Guerra in Ucraina: quanto è credibile la minaccia nucleare?
Lo scenario della guerra in Ucraina continua ad evolvere tra risvolti imprevedibili – lo è stato certamente l’affondamento dell’incrociatore Moskva, la nave ammiraglia della flotta russa del Mar Nero le cui cause non sono ancora ben chiare – e altri da mettere in previsione, come una molto probabile reazione della Russia, che dovrà avere un forte valore simbolico.
Intanto si riscontra una crescente pressione degli attacchi sul Donbass e sull’assedio di Mariupol, mentre sono ritornati i bombardamenti di obiettivi a Kiev.
Le autorità di Kiev hanno annunciato il ritrovamento di oltre 900 corpi di civili, di cui molti uccisi a colpi di pistola, che potrebbero indicare una drammatica prassi di esecuzioni dirette, un’altra serie di crimini di guerra su cui stanno lavorando i team investigativi coordinati dalla Procura Generale Ucraina e dalla Corte Penale Internazionale.
La situazione più critica sembra ora l’assedio di Mariupol, dove la Russia ha impiegato missili da crociera lanciati per la prima volta dai bombardieri Tupolev Tu-22M3 e l’intero stabilimento siderurgico Ilyich è ormai sotto controllo russo. Il comandante della 36/a brigata della Marina ucraina, il maggiore Serhiy Volyna, ha lanciato un accorato appello affinché si assumano iniziative “militarmente e politicamente” per sbloccare l’assedio della città, perché i combattimenti sono “feroci” e “i russi avanzano in modo aggressivo”.
L’attenzione è ora puntata sulle convergenti notizie che richiamano il pericolo di una minaccia atomica, sebbene riferita all’impiego di armi nucleari tattiche o di basso potenziale.
Il primo annuncio proviene dal capo della CIA, Williams Burns: “Data la disperazione di Putin e della leadership russa, e date le battute d’arresto che hanno affrontato finora militarmente, nessuno di noi può prendere alla leggera la minaccia rappresentata da un potenziale ricorso ad armi nucleari tattiche o a basso rendimento”.
Burns ha comunque precisato di non avere allo stato diretta evidenza di schieramenti effettivi, sebbene il presidente Biden sia “profondamente preoccupato di evitare una Terza guerra mondiale e la soglia di un conflitto nucleare che diventi possibile”.
L’altro riscontro viene dalle dichiarazioni del “falco” Dmitrij Medvedev, vicepresidente del consiglio di sicurezza della Russia, rese subito dopo l’annuncio di Finlandia e Svezia di voler anticipare il loro ingresso nella Nato. Medvedev ha minacciato che la Russia “rafforzerà i suoi confini occidentali”, e che a questo punto “non si può più parlare dello status non nucleare dei Baltici, perché l’equilibrio deve essere ripristinato”.
L’ultima notizia è l’anticipazione della CNN di una intervista in cui il Presidente ucraino Zelensky ha dichiarato: “Dobbiamo tutti essere pronti alla minaccia nucleare della Russia”, ed ha aggiunto “Siamo preoccupati dal possibile uso di armi nucleari, ma tutto il mondo dovrebbe esserlo, non solo l’Ucraina”.
Il tema della minaccia nucleare era già stato paventato all’esordio della guerra dell’Ucraina. Domenica 27 febbraio 2022, tre giorni dopo l’attacco russo, nella tarda mattinata è il presidente bielorusso Alexander Lukashenko a evocarla, dichiarando: “Le sanzioni spingeranno la Russia verso la Terza Guerra Mondiale. Quindi dobbiamo mostrare moderazione per non finire nei guai. Perché una guerra nucleare sarebbe un disastro”.
Passano poche ore e l’agenzia russa Sputnik annuncia “Putin ha ordinato di porre le forze di deterrenza dell’esercito russo in regime speciale di servizio da combattimento”. Si tratta dell’allerta delle armi nucleari, una decisione presa nel corso di un incontro con il ministro della Difesa, Serghei Shoigu, e il capo di stato maggiore Valeri Gerasimov.
Le principali agenzie riportano quindi le parole di Putin: “I Paesi occidentali non stanno solo intraprendendo azioni ostili contro il nostro Paese nella sfera economica, intendo quelle sanzioni di cui tutti sono ben consapevoli, ma anche gli alti funzionari dei principali Paesi della Nato fanno dichiarazioni aggressive contro il nostro Paese”.
Il tema del rischio più concreto del ricorso alle armi nucleari è stato quindi nuovamente affrontato dagli analisti che hanno cercato di interpretare con criteri scientifici e di ragionevolezza il grado di probabilità dello scenario.
Sono state riproposte le prospettive di analisi che hanno caratterizzato anche le fasi più critiche della “guerra fredda”, a cominciare dalla crisi dei missili di Cuba del 1962.
La teoria più evocata è stata quella della MAD (Mutual Assured Destruction, distruzione reciproca assicurata), concepita nel 1963 dall’allora segretario per la difesa statunitense R. McNamara, per indicare una situazione strategica di “equilibrio del terrore”.
