Iveco, un addio tricolore. Tata compra la parte civile, la Difesa va a Leonardo?
Lo si temeva da mesi, ma ora è quasi ufficiale, il gruppo Tata è pronto a rilevare le attività civili di Iveco per una cifra che si aggira intorno ai 4,5 miliardi di dollari. L’annuncio è atteso a momenti, con il Consiglio di Amministrazione di Iveco Group convocato proprio oggi per deliberare sul destino di un marchio storico, nato nel 1975 ma con radici ancora più profonde, legate alla Divisione Veicoli Industriali della Fiat, attiva sin dai primi del Novecento.
È una cessione che pesa, non solo sul piano industriale ma anche simbolico. Con circa 14.000 dipendenti distribuiti tra Torino, Suzzara, Foggia, Brescia e Bolzano, Iveco rappresentava l’ultimo vero presidio nazionale nel settore dei veicoli commerciali e pesanti. E anche se, a detta di Exor (la holding della famiglia Agnelli-Elkann che controlla Iveco), i posti di lavoro non sarebbero a rischio, le preoccupazioni crescono tra i sindacati e nelle istituzioni. Del resto, da tempo la strategia di Exor è chiara: disimpegno progressivo dal settore manifatturiero e focus su asset finanziari globali.
Sul piano strategico, la cessione non riguarda solo la componente civile, infatti anche la divisione Difesa – la Iveco Defence Vehicles – è destinata a cambiare padrone, ma separatamente. Qui il quadro è più complesso: Leonardo, insieme con Rheinmetall, è in pole position con un’offerta da 1,9 miliardi di euro. Una mossa che consentirebbe di mantenere nominalmente in ambito europeo il polo strategico legato alla Difesa terrestre, ma che apre interrogativi pesanti sul controllo reale che resterà all’Italia, considerando che si tratta pur sempre di una joint-venture con un colosso tedesco.
Il governo segue con attenzione la vicenda e valuta l’impiego del golden power, strumento utile per tutelare asset considerati strategici per la sicurezza nazionale. Ma la sensazione è che si arrivi sempre dopo, in una partita già scritta. La stessa Exor ha già ceduto Comau, eccellenza nella robotica, e circolano indiscrezioni sulla possibile uscita da Maserati. In un contesto in cui Stellantis produce sempre meno in Italia, Luca Cordero di Montezemolo ha riassunto in diverse occasioni ufficiali il quadro sulle deindustrializzazione con amarezza: «Se togliamo la Ferrari, l’industria italiana dell’automotive non esiste più. È un dato di fatto, non un’opinione».
Non si tratta solo di nostalgia industriale, perchè il disimpegno dal manifatturiero, unito all’assenza di una politica industriale forte, lascia il nostro Paese in una posizione di estrema vulnerabilità. Perdere Iveco significa perdere un pezzo di storia, di capacità ingegneristica e di indipendenza produttiva. E se anche Leonardo riuscisse a tenere in Italia la Difesa, lo farebbe in un’ottica europea che non sempre garantisce la tutela dell’interesse nazionale.
In attesa dell’annuncio ufficiale, una domanda resta sospesa: quanta sovranità industriale ci rimane? Forse è davvero il momento di ripensare una strategia Paese che torni a difendere, valorizzare e rilanciare le nostre filiere tecnologiche. Anche perché, dal 1975 a oggi, lo Stato italiano ha investito – direttamente o indirettamente – oltre 220 miliardi di euro nella galassia Fiat. Eppure oggi, senza più una vera casa automobilistica nazionale, ci troviamo più poveri, più esposti e con meno voce in capitolo nei tavoli che contano.
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