armati e altri veicoli blindati, 67 lanciarazzi multipli, 227 pezzi d’artiglieria e mortai, 405 veicoli motorizzati e 53 velivoli senza pilota”.
La quantità di bersagli colpiti potrebbe essere compatibile con il numero di missili, balistici e da crociera, lanciati dai russi, che gli stessi americani hanno stimato “superiore a 480 vettori”, stando a una nota del Pentagono del 3 marzo, missili ai quali ovviamente va aggiunta l’opera dell’artiglieria e dell’aviazione. Nonostante l’enfasi posta nell’elencare la distruzione di aerei e sistemi antiaerei, sembra comunque che l’Ucraina possa aver conservato una certa capacità di insidiare il dominio dell’aria russo.
Il 4 marzo veniva data notizia dell’abbattimento di un caccia russo Sukhoi Su-34 nell’Est del paese, a Volnovakha, da parte di un missile. Del resto, l’arrivo di missili spalleggiabili Stinger che si aggiungerebbero ai sistemi Strela locali, può aumentare i pericoli per le Forze Aerospaziali russe ma soprattutto per gli elicotteri che volano a quote basse com0atibili con il raggio d’azione di tali sistemi d’arma. Era solo l’ultimo di una serie di abbattimenti di velivoli russi, che secondo dati diffusi da Kiev il 4 marzo possono essere riassunti in 39 aerei e 40 elicotteri russi distrutti dall’inizio dell’offensiva.
Il 3 marzo il Pentagono riteneva che “i sistemi di difesa e missilistici ucraini rimangono intatti ed operativi”, e che “i russi non si sono assicurati il dominio del cielo che rimane conteso”. Fonti della Difesa USA avrebbero detto alla CNN che gli ucraini “continuano ad essere in grado di far alzare in volo i propri aerei e usare i sistemi di difesa aerea”. Chiaramente è difficile dire quanto ci sia di vero.
Si sa che gli ucraini hanno molto ricamato sulla leggenda del cosiddetto “Fantasma di Kiev”, o “Pryvyd Kyieva” in ucraino, il fantomatico pilota di un Mig-29 che avrebbe abbattuto in duelli aerei, secondo una leggenda non confermata, 6 aerei russi solo a cavallo fra il 24 e il 25 febbraio. Avrebbe distrutto due Su-35, due Su-25, un Mig-29 e un Su-27.
Che non si sappia il suo nome e che le sue vittime siano tutte caccia a getto di alte prestazioni e non, per esempio, prede più facili come elicotteri o aerei da trasporto, mette seriamente in dubbio quella che pare una storia propagandistica architettata per tenere alto il morale del paese. Fra l’altro, ad aggiungere sospetti, era il servizio segreto ucraino SBU a diffondere le notizie sul Fantasma di Kiev, diramando ad esempio che le sue vittorie aeree erano già aumentate a 10 entro il 27 febbraio.
Drammaticamente vera è invece la notizia del 1° marzo sulla morte eroica di un famoso pilota dell’aviazione di Kiev, il colonnello Oleksandr Oksanchenko, nome di battaglia “Lupo Grigio”, il cui caccia Su-27 è stato abbattuto da un missile russo S-400. Il pilota, esperto istruttore acrobatico, era andato in pensione nel 2018, ma era tornato in servizio nei giorni scorsi per difendere il suo paese fino alla morte. Più in generale, si può dire che l’aviazione ucraina è probabilmente ancora attiva, partendo dal presupposto che Konanshekov ha parlato di un totale di 62 aerei distrutti, fra quelli a terra e quelli in aria, mentre il totale di aeromobili all’inizio della guerra era circa doppio, oltre 120, di cui i tipi da combattimento, tra caccia e assaltatori, erano 98.
Anche se la Russia ha verosimilmente un controllo quasi assoluto del cielo, è possibile che piccoli nuclei di caccia ucraini, tenuti di riserva in campi dispersi, possano ancora compiere missioni mordi-e-fuggi, forse in modo non dissimile da quanto facevano i piloti nordvietnamiti contro lo strapotere aereo americano nel 1965.
