Russi e ucraini continuano a combattere ma cominciano a trattare sul serio
Si guarda con attenzione ai negoziati in corso, ma permangono le cautele specie sulle condizioni poste per le “garanzie di sicurezza” e su Crimea e Donbass. Occorre prudenza anche nel valutare l’annuncio della fine della ostilità prevista per il 9 maggio, data nella quale la Russia celebra il “Giorno della Vittoria” nella seconda guerra mondiale. Nello scenario in continua evoluzione, vanno considerati un “cambio di strategia” dell’avanzata russa e qualche efficacia della dottrina delle “controffensive minime” di Kiev. Si teme però per il crollo di Mariupol e uno “scenario coreano”, con una Ucraina spaccata in due sulla linea del Dnepr.
I nuovi negoziati
Premettendo sempre le necessarie cautele nello scenario altamente incerto della guerra in Ucraina, va analizzato con attenzione lo sviluppo dei negoziati promossi dalla mediazione della Turchia.
Le notizie, invero, giungono da diverse fonti e sono il frutto di indicazioni che andranno verificate, ma pare che possano esserci state convergenze su alcuni punti: de-escalation delle attività militari russe nella capitale Kiev e nella città settentrionale di Chernihiv e apertura di nuovi corridoi umanitari; istituzione di un “sistema di sicurezza” garantito da più Paesi (fra i quali figurerebbe anche l’Italia insieme a Regno Unito, Cina, Polonia, Stati Uniti, Francia, Turchia, Germania, Canada e Israele); riapertura di negoziati ad hoc sullo status della Crimea e del Donbass.
Al netto di alcune dichiarazioni entusiaste dei mediatori turchi, un’analisi attenta delle dichiarazioni rese induce tuttavia a prudenza, anche perché provengono prevalentemente da parte ucraina. Erdogan aveva annunciato possibili convergenze su quattro punti:
1) neutralità dell’Ucraina, che include la non adesione alla Nato;
2) riconoscimento del russo come altra lingua ufficiale del Paese;
3) “smilitarizzazione”;
4) “garanzie di sicurezza”, in un quadro di “esigenze collettive”.
Ma già alla vigilia del negoziato il Ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kule, aveva indicato che “in generale, la classificazione degli argomenti chiave in quattro o più punti non è corretta”. Lo stesso Ministro aveva aggiunto: “Prima di tutto, insistiamo su cessate il fuoco, garanzie di sicurezza e integrità territoriale dell’Ucraina”.
In sostanza, già sulle intese sulla neutralità dell’Ucraina potrebbero permanere criticità, specie sulle ultime indicazioni pervenute da parte ucraina sul ruolo degli Stati “garanti”.
In primo luogo l’Ucraina proporrebbe una sorta di trattato di pace multilaterale, atteso che, secondo il capo negoziatore ucraino Mikhailo Podolyak, l’accordo di pace tra Russia e Ucraina “dovrà essere approvato in un referendum popolare in Ucraina e poi dai Parlamenti di tutti i Paesi garanti della sicurezza ucraina”.
Inoltre, sembra che le “garanzie di sicurezza” su cui punterebbe l’Ucraina non si riferiscano a mere funzioni di osservazione e controllo su generiche “misure di fiducia e sicurezza”, ma anche ad impegni più diretti a tutela dell’Ucraina, analoghi a quelli previsti “dall’articolo 5 del Trattato di Washington” – espressamente richiamato dagli ucraini – che vincola gli Stati della Nato alla self-defence solidale.
Con tali “garanzie” i negoziatori ucraini hanno assicurato che “non ci saranno truppe straniere nel nostro paese” e che “non entreremo nella Nato”. Ma sul punto il capo della delegazione ucraina David Arahamiya avrebbe anche precisato: “I Paesi garanti dovranno fornirci assistenza militare, forze armate, armamenti, cieli chiusi: tutto ciò di cui abbiamo tanto bisogno ora e che non possiamo ottenere”.
Anche sull’ipotesi “smilitarizzazione” sarebbe da verificare cosa si intenda, se, come sembra, potrebbe essere riferita alla rinuncia di presenze militari in una determinata area, oppure a qualcosa di più esteso.