Poi si è fatto riferimento agli studi strategici sulla teoria dei giochi di Von Neumann e Nash, con le tesi del “gioco a somma zero” e del “dilemma del prigioniero”.
Quest’ultima per un certo periodo è ancora tra le più suggestive perché dimostra come la “mancanza di comunicazione” tra due attori senza intermediari, nel caso specifico fra due prigionieri spinti alla confessione da una ricompensa, porta come soluzione più probabile quella più dannosa per entrambi. Tant’è che Thomas Schelling, un analista strategico di formazione economica, consigliò Kennedy di creare una linea diretta col Cremlino, la famosa “linea rossa”.
Schelling è anche il teorico della “compellence”, la capacità di uno stato di costringere un altro stato all’azione, di solito minacciando “punizioni” o “sanzioni”, che dovrebbero subentrare quando la deterrenza non basta.
Ma nell’elencazione delle varie teorie ci si può spingere ben oltre, passando dalla “scala di Khan”, in cui si analizzano 44 gradi di “escalation” e le possibili strategie (aggiornate nel 2010 da John Wohlstetter), per arrivare alla più recente Nuclear Threat Initiative, in cui persino un ex esponente governativo americano George P. Shultz, un conservatore repubblicano, ha esposto il concetto che è meglio rinunciare definitivamente alla deterrenza nucleare.
Ci si muove comunque in un ambito speculativo molto flessibile e controverso, dove necessariamente vale la considerazione del sempre attuale Clausewitz, secondo cui nell’ “arte della guerra”, fra teoria e prassi non è la logica a dominare, ma possono prevalere l’istinto e l’intuizione.
In altri termini una teoria delle questioni militari e strategiche per non rilevarsi fallace deve sempre inglobare oltre la scienza, anche l’aleatorio, il probabile, il soggettivo, la volontà.
Cionondimeno non si può rinunciare a tentare di valutare le circostanze con il metro della ragionevolezza, e vale sempre ricondursi a qualche elemento oggettivo.
Un elemento di valutazione del possibile impiego di armi nucleari da parte della Russia è rappresentato da un documento del 2 giugno 2021 firmato dallo stesso presidente russo Vladimir Putin, un decreto intitolato ‘Principi base della politica statale della Federazione Russa in materia di deterrenza nucleare’.
Si tratta di 6 pagine, in cui in 25 punti si indica la posizione sulle armi nucleari della Federazione Russa. Il punto centrale enuncia la possibilità di ricorso all’arma nucleare in caso di attacco convenzionale che metta “in pericolo l’esistenza stessa dello Stato”.
Si chiarisce poi, al quarto paragrafo, che la politica nucleare russa si configura come “difensiva”, atteso che il suo fine è mantenere il potenziale delle forze nucleari a un livello sufficiente per esercitare la deterrenza, scongiurando così un possibile attacco nemico contro la Federazione e i suoi alleati, e garantendo la sovranità e l’integrità territoriale dello Stato.
Nel quinto paragrafo, si richiama ancora la nozione di “deterrenza”, prevedendo il ricorso al nucleare solamente in casi di estrema necessità.
Poi vengono le parti più interessanti del decreto. Si enuncia una scala dei “fattori di rischio militare” che Mosca si propone di neutralizzare con la deterrenza nucleare. Il primo di questi è individuato nel dispiegamento da parte di Stati potenzialmente avversari di difese antimissili, missili balistici, cruise a corto e medio raggio, armi ipersoniche, droni d’assalto, nonché di sistemi spaziali di difesa antimissile o di attacco.
Nell’ultima parte del decreto si prevede la possibilità di utilizzare l’arsenale atomico non solo di fronte ad attacchi nucleari, ma anche per un’aggressione con armi convenzionali che sia idonea a mettere a repentaglio l’esistenza della Federazione.
Questa eventualità era già prevista nella dottrina militare del 2014, ma stavolta i passaggi indicati nel decreto evidenziano la scelta di un “abbassamento della soglia” per l’impiego delle armi nucleari. Secondo diversi osservatori dunque i criteri sarebbero più estesi e riguarderebbero anche un’aggressione convenzionale ‘periferica’, che possa mettere in pericolo la Federazione Russa, non solo, ma anche l’area di riferimento dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO), in cui compaiono Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, non dimenticando tra l’altro che la Serbia vi aderisce come osservatore.
In definitiva, che nelle analisi si voglia far prevalere l’elemento della imprevedibilità o quello delle previsioni plausibili, lo scenario non cambia: per evitare l’esito infausto del “gioco a somma zero” o del “dilemma dei prigionieri” che non si parlavano tra di loro, sarebbe proprio il caso che i due “prigionieri”, rinchiusi nelle celle delle loro contrapposizioni, per il loro diretto interesse ritornino a parlarsi, meglio anche attraverso buoni e interessati mediatori, quali dovrebbero essere prima fra tutti gli Stati dell’Unione Europea.
Foto: Ministero Difesa Russo e Ministero Difesa Ucraino