E’ chiaro però che un pugno di aerei andrebbe presto incontro a esaurimento, se la guerra durasse troppo a lungo. Pare che il 4 marzo il governo di Zelensky abbia sondato alcuni paesi NATO dell’Est per ottenere, oltre alle forniture di armi da fanteria, anche aerei da caccia Mig-21 o Mig-29 delle aviazioni polacca e rumena, vecchi ma pilotabili senza difficoltà dal personale ucraino, per vederseli, al momento, rifiutare nel timore che possa essere interpretato come un coinvolgimento dell’alleanza nel conflitto.
Parimenti improbabile, a meno di non attuarlo con segretezza, sarebbe l’eventuale utilizzo da parte dell’aeronautica ucraina di basi aeree situate al di là del confine, per esempio in Polonia, in modo da decollare e rientrare impunemente. Tale ipotetico schema sarebbe simile a quello adottato dai Mig-15 dell’aviazione cinese, ma pilotati soprattutto da sovietici, che durante la guerra di Corea, dal 1950 al 1953, operavano da aeroporti cinesi in Manciuria, oltre il confine del fiume Yalu, per spingersi sulla penisola coreana a combattere contro gli F-86 americani e poi tornare alla base, al riparo di un confine che gli Stati Uniti non potevano violare.
Lo spettro di Grozny
Fra il 1° e il 4 marzo Kiev ha subito ancora attacchi missilistici mentre sul terreno le truppe russe sono arrivate a 25 chilometri dal centro della capitale. Sono stati colpiti i quartieri di Rusanivka, Kurenivka, Boiarka e Zhuliany, nella zona dell’aeroporto internazionale.
Sono state colpite anche due città vicine, Vyshneve e Bila Tserkva, dove è stato centrato un deposito di carburante. Inoltre hanno fatto sensazione i filmati che ritraggono due aerei d’assalto russi Sukhoi Su-25 che attaccano il sobborgo di Irpin. La capitale è sotto assedio da giorni e perfino nel cuore della città, a piazza Maidan, sono stati elevati sbarramenti con sacchetti di sabbia, filo spinato e cavalli di Frisia. Fra gli obbiettivi colpiti in questi giorni, anche la Torre della Televisione di Kiev, per cercare di isolare la capitale dal mondo, sebbene finora senza successo.
L’offensiva continua nei settori di Horenychi, Hostomel e Demidiv verso Kiev, in modo da serrare la capitale lungo tutto il suo versante settentrionale. Ma non siamo ancora a una vera offensiva urbana. Sembra che le consistenti forze mobilitate nel settore di Kiev attendano, da un lato il protrarsi dei negoziati affinchè gli ucraini ammorbidiscano le loro posizioni, dall’altro l’evolvere della campagna nel Sud del paese, che potrebbe permettere in seguito di avanzare su Kiev anche da quella direzione.
Forse per questo Putin si è mostrato apparentemente tranquillo il 3 marzo mentre dichiarava che “l’operazione militare speciale sta andando rigorosamente secondo il programma”. E poi: “I militari russi stanno combattendo per noi, per la Russia, per la pace, il Donbass e la denazificazione dell’Ucraina. Alle famiglie dei caduti saranno dati 7 milioni di rubli e una diaria mensile e vi saranno forme di assistenza e risarcimento per i feriti. Ci stiamo preoccupando di fare tutto il possibile per evitare vittime civili, sto parlando anche dei cittadini ucraini”.
Il presidente russo ha rincarato inoltre accuse che già faceva nei giorni scorsi: “Stiamo combattendo i neonazisti, che hanno mercenari stranieri, alcuni vengono dal Medio Oriente e usano i civili come scudi umani. I nazionalisti ucraini mettono i veicoli blindati nelle zone residenziali”. Nel sottolineare che “russi e ucraini” sono fratelli, Putin sembra adombrare la possibilità che, se Kiev non si dovesse arrendere, la Russia potrebbe essere tentata di inglobare il paese, ma pare essere più che altro una minaccia.
