La guerra in Ucraina e il riarmo dell’Italia
Tra le tante conseguenze “dell’operazione speciale” scatenata dalla Russia in Ucraina quella forse meno scontata era di riuscire a trasformare l’Italia in una nazione “belligerante e bellicosa”, pronta a fornire armi letali all’Ucraina in guerra, a impostare l’addestramento dei nostri militari alla guerra (senza se e senza ma….) e a varare incrementi delle spese militari senza precedenti al punto da veder definire un “falco” il nostro ministro della Difesa.
Spese alla difesa al 2 per cento del PIL
La Camera ha approvato il 16 marzo un ordine del giorno, promosso in Commissione Difesa dall’onorevole Roberto Paiolo Ferrari, responsabile del Dipartimento Difesa della Lega, che impegna il governo a “incrementare le spese per la Difesa verso il traguardo del 2 per cento del Pil”.
Per Ferrari “si tratta di raggiungere un obiettivo che il nostro Paese si era dato, aderendo alle conclusioni del vertice dell’Alleanza Atlantica nel 2014 in Galles, ovvero impegnare una quota, pari al 2 per cento del prodotto interno lordo del Paese nel campo della difesa”.
L’ordine del giorno, sottoscritto anche da FdI (hanno votato contro Alternativa, Sinistra italiana e Europa verde) riprende quanto dichiarato da Mario Draghi alla Camera nell’ultima informativa resa al Parlamento sul conflitto in Ucraina il 1° marzo scorso che parlò di predisporre “un aumento stabile nel tempo, che garantisca al Paese una capacità di deterrenza e protezione, a tutela degli interessi nazionali, anche dal punto di vista della sicurezza degli approvvigionamenti energetici”.
Come ha ricordato Ferrari l’aumento delle spese militari “non è’ una corsa al riarmo ma significa finalmente dare le risorse necessarie a un sistema che garantisce la sicurezza del Paese, a necessaria deterrenza per la sicurezza anche dell’approvvigionamento delle nostre risorse energetiche e degli interessi strategici del nostro Paese”.
Esigenze e sostenibilità
L’intento di alzare la spesa per la Difesa portandolo da circa 25 a una quarantina di miliardi di euro annui, risponde a esigenze precise incluse quelle emerse nelle prime settimane di guerra in Ucraina in cui le perdite tra i i due lati della barricata, oggi filtrate attraverso la propaganda di Mosca e Kiev, probabilmente vedono migliaia di morti tra i militari e la distruzione di molte centinaia di mezzi corazzati e di un numero ancor maggiore di veicoli oltre che di decine di aerei da combattimento ed elicotteri.
La prima guerra convenzionale combattuta su vasta scala in Europa dal 1945 sta già offrendoci lezioni rilevanti in termini di perdite umane, di armi e di mezzi. In Occidente dobbiamo quindi potenziare gli organici militari e il numero di mezzi pesanti, dai carri armati alle artiglierie, per poter sostenere una guerra di questo tipo della durata di almeno un mese.
Un tema su cui torneremo presto sulle pagine web di Analisi Difesa ma che già ora è evidente richiederà ingenti investimenti. Quello che il denaro non potrà comprare è però la lezione forse più amara per le società italiana ed europea che giunge da questo conflitto e che riguarda la capacità di accettare e “reggere” a livello politico e sociale migliaia di caduti in battaglia.
In meno di un mese di guerra russi e ucraini hanno già registrato un numero di morti maggiore di quello sopportato da tutti i paesi membri della NATO in 20 anni di conflitto anti-insurrezionale in Afghanistan. Quante nazioni in Europa sarebbero in grado di reggere perdite simili in pochi giorni di guerra?
Resta poi il rischio non trascurabile che l’incremento della spesa militare al 2 per cento PIL, obiettivo che vede l’Italia seguire la Germania che ha annunciato un simile incremento all’inizio dell’offensiva russa in Ucraina, resti lettera morta. Questa volta non tanto per mancanza di volontà politica ma a causa delle gravi difficoltà economiche (con pesantissime ricadute occupazionali e sociali) che molto probabilmente in Europa soprattutto l’Italia dovrà affrontare in seguito alla guerra in Ucraina, alla crisi energetica e alle sanzioni a Mosca.
A febbraio 2022, l’indice dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali in Germania è aumentato del 25,9% rispetto al febbraio 2021, come ha riportato l’Ufficio Federale di Statistica che non valuta ancora l’impatto della guerra in Ucraina
Per l’Italia il conto potrebbe essere ancor più pesante ma appare chiaro che simili aumenti dei costi di produzione renderanno presto i prodotti industriali europei non più competitivi sui mercati rispetto ai concorrenti. In un contesto così disastroso è facile prevedere l’esigenza di investire molte risorse nella spesa sociale.
Va inoltre ricordato che le politiche finanziarie di austerity imposte dalla Ue hanno contribuito nel recente passato ai tagli al bilancio pubblico italiano incluse le spese per la Difesa.
Spesa che ha ripreso fiato in seguito all’emergenza determinata dall’epidemia di Covid 19 che ha permesso di nuovo di spendere in deficit ma non è detto che simili condizioni permangano anche nel prossimo futuro soprattutto se si configureranno gravi problemi sociali.
Prepararsi al “warfighting”
Nei giorni scorsi hanno suscitato perplessità alcune reazioni emerse dopo la diffusione della circolare dello stato maggiore dell’Esercito in cui si dispone di adeguare le attività al nuovo scenario internazionale legato alla guerra in Ucraina. La circolare interna, datata 9 marzo e indirizzata a tutti i principali comandi, fa esplicito riferimento ai “noti eventi” e alle “evoluzioni sullo scacchiere internazionale”.
