Storia dell’Impero Britannico
La storia delle colonie britanniche ha inizio molto prima del 1785, eppure nella scelta dell’arco storico di questo saggio sull’Impero vi è già un preciso valore simbolico. Il 1785 è l’anno in cui comincia in Gran Bretagna il lungo cammino culturale e politico per l’abolizione della tratta degli schiavi.
Il 1999 è l’anno della fine del mandato di Nelson Mandela come presidente del Sudafrica. Attraverso dieci capitoli e un epilogo che brulicano di figure storiche ed eventi noti o meno conosciuti, il lettore può ripercorrere storia e storie dell’Impero che più di ogni altro ha legato il proprio nome al fenomeno del colonialismo, tema caldo della riflessione storiografica degli ultimi anni. Luigi Bruti Liberati affronta i fatti di questi due secoli relativi ai territori dell’impero britannico con una vena narrativa senza mai trascurare la documentazione rigorosa mirando a conquistare lettori comuni e non solo studiosi. Ogni capitolo è accompagnato da riferimenti a saggi storici, letteratura e cinema, per continuare il viaggio oltre queste pagine.
Luigi Bruti Liberati è professore di Storia contemporanea all’Università Statale di Milano. I suoi ambiti di ricerca privilegiati sono le relazioni culturali tra Stati Uniti e Italia, Canada e Italia. Tra i suoi libri ricordiamo Il Canada, l’Italia e il fascismo, 1919-1945 (1984), Uno storico di nome Indro (2011) e Hollywood contro Hitler. Immagini cinematografiche di una guerra giusta, 1939-1958 (2014). Per Bompiani ha pubblicato Storia del Canada (2018) con Luca Codignola.
La recensione di Askanews
La storia può essere utile per leggere gli eventi del presente. Non che il fresco di stampa “Storia dell’impero Britannico 1785-1999” (Bompiani, 2022) parli degli orrori della guerra in Ucraina. Ma il suo autore, lo storico Luigi Bruti Liberati, individua due momenti degli oltre due secoli che racconta nel libro, preziosi per interpretare quest’epoca buia: la seconda guerra boera e la guerra per le isole Falkland. Entrambi bagni di sangue per un impero che “ben raramente è arrivato a scontri sanguinosi”.
Da leggere per riflettere sull’oggi. Il libro comincia con una citazione di William Shakespeare: “Il male che gli stati fanno vive dopo di loro. Il bene è spesso sepolto con le loro ossa”. Ma cosa rende unico l’impero britannico? Bruti Liberati: “Essere riusciti a inglobare nel sistema anche i dominati, però con l’inevitabile risultato che poi avverrà per l’India dopo la Seconda guerra mondiale, anche se il nazionalismo è iniziato già a fine ottocento.
Quindi una grande flessibilità”. Che cosa resta dell’impero britannico oggi?
“Tecnicamente il Commonwealth. Però è, come dire, soltanto anche un po’ un’immagine di questi paesi, perché in realtà sono tutti indipendenti. Moltissimi sono anche repubbliche e non riconoscono la regina d’Inghilterra come capo dello Stato. Però sicuramente il meccanismo della monarchia funziona ancora. Perché né l’Australia, né la Nuova Zelanda, né il Canada hanno pensato a diventare repubbliche, in sostanza”.
Dal successo di The Crown all’interesse quotidiano per la monarchia inglese: è sempre più di moda paradossalmente la corona britannica. Come fa a dimostrare questa longevità?
“La corona ha rappresentato un’unione del Paese e d altra parte in momenti di crisi ha dimostrato, secondo le varie personalità, una notevole capacità di tenere unito il popolo britannico. E poi è anche un brand. Il brand corona funziona perfettamente. Tanto che anche le storie piuttosto squallide del principe Andrea hanno relativamente intaccato la regina Elisabetta.
Pubblichiamo alcuni brani dal capitolo “L’ultima battaglia, Falkand/Malvinas 1982”
Negli anni 1960, nel periodo in cui la Gran Bretagna, dopo aver liquidato le sue colonie in Africa, era impegnata a rivedere il suo ruolo nel Commonwealth, le Falkland cominciarono a essere percepite come una sorta di onere e un ostacolo ai rapporti commerciali con l’America Latina. Nel 1968 il ministero degli Esteri, che aveva appena preso il nome di Foreign and Commonwealth Office (FCO), decise di compiere un passo decisivo. Pensò di dirimere la questione in modo pragmatico, riconfermando a parole la sovranità sulle isole, ma al contempo cedendole all’Argentina come atto di buona volontà.
Un progetto che si arenò subito di fronte alla furiosa reazione dei Kelpers e alle proteste in Parlamento, dove si formò una lobby contro la cessione.
A questo punto a Londra si tentò un’altra via. Rendere le Falkland materialmente dipendenti dall’Argentina e quindi gradualmente convincere gli abitanti. Nel 1971 furono stabiliti collegamenti aerei e telefonici con il paese sudamericano e fu dato alla compagnia argentina YPF il monopolio sul rifornimento di petrolio alle isole.