A Nord di Kiev si sta avvicinando una lunga colonna di 64 chilometri composta da carri armati, blindati, camion e autobotti. Avanza lentamente, secondo gli americani perchè “contrastata dalla guerriglia ucraina che avrebbe fatto saltare anche un ponte”. A tal proposito, John Spencer, maggiore dell’esercito americano in congedo, direttore degli “Studi di guerriglia urbana” al Modern War Institute, ritiene: “L’invasione russa in Ucraina rischia di trasformarsi a breve da guerra in guerriglia. Se il convoglio russo di 60 chilometri dovesse entrare a Kiev, inizierà la fase due del conflitto. Si combatterà casa per casa. A quel punto nulla è scontato”.
Sul dilemma del grande convoglio segnalato da foto satellitari, che ancora non si fa “sotto” alla capitale, l’analista americano spiega: “È una pessima idea mettersi in colonna su strada. Probabilmente temono di impantanare nel fango i carri armati e il resto del convoglio e dunque rimangono sulla strada principale, rallentando di molto l’avanzata. Il fattore tempo però è l’arma segreta degli ucraini, sta frustrando le truppe russe. Si vocifera che una parte dei mezzi sia a corto di gasolio e artiglieria. In ogni caso, mettersi in fila indiana è una delle peggiori idee possibili e infatti finora hanno subito perdite pesanti. Anche questa è una corsa contro il tempo. Se non si sbrigano non arriveranno a destinazione.
Se comandassi l’armata russa, chiederei di colpire tutti i rifornimenti occidentali non appena varcano il confine ed è quello che faranno. Taglieranno fuori tutte le città, chiuderanno lo spazio aereo e le vie d’uscita dai centri abitati. Spero solo lascino un corridoio per i civili”.
Di parere diverso l’esperto di carri armati italiano, capitano in congedo dei carristi Vincenzo Meleca, che osserva: “In queste colonne ci sono molte autobotti, per rifornire di gasolio carri e altri mezzi. Indica che i russi, fin dall’inizio, prevedevano una guerra di vari giorni, non una guerra lampo. Poi, colonne in bella vista sulle strade indicano che i russi hanno davvero il dominio dell’aria, altrimenti sarebbero un facile bersaglio per l’aviazione ucraina. Sono anche un’ostentazione di sicurezza, perchè si reputa minimo il rischio di agguati partigiani. Le colonne marciano pian piano, senza fretta, sostano e ripartono, evidentemente coordinate con le trattative intavolate con gli ucraini”.
Meleca ritiene inoltre che “La pressione russa è graduale e le grandi città sono circondate. I russi vorrebbero far arrendere gli ucraini senza entrare a Kiev con sanguinosi combattimenti urbani. Che rappresentano anche un rischio politico perchè, come a Grozny nelle guerre cecene, carri in città uguale palazzi sventrati e perdite civili. Interessante è che non hanno ancora inviato al fronte due mezzi corazzati adatti alla lotta in città, cioè il semovente BMPT (nella foto sotto), detto Terminator, e il carro-robot telecomandato Uran-9, già provato in Siria. Alcuni Terminator sono però già pronti su convogli ferroviari fermi alla frontiera”.
In effetti varie fotografie hanno mostrato BMPT Terminator pronti a entrare in Ucraina. E forse in queste ore potrebbero esservi già stati introdotti, se è vero che il 4 marzo il Pentagono ha stimato che “il 92% delle forze di combattimento russo preparate per l’invasione sono ora in Ucraina”. Ricordiamo che il Terminator, carro multiruolo da fanteria, è stato progettato espressamente per il combattimento in ambiente urbano sulla base delle esperienze in Cecenia. Con un equipaggio di 5 uomini, anziché i 3 “classici” di un tank russo, e una numerosa panoplia, può ingaggiare bersagli multipli e appoggiare l’avanzata dei carri armati, vigilando sulle insidie di fanterie o guerriglieri acquattati fra le rovine di una città.