Nel documento si richiama l’attenzione ai congedi anticipati, si prevede che i reparti in prontezza operativa siano “alimentati al 100%” e che l’addestramento sia “orientato al warfighting”. Si chiede inoltre di “provvedere affinché siano raggiunti e mantenuti i massimi livelli di efficienza di tutti i mezzi cingolati, gli elicotteri e i sistemi d’arma dell’artiglieria”.
Per quanto riguarda il personale, si chiede di valutare i congedi anticipati perché “deve essere effettuato ogni possibile sforzo affinché le capacità pregiate possano essere disponibili”.
Indicazioni anche per il personale in “ferma prefissata” che “dovrà alimentare prioritariamente i reparti che esprimono unità’ in prontezza”.
Nel documento si indica anche di evitare per quanto possibile “il frazionamento delle unità” e di ponderare tutte le richieste sul territorio nazionale che dovranno essere avallate “a livello centrale”. Anche gli “assetti sanitari” dovranno tenere in considerazione “i prioritari impegni” con relazione alle forze direttamente operative. Le indicazioni – si precisa – sono da attuarsi “con effetto immediato”.
Al di là delle reaziono scandalizzate di alcuni ambienti sociali e politici l’impatto del documento era inevitabile. Dopo decenni di missioni pace, operazioni contro-insurrezionali a bassa intensità e impiego dei militari come surrogato di poliziotti, sanitari, netturbini e spalaneve, la guerra in Ucraina costringe anche noi italiani a ricordarci che il compito prioritario delle forze armate è “fare la guerra”, cioè combattere.
Falchi e altri animali
Non poche polemiche e reazioni di condanna si sono registrate in questi giorni anche in seguito alle affermazioni rivolte al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, da Alexei Paramonov, direttore del dipartimento europeo del ministero degli Esteri di Mosca.
“Lorenzo Guerini è uno dei principali falchi ispiratori della campagna antirussa nel governo italiano” ha detto Paramonov in una intervista all’agenzia di stampa Ria Novosti, in cui ha voluto ricordare l’aiuto offerto da Mosca all’Italia durante l’epidemia di Covid. “All’Italia è stata fornita un’assistenza significativa.
E una richiesta di assistenza alla parte russa fu inviata anche dal ministro della Difesa italiano Lorenzo Guerini, che oggi è uno dei principali ‘falchi’ e ispiratori della campagna antirussa nel governo italiano” ha aggiunto Paramonov.
Unanime la condanna degli ambienti politici e istituzionali di queste dichiarazioni definite intimidatorie e offensive: reazioni che dimostrano in realtà quanto l’Italia sia impreparata, anche culturalmente e nel linguaggio, a far fronte a un evento bellico in cui abbiamo scelto consapevolmente di essere, anche se indirettamente, belligeranti.
Abbiamo deciso, come altre nazioni della NATO, di regalare armi all’Ucraina in guerra, armi italiane che difficilmente cambieranno le sorti del conflitto ma contribuiranno ad uccidere molti soldati russi. Facendolo abbiamo rinunciato al tradizionale ruolo di “ponte” con la Russia che Roma ha sempre ricoperto con governi di ogni colore politico. Di fatto ci siamo privati della possibilità di mediare negoziati tra russi e ucraini assumendo una posizione dichiaratamente ostile e “belligerante”, che i russi forse non si aspettavano e che, come è ovvio, censurano.
Più che naturale quindi che anche l’Italia sia oggetto di minacce di “dure risposte” da parte di Mosca, che ci rinfaccino la missione di soccorso inviata in Italia per l’emergenza Covid o che il ministro Guerini venga definito un “falco”.
Termine che non ha nulla di offensivo ma che viene attribuito, anche nel gergo mediatico, ai sostenitori di iniziative belliche e interventiste o ai fautori di un potenziamento delle spese e delle capacità militari.
Il 16 marzo, al consiglio dei ministri della Difesa della NATO, Guerini ha del resto espresso il “più forte sostegno al collega ucraino, Oleksij Reznikov, e il grande rispetto dell’Italia per la forza e il coraggio dimostrate dalle Forze Armate ucraine e, non di meno, dalla popolazione. Credo sia importante ribadire che l’Ucraina non è sola. Le azioni intraprese sino ad oggi, per supportare le Forze Armate ucraine sono senza dubbio significative.”
Il ministro ha poi confermato “la piena disponibilità ad incrementare la presenza italiana nel quadrante sud-est dell’Alleanza, in piena coesione e solidarietà con gli alleati più esposti. Al contempo dobbiamo essere vigili sui possibili riverberi della crisi nei Balcani, così come sulla presenza russa nel Mediterraneo e in Africa con Wagner.”
Se a queste dichiarazioni aggiungiamo gli sforzi del ministro Guerini, coronati da un pieno successo, tesi ad aumentare la spesa militare italiana, non c’è da stupirsi se nell’attuale contesto di guerra in Ucraina un alto funzionario del ministero degli Esteri russo definisca il nostro ministro un “falco”.
Del resto, quanto a toni diplomatici e in tema di termini faunistici, non dimentichiamo che il nostro ministro degli Esteri ha definito pochi giorni or sono il presidente Vladimir Putin “il più atroce degli animali”.
Foto: Difesa.it e Twitter