Infine, nel 1980 il ministero ebbe un’idea brillante e propose uno schema di leaseback, secondo il quale la Gran Bretagna avrebbe “venduto” le Falkland e poi le avrebbe riavute indietro con un “affitto” a lungo termine.
Il progetto non fu mai discusso tra i due paesi, ma è quasi certo che non sarebbe andato in porto, dato che a Londra si pensava a un termine di 99 anni e a Buenos Aires ne avrebbero accettato solo 10.
In ogni caso Nicholas Ridley, inviato dal ministero nelle isole, non ottenne alcun risultato e fu contestato duramente dalla popolazione. Tornato a Londra nel dicembre 1980, fu sommerso dalle proteste dei deputati che parlarono di una “svendita”. Un frustrato Ridley si lamentò del fallimento del progetto con queste parole: “Se non facciamo qualcosa [gli argentini] invaderanno, e non c’è nulla che possiamo fare”.
La previsione di Ridley era giusta nella sua prima parte e sbagliata nella seconda. Il diplomatico sapeva che la giunta militare argentina, al potere dal 1976, si dibatteva in una situazione molto difficile. I generali avevano imposto una feroce dittatura, una delle più sanguinarie della seconda metà del XX secolo, e godevano dell’appoggio degli Stati Uniti, ma l’Argentina era sprofondata in una gravissima crisi economica e ai militari serviva un diversivo.
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Così quando, nel 1981, Leopoldo Galtieri divenne il nuovo capo della giunta militare, una guerra per le Malvinas apparve al generale la soluzione perfetta. Avrebbe distratto la popolazione dai guai interni e unito il paese attorno al suo governo in nome del patriottismo. Ridley, però, non aveva fatto i conti con il suo capo, il primo ministro Margaret Thatcher. Lo stesso errore fu commesso da Galtieri. Alla vigilia dell’invasione argentina le Falkland erano abitate da 1.816 persone, per il 95% di nazionalità britannica, e da 600.000 pecore di origine scozzese, quindi anch’esse della medesima nazionalità. In modo molto appropriato, una pecora appariva in grande evidenza nello stemma delle isole. È chiaro che a Londra il primo ministro non poteva abbandonare un numero così ingente di sudditi della regina in mano a degli invasori stranieri.
Il 2 aprile 1982 le truppe argentine sbarcarono sulle isole Falkland, un territorio nel Sud Atlantico battuto dal vento, scarsamente popolato e completamente isolato dalla madrepatria. Prima dell’invasione argentina, ben pochi in Gran Bretagna sapevano dell’esistenza di quelle isole. Il pubblico non ne aveva alcuna cognizione, nonostante che fossero state in mano britannica per un secolo e mezzo, dal 1833. Nelle isole la guarnigione britannica (57 Royal Marines e 11 marinai) dopo alcune ore di resistenza cedette le armi di fronte a una forza nemica di 550 uomini. Furono poi rimpatriati con voli speciali.
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Non vi è dubbio che l’invasione argentina fu un dono dal cielo per un governo che appariva fatalmente impopolare e che stava presiedendo alla disarticolazione della vecchia economia britannica e allo smantellamento delle strutture dello stato sociale. Nel giugno del 1981 vi erano stati gravi disordini nelle maggiori aree urbane. All’inizio del 1982 i disoccupati arrivavano a tre milioni e centinaia di imprese fallivano ogni settimana.
Nonostante tutto ciò, dal punto di vista parlamentare il governo conservatore era saldamente in sella, con una maggioranza alla Camera dei Comuni di più di quaranta seggi. Per di più il partito laburista aveva subito una grave scissione a destra ed era in piena crisi. In questa situazione la signora Thatcher mostrò un fiuto infallibile nel cogliere i sentimenti dell’elettorato e assunse un piglio gingoista, figlio del secolo precedente.
Proclamò subito che il suo governo sarebbe stato inflessibile nella determinazione di riconquistare i territori perduti, che comprendevano anche la South Georgia Island, presa dagli argentini il 3 aprile. I militari si misero subito al lavoro con le scarse risorse a loro disposizione e il 5 aprile una Task Force salpò alla volta di un teatro di battaglia distante 13.000 chilometri dalle coste britanniche.
Ne seguì la Guerra delle Falkland/Malvinas che il grande scrittore argentino Jorge Luis Borges descrisse come “la lotta di due calvi per un pettine”, una brillante definizione che riflette la realtà delle cose, almeno per quanto riguarda il pettine. Per restare nella metafora, però, in questo scontro più che la capigliatura contava la dentatura e il primo ministro britannico aveva dei denti ancora aguzzi: la Royal Navy, il Reggimento SAS, i Gurkha e i Royal Marines. Dall’altra parte c’erano soldatini di leva che non avevano mai sparato un colpo in combattimento.
Luigi Bruti Liberati
Storia dell’impero Britannico 1785-1999
Editore Bompiani
In libreria da Marzo 2022
Ebook Disponibile
Formato 130.0 x 198.0
ISBN 9788830105850
Pagine 512
Euro 18,00