E’ armato con ben 4 lanciamissili anticarro Ataka, 2 cannoni automatici da 30 mm, due lanciagranate e una mitragliatrice. La dottrina russa prevede che in ambiente urbano ogni tank medio di tipo T-72 o T-90 avanzi appoggiato da almeno due Terminator.
il nucleare ucraino
Frattanto è battaglia dura anche a Kharkiv, bombardata per ora più pesantemente di Kiev e dove sono entrati in azione anche i paracadutisti della forza aviotrasportata russa VDV. Vista la prospettiva che Kiev e Kharkiv possano diventare nuove Grozny, calderoni vulcanici di macerie fumanti, se col proseguire delle trattative la delegazione di Zelensky non dovesse accettare una resa, o almeno un compromesso, non deve stupire che il 3 marzo, anche il ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, abbia ammesso che “il peggio deve ancora venire”. “Possiamo temere – ha detto – una logica di assedio alla quale i russi sono abituati”.
A Kharkiv è però probabile che prima di una eventuale spallata alla capitale, sempre nel caso che continui a resistere, i russi attenderanno di aver consolidato le loro posizioni a Sud. Sulla costa del Mar d’Azov resiste praticamente solo Mariupol, da dove il sindaco Vadym Boichenko, parla di bombardamenti sono così “implacabili” che i soccorritori non riescono a recuperare i feriti: “Non possiamo nemmeno prendere i feriti dalle strade, dagli appartamenti, poiché i bombardamenti non si fermano”.
A Nordovest della Crimea, Kherson sarebbe quasi sotto controllo dei russi, che son arrivati il 4 marzo anche a Mykolayv. Ormai minacciano Odessa dalla parte dell’entroterra e se riusciranno ad avanzare ancora, le truppe di terra potranno coordinarsi con le forze anfibie della Flotta del Mar Nero, che stazionano al largo della costa, pronte a uno sbarco che il 4 marzo veniva dato per “imminente” anche dal Pentagono.
La presa di Odessa potrebbe essere un passo decisivo della campagna perchè priverebbe l’Ucraina del maggior porto a cui far affluire rifornimenti via mare, che sono sempre i più efficaci in proporzione al peso trasportato, rispetto a quelli via terra. Inoltre l’esercito di Mosca s’impadronirebbe dello sbocco meridionale dell’autostrada E95 che porta a Kiev nel Nord, per cui i russi potrebbero in un secondo tempo avanzare sulla capitale da Sud verso Nord tagliandola fuori.
Nel Sud, tuttavia, una partita importante si sta giocando anche sul nucleare ucraino. Dopo che, nei primi giorni d’offensiva, era stata occupata la centrale di Chernobyl, presso la frontiera bielorussa, il 3 marzo le truppe russe avanzanti dalla Crimea hanno preso il controllo della centrale nucleare maggiore d’Europa, quella di Enerhodar, a Zaporizhzhia (sotto nella foto satellitare), il che permette anzitutto di controllare un quinto delle forniture elettriche del paese.
La centrale è stata conquistata dopo uno scontro con quelli che il Cremlino ha definito “sabotatori ucraini”, il cui strascico è stato un incendio fuori dal perimetro dei sei reattori del complesso, tanto che il 4 marzo l’AIEA, l’agenzia internazionale dell’energia atomica, ha confermato che non vi è stata alcuna fuga radioattiva.
Attualmente l’Ucraina ha 4 centrali nucleari operative con 15 reattori totali (6 reattori, appunto, nella sola Enerhodar), senza contare Chernobyl, che figura “chiusa”. Nelle altre tre centrali attive i russi non sono ancor arrivati. Esse sono Rivne e Khmeinytskyi, nell’Ovest, lontano dal fronte, e Yuzhnoukrainsk, che invece è nel Sud-Ovest ed è più facile venga raggiunta dalle forze d’invasione. Infatti al 4 marzo l’ambasciatrice americana all’ONU, Linda Thomas-Greenfield sosteneva che “i russi sono a 32 chilometri dalla seconda maggior centrale atomica dell’Ucraina”, il che significa quella di Yuzhnoukrainsk.
Mosca si giustifica sostenendo che “USA e Kiev hanno un piano segreto che prevede di preparare sul territorio ucraino armi nucleari, sulla base dell’esperienza atomica di Kiev, che non è mai venuta meno”. L’Ucraina, come ben si sa, ereditò migliaia di ordigni nucleari al crollo dell’URSS e vi rinunciò ufficialmente firmando, il 5 dicembre 1994, l’Accordo di Budapest insieme a Russia, USA e Gran Bretagna, restituendoli alla Russia. Il sospetto russo che l’esperienza ucraina nel nucleare civile potesse sempre essere riversata in ricerche militari è probabilmente cresciuto nel tempo anche notando che gli ucraini stavano sviluppando missili balistici a corto-medio raggio, attorno ai 500 km, come il Grom/Hrim e il Sapsan (nella foto sotto).
