Tra assertività e ragionevolezza: opzioni militari e diplomatiche nella guerra in Ucraina
La guerra in Ucraina prosegue e le sue rappresentazioni alternano momenti di speranza per la capacità di difesa dell’Ucraina a quelli più cupi per l’avanzata incessante dei russi, e i bombardamenti che coinvolgono i civili.
Anche i corridoi umanitari diventano un’arma a favore dei russi, che così potranno dispiegare maggiormente la forza di fuoco e i corazzati negli attacchi dei centri urbani. È quella che Clausewitz chiama “la nebbia della guerra”, ovvero l’incertezza in cui ancora non può delinearsi se la difesa – anche prolungata nel tempo, che costerà comunque sacrifici – avrà la capacità strutturale di sopraffare l’offesa, per annientarne la libertà d’azione. E non va dimenticata la minaccia della “deterrenza” nucleare lanciata da Putin. Altri scenari, come quello di un collasso istituzionale della Russia o della destituzione di Putin – pure plausibili – non rispondono allo stato ad un principio di realtà, né garantiscono che un ribaltamento della leadership porti ad una definitiva cessazione della guerra.
Il realismo delle scelte possibili. L’opzione militare
In questo contesto strategico, l’opzione di una risposta militare di sostegno all’Ucraina va calibrata con attenzione, come stanno ora facendo gli Stati Uniti e la Nato per evitare una “terza guerra mondiale”. C’è tuttavia da domandarsi se l’attuale sistema di aiuti esterni diretti all’Ucraina sia sufficiente. Una analisi sul punto ci viene proposta su Foreign Affairs da Alexander Vindman, un tenente colonnello dell’esercito americano nella riserva ed ex direttore per gli Affari europei presso il National Security Council (rif. America Must Do More to Help Ukraine Fight Russia. A lend-lease plan for the Ukrainian military, mars 2022).
Per l’analista, in sostanza, l’Ucraina non può resistere da sola, presto sarà a corto di carburante, munizioni, armi anticarro, sistemi di difesa aerea, droni armati UCAV e aerei da combattimento. Per Vindman è prematuro parlare di una insurgency ucraina, ed anche controproducente mentre l’esercito ucraino e i battaglioni di difesa territoriale rimangono tutt’altro che sconfitti.
Washington e i suoi alleati, invece, dovrebbero rafforzare un programma di lend-leasing modellato su quello fornito agli alleati dagli Stati Uniti in Europa durante la seconda guerra mondiale, che includa sistemi di difesa aerea a medio e lungo raggio, altre armi anticarro (oltre ai Javelin, già stati forniti) con capacità di raggio esteso, sistemi di difesa costiera, artiglieria ad alta mobilità e UCAV di maggiore portata.
Ma occorrerebbero anche, vista l’impossibilità di imporre una no-fly zone, gli strumenti di cui l’Ucraina ha bisogno per controllare lo spazio aereo, come gli UCAV con capacità aria-superficie e aria-aria, nonché jet da combattimento, come i MiG-29 e i Su-25 che Bulgaria e Polonia avevano proposto di trasferire in Ucraina. Lo scenario di Vindman esclude l’ipotesi che la deterrenza nucleare sia concreta, perché gli effetti di un ordigno nucleare tattico esploso in Ucraina finirebbe con il colpirebbe le stesse forze russe.
Ma è del tutto evidente che di fronte ad una ulteriore escalation delle capacità difensive ucraine non è possibile escludere una ritorsione ancora più aggressiva di Putin, considerando che già si parla (in Occidente) del possibile ricorso anche alle armi chimiche. Non escludendo dunque l’opzione militare, calibrandola il più possibile ad una prospettiva di contenimento del conflitto, non rimane che pensare realisticamente anche all’opzione diplomatica.
L’opzione diplomatica possibile
Nonostante la vulgata corrente, la diplomazia e il richiamo al diritto internazionale rispondono meglio al quadro teorico del “realismo” che regge il sistema delle relazioni internazionali (ex multis, Kenneth Waltz, Theory of International Politics, 1979). I
negoziati tra le parti in guerra, pur tra tante incertezze, procedono almeno nel tentativo di assicurare alcuni corridoi umanitari. Si parla anche di un orientamento dell’Ucraina verso una riforma costituzionale che preveda la “neutralità”, e quindi la non adesione alla Nato, e forse anche a concedere un riconoscimento dei territori autonomi del Donbass; se la Russia rinunciasse ad altre pretese territoriali e al proposito di insediare un nuovo governo filo-russo, si potrebbe anche pensare ad una intesa più concreta.