Le criticità più serie rimangono comunque sullo status della Crimea e dell’autonomia delle Repubbliche filorusse di Donetsk e Lugansk. Alla vigilia dei negoziati si parlava di “linee rosse” irrinunciabili da parte russa, cui secondo diversi analisti si sarebbero presto aggiunte anche ulteriori pretese su diversi territori conquistati.
Ad oggi i resoconti dei negoziati parlano di una ben diversa prospettiva dell’Ucraina, che avrebbe proposto alla Russia trattative separate sullo status della Crimea e per il porto di Sebastopoli (base strategica della flotta russa del Mar Nero, già sotto controllo di Mosca prima dell’annessione della Crimea), da concludersi entro 15 anni anche attraverso consultazioni referendarie, mentre per lo status del Donbass, Kiev ha rinviato una possibile intesa solo ad un incontro diretto tra i presidenti Putin e Zelensky.
Come si è detto, tutti questi particolari degli argomenti discussi ai negoziati provengono soprattutto da parte ucraina, mentre da parte russa si sono registrate solo generiche rassicurazioni sulla prosecuzione dei negoziati, e qualche indicazione in più su possibili intese sulle condizioni di neutralità dell’Ucraina e sulla de-escalation in atto che andranno tuttavia verificate. Una precisazione sul punto già è stata fatta dal capo negoziatore russo Vladimir Medinsky, che, citato dalla Tass, avrebbe indicato che la “de-escalation” delle operazioni militari russe sui fronti di Kiev e Chernihiv “non significano un cessate il fuoco”. E in una prospettiva più generale è singolare un’ultima nota della Tass, secondo cui per il Cremlino “prima o poi Mosca e Washington dovranno parlare di questioni di stabilità strategica: è importante per tutto il mondo”.
Il “cambio di strategia”
Secondo la CNN e fonti statunitensi potrebbe esservi un “cambio di strategia” da parte di Mosca, che starebbe iniziando a ritirare le sue forze dalle vicinanze di Kiev. Ma si tratta di bene interpretare in cosa consisterà la nuova strategia.
Ora anche il ricomparso Ministro della Difesa russo, Serghei Shoigu, ha confermato che “l’obiettivo primario è liberare il Donbass” così come aveva indicato già qualche giorno fa il vicecapo di stato maggiore Sergej Rudskoi. Ammantata dalla retorica trionfante sui piani che “stanno andando secondo le previsioni”, la notizia è stata accompagnata da indiscrezioni sulle rassicurazioni date ai soldati che la guerra finirà il 9 maggio, la “Giornata della Vittoria” che la Russia celebra per ricordare la disfatta della Germania nazista.
Se così fosse, è evidente che la strategia degli Stati Uniti e degli alleati europei – che hanno puntato sull’isolamento internazionale, sulle sanzioni e sugli aiuti militari – ma soprattutto la capacità militare e la forza morale della resistenza dell’Ucraina hanno dato i loro frutti.
Ma da qui al 9 maggio può ancora accadere di tutto. Il capo di stato maggiore della difesa francese, Thierry Burkhard, aveva avvertito in un’intervista a Le Monde che le forze russe potrebbero ancora “schiacciare” la resistenza ucraina. Le analisi delle intelligence occidentali, recentemente riunitesi nel vertice di Roma, ritengono comunque che il riferimento alla data del 9 maggio possa avere riscontri, dato che contribuirebbe alle narrazioni ufficiali della “vittoria” russa.
Tuttavia la cautela è necessaria, perché potrebbe essere anche una manovra per allentare l’attuale crescendo della riprovazione internazionale, culminata proprio nei vertici NATO, UE e del G7, ma anche nella visita di Biden in Polonia. È vero che il riferimento di Biden ad un regime change che deponga Putin è stato ritenuto poco corretto sotto il profilo “diplomatico”, ma va riconosciuto che l’espressione è stata frutto anche del clima di ostilità verso il leader russo che si respira a Varsavia. La commossa e sentita accoglienza dimostrata dai polacchi verso Biden è stata la plastica raffigurazione di ciò che gli Stati Uniti rappresentano in quella parte di Europa che ancora anela alle libertà temendo le mire dell’invasore ex-sovietico.