Inoltre, il 19 febbraio 2022, appena cinque giorni prima dell’attacco russo, Zelensky aveva incautamente dichiarato, forse mettendo ancor più in allarme i russi di quanto già non fossero: “Potremmo rivedere l’Accordo di Budapest e considerarlo non valido se le parti non si riuniscono per garantire la nostra sicurezza”. Lo disse all’ultima conferenza sulla sicurezza di Monaco. Ancora prima, nel 2019, l’allora segretario del Consiglio di Difesa della Sicurezza Nazionale ucraino, Oleksandr Turchynov, aveva dichiarato: “Il disarmo nucleare dell’Ucraina è stato un errore storico, le garanzie di sicurezza che ci hanno dato non valgono nemmeno la carta su cui sono scritte”.
Il 3 marzo 2022, del resto, Sergei Naryshkin, capo dell’SVR, il servizio segreto estero russo, erede del ramo esteri dell’antico KGB, ha additato Washington come complice nel presunto progetto segreto di un’arma atomica ucraina: “Gli Stati Uniti erano a conoscenza del fatto che l’Ucraina stava sviluppando armi nucleari ed erano pronti ad aiutare Kiev in questa impresa. Non solo noi, ma anche gli americani sapevano questa cosa. Allo stesso tempo, non solo hanno omesso di prevenire la realizzazione di questi piani, ma erano anche pronti, come loro ben sanno, a offrire aiuto agli ucraini, ovviamente sperando che i missili ucraini con testate nucleari sarebbero stati diretti a est, non a ovest”.
La guerra fredda
Si moltiplicano le forniture di armi occidentali all’Ucraina, tanto che dalla Germania stanno giungendo 2.700 missili antiaerei Stinger, mentre gli Stati Uniti hanno dichiarato che “è arrivato a destinazione il 70% della partita di armamenti da 350 milioni di dollari ordinata dal presidente Joe Biden”.
Per quanto riguarda l’Italia, il 1° marzo il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha firmato il decreto per l’invio di armamenti italiani a Kiev, illustrando così la procedura, ma tenendo riservati i dettagli tecnici delle armi: “L’impegno del Parlamento rivolto al Governo c’è. Il decreto interministeriale è già in lavorazione per poter essere inviato. Parliamo di ore, visto che io ho già firmato il decreto per lo stanziamento di sostegni, anche in termini di materiale militare, all’Ucraina. I contenuti del decreto sono secretati.
Sulla consegna materiale di questi aiuti militari, devo avere il giusto riserbo su come assolveremo il nostro dovere”. Il ministro Guerini ha tenuto a precisare: “Nessun soldato italiano o di altri paesi porterà armi dentro l’Ucraina. Vicinanza per il popolo ucraino, ma giusto riserbo sulle modalità operative”.
Certo, c’è sempre il sospetto che le nazioni occidentali possano favorire un flusso di volontari, veri o presunti, a combattere nelle file ucraine. Già inglesi e svedesi premono per arruolarsi, ma è chiaramente impossibile stabilire se siano privati cittadini in cerca di una causa, oppure elementi militari o d’intelligence sotto spoglie di “volontari” o “mercenari”.
Intanto la tensione Russia-NATO resta alta, specie dopo che Mosca ha accresciuto lo stato di allerta delle sue forze nucleari. Ancora Naryskin ha tuonato: “È in atto per la Russia non una nuova riedizione della guerra fredda, ma chiaramente una guerra davvero calda. Nella seconda metà del Ventesimo secolo, la Russia ha combattuto l’Occidente in posti lontani e ora, la guerra si è avvicinata ai confini della nostra patria. Politici e commentatori in Occidente amano dire che quello che è accaduto è una nuova guerra fredda. Ma il parallelo storico non calza in modo appropriato”.