È stato poi promosso dalla Turchia il Forum di Antalya, la prima iniziativa di mediazione ad alto livello, cui sono intervenuti il Ministro degli esteri russo Lavrov e quello ucraino Kuleba, rimasta tuttavia infruttuosa. Tuttavia Erdogan insisterà sulla mediazione, atteso che ha stabili rapporti di cooperazione economica sia con la Russia – non ha aderito alle sanzioni – sia con l’Ucraina, è c’è sempre da considerare la postura strategica cui il leader turco tende ad assumere nello scenario internazionale, specie in quel quadrante regionale, dove tra l’altro la Convenzione di Montreux gli consente un certo controllo del Bosforo e dei Dardanelli.
Altre importanti iniziative di mediazione del conflitto sono state intraprese pure da Israele, che non ha aderito alle sanzioni, ha un forte legame con l’ebraismo russo, e con la Russia gestisce molti ambiti di cooperazione economica, e anche strategica sui dossier palestinesi, iraniani e siriani.
Ma ad oggi vi sono significativi elementi di novità sulla ipotesi di una mediazione promossa dalla Cina, che sarebbe ora spinta a tutelare l’economia, i flussi di import-export, i vari rapporti di cooperazione e le risorse investite – anche in Ucraina – in particolare nella belt and road initiative. E si intravede anche il disegno ideologico della “prosperità condivisa” del Grande Timoniere Xi Jinping, che mira pure ad assumere un nuovo ruolo strategico, ancora più incisivo nel contesto globale.
Vi sono dunque diversi attori, evidentemente ciascuno con un rilevante peso nel quadro delle relazioni internazionali, che ritengono percorribile e propongono convinti una mediazione, considerandola un’alternativa concreta per impedire l’aggravarsi del conflitto, e delle sue conseguenze sul piano globale. Questa realtà va dunque assolutamente valorizzata, e per questo dovrebbero ora assumere un ruolo più incisivo l’Organizzazione delle Nazioni Unite e l’Unione Europea.
Il ruolo delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea
Si è detto che dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non si possono attendere Risoluzioni visto l’inevitabile potere di veto della Russia. Tuttavia, il Segretario Generale dell’ONU, ma anche un gruppo dei suoi principali Stati membri, specie quelli dell’Unione Europea che hanno un dovere di solidarietà nei confronti dell’Ucraina, dovrebbero ripartire dalla recente esperienza della “sessione di emergenza” dell’Assemblea Generale che, superando l’immobilismo del Consiglio di Sicurezza, ha comunque adottato la Risoluzione ONU A/ES-11/L.1, “Aggressione contro l’Ucraina”, che, pure nella forma di “raccomandazione”, ha condannato l’intervento russo in Ucraina e chiesto l’immediata cessazione delle ostilità.
Come hanno osservato Andrea de Guttry e Fabrizio Pagani (Le Nazioni Unite. Sviluppo e riforma del sistema di sicurezza collettiva, 2020), la prima convocazione in “sessione d’urgenza” dell’Assemblea Generale risale al 1950 durante la crisi coreana, ed è stato il primo strumento attuato proprio per superare l’immobilismo del Consiglio di Sicurezza. In quella circostanza, l’Assemblea Generale adottò la Risoluzione A/Res/377/5 dal titolo emblematico Uniting for peace, che addirittura consentiva anche il potere di disporre un’azione armata.
Conclusioni
In definitiva, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, anche su proposta dell’Unione Europea che sente maggiormente il bisogno di sostenere concretamente l’Ucraina e fermare l’aggressione russa, possono adottare una vera e propria nuova Risoluzione Uniting for peace, anche perché è la stessa Risoluzione A/ES-11/L.1 che alpara 16 prevede un aggiornamento della situazione in Ucraina.
L’Assemblea Generale dovrebbe anzi autoconvocarsi in seduta permanente dato il rischio di “una terza guerra mondiale”, ed essere quindi più incisiva nell’adottare almeno le misure previste dal Capo VI della Carta sulla risoluzione pacifica delle controversie (es. nomina di un “rappresentante speciale” per la mediazione, ricorso ad organizzazioni o accordi regionali, deferimento alla Corte internazionale di giustizia, inchieste, etc.).
É in questo contesto che vanno perciò intensificate e sollecitate le iniziative di mediazione, a cominciare da quelle proposte di Cina, Israele, e Turchia. Ma è bene che questi attori non rimangano soli e che la mediazione confluisca piuttosto in un formato allargato ad un “nucleo forte” di negoziatori, tra cui potrebbero figurare India, Giappone, Arabia Saudita, Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Unione Europea. Si avrebbe così un giusto bilanciamento degli equilibri strategici, e una rappresentanza autorevole della comunità degli Stati: di fronte ad essa, per Putin sarebbe difficile sottrarsi al confronto e sostenere le sue pretese con la guerra.
Foto: ONU, Ministero degli Esteri Russo e Ministero della Difesa Russo