Putin sta subendo tutta una serie di risposte concentriche che l’hanno messo all’angolo: l’avviso di nuovi pacchetti di sanzioni, l’avvio della “Bussola Strategica” che rafforzerà la difesa europea in stretta connessione con la Nato, e, last but not least, l’annuncio dello schieramento proprio di altre forze Nato in difesa dei territori europei orientali più minacciati.
Per non parlare dell’isolamento internazionale sempre più progressivo cui Putin è stato costretto dall’espulsione dal Consiglio d’Europa, dalle indagini avviate dalla Corte penale internazionale, e dalle condanne della sua guerra di aggressione da parte della Corte internazionale di giustizia e dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Dopo la prima Risoluzione del 1° marzo “Aggressione contro l’Ucraina”, il 21 marzo scorso l’Assemblea ha adottato una nuova Risoluzione A/ES-11/L.2 “Conseguenze umanitarie dell’aggressione contro l’Ucraina”, dove ha ribadito l’intimazione a cessare le ostilità e ad attenersi alle prescrizioni del diritto internazionale umanitario. Tra queste è peraltro indicato di cessare immediatamente l’assedio della città di Mariupol, per le modalità indiscriminate con cui sono state coinvolte numerose vittime civili, tra cui donne, bambini, personale sanitario e umanitario e le loro strutture.
Le preoccupazioni per una Ucraina spaccata in due
Da qui al 9 maggio preoccupa proprio la pressione che la Russia potrebbe esercitare su Mariupol, la città che consentirebbe di unire la Crimea alle regioni del Donbass, per puntare su una Ucraina divisa in due, forse anche sulla linea del fiume Dnepr, come qualche analista ha già ipotizzato parlando di un “modello Cipro”. Secondo il Guardian anche il capo dell’intelligence ucraino, il generale Kirill Budanov, ritiene che Putin stia puntando ad uno “scenario coreano”, con una Ucraina del Nord e una del Sud.
Ma ancora una notizia offre un’altra prospettiva.
Secondo il Financial Times, sono diversi i segnali di insofferenza delle truppe di Mosca, e l’ultimo è emblematico: il colonnello Yuri Medvedev, alla guida della 37a Brigata fucilieri motorizzata, è stato investito da un soldato russo a bordo di un tank, esasperato dalle pesanti perdite subite da reparto.
Sembrano confermate anche le notizie del bilancio scoraggiante per le perdite della Federazione Russa, tra cui vi sarebbero anche 7 generali (nota: le ultime agenzie parlano del grave ferimento del comandante delle truppe cecene a Mariupol, Ruslan Geremeyev) e diversi ufficiali uccisi, una circostanza che viene letta con attenzione per l’incidenza sulla classe media, diffusa e influente nella Russia di Putin, molto più della classe popolare dei villaggi che piange con meno clamore i suoi soldati semplici caduti sul campo, di cui tra l’altro, secondo diverse fonti, si tenderebbe a non celebrare nemmeno l’ultimo saluto.
Ora l’attenzione è dunque rivolta a come evolveranno nelle prossime ore da un lato il conflitto sul campo e dall’altro la nuova fase dei negoziati.
Lo sforzo primario delle operazioni russe sembra concentrarsi sulla regione a oriente del fiume Dnepr, ove l’azione di fuoco ad opera dell’artiglieria e dei bombardamenti aerei e missilistici pare debba anticipare l’afflusso delle componenti più “fresche” della riserva russa, che potrebbero lanciare gli attacchi “risolutivi” e consolidarsi sugli obiettivi.
Nel contempo proseguono gli assedi e le incursioni nei centri urbani, a cominciare dalla strategica Mariupol, ma anche di altri centri come Kharkhiv, Chernihov, Izyum e Sumy. Le forze di Kiev continuano a resistere, grazie anche ad una certa superiorità difensiva che sono riusciti ad ottenere con i sistemi anticarro, i droni armati /nella foto sopra)e alcuni efficaci contrattacchi localizzati, in adesione ad una intelligente dottrina delle “controffensive minime”. In ogni caso, il timore per una Ucraina spaccata in due è sempre attuale.
Foto: Ministero Difesa Ucraino, TASS, Twitter e Ministero Difesa Russo