Gli Stati Uniti avrebbero innalzato progressivamente il loro livello di allarme nucleare da DEFCON 3 a DEFCON 2, il penultimo prima del DEFCON 1 che indica il pericolo di una guerra nucleare imminente in termini di giorni od ore. Nell’ambito delle manovre aeree di pattuglia e deterrenza condotte dalle aviazioni della NATO, il 4 marzo si è saputo che i quattro grandi bombardieri americani Boeing B-52H Stratofortress arrivati sulla base britannica di Fairford da alcune settimane hanno compiuto nuovi voli lungo i confini fra Romania e Ucraina, nel corso di manovre condotte insieme all’aviazione rumena e a quella tedesca.
“Non ci sono garanzie che non ci saranno incidenti, non ci sono garanzie sul fatto che questi incidenti possano subire una escalation in una direzione completamente non necessaria”, ha affermato il 2 marzo il viceministro degli Esteri russo, Alexander Grushko. E il ministro degli Esteri Sergei Lavrov (nella foto sotto) ha detto chiaro e tondo il 3 marzo: “Non vogliamo una guerra nucleare, ma se dispiegheranno armi nucleari contro di noi affronteremo la situazione. Stanno parlando di Terza guerra mondiale. E una Terza guerra mondiale può essere solo una devastante guerra nucleare.
Gli Stati Uniti vogliono controllare l’Europa come vollero fare Hitler e Napoleone”. Frattanto, Dimitri Rogozin, direttore dell’agenzia spaziale russa Roscosmos, nel negare che il gruppo di hackers NB65 s’era infiltrato nei computer della “NASA russa”, ha avvertito che un attacco, informatico o distruttivo, ai satelliti russi equivarrebbe a una dichiarazione di guerra. Ha detto Rogozin: “La rimozione dal servizio di sistemi spaziali di qualsiasi paese è un cosiddetto casus belli”. Così ha risposto a un comunicato della rete Anonymus secondo cui “la Russia non ha più il controllo sui suoi satelliti spia”.
Ma secondo Rogozin, i sistemi informatici della Roscosmos si sono “automaticamente protetti”. Il monito ha preciso significato, poiché in caso di danni ai suoi satelliti, Mosca reagirebbe con le armi antisatellite ampiamente collaudate negli ultimi anni.
Da Washington, il presidente Biden invitava gli americani a “non preoccuparsi della guerra nucleare” mentre il Pentagono, fiducioso del deterrente atomico USA dichiarava: “Siamo capaci di difendere noi stessi, i nostri alleati e i nostri partner”. Il 3 marzo, comunque, la NBC riportava che le forze armate USA hanno “stabilito un canale per comunicare direttamente con i russi allo scopo di evitare errori di valutazione e una possibile escalation intorno all’Ucraina, sebbene la NBC precisi che non esistono asset militari statunitensi all’interno o nello spazio aereo di quel paese.
Il 4 marzo, per non aumentare la tensione ulteriormente con segnali equivoci, Washington ha inoltre deciso di rimandare a data da destinarsi un previsto lancio di test di un loro missile intercontinentale Minuteman III, che potrebbe essere interpretato come una prova in vista di un confronto atomico.
Rimane invece confermata la grande esercitazione NATO, in programma ben prima della guerra in Ucraina, che si terrà in Norvegia sotto la denominazione Cold Response 2022.
Si terrà dal 10 marzo al 10 aprile 2022, ed è stata già inviata una notifica alla Flotta russa del Nord, a scanso di incidenti. Parteciperanno 30.000 uomini di 27 nazioni, con aerei, navi e truppe di terra.
In particolare, la US Navy e la Royal Navy saranno presenti i gruppi di battaglia delle portaerei Truman e Prince of Wales. Sarà presente anche l’Italia con unità della Marina Militare e le truppe alpine per operazioni in ambiente artico. I russi, invitati come osservatori in ambito OSCE, hanno declinato. Preferiranno osservare le manovre coi radar e coi grandi Tupolev Tu-95 che sorvolano quotidianamente le acque artiche e atlantiche.
Foto: BBC, ISW, UNAN, TASS, Ministero Difesa Ucraino, Ministero Difesa Russo e Twitter