L’immobiliarista e l’oligarca: geopolitica da baraccone
Lo scambio verbale intercorso tra il presidente Trump e il vice presidente del consiglio di sicurezza russo, ha avuto la capacità di ricondurre alla memoria due anni in particolare, il 1962 ed il 1983, quando la minaccia nucleare divenne particolarmente concreta. Altri tempi, ma soprattutto altre persone, altri attori politici, meno arrangiati e grotteschi degli attuali.
Le minacce sono molteplici e forse l’ombra del Dottor Strangelove non è mai stata così evocativa nella sua follia. Le crisi sul proscenio internazionale sono di fatto insolubili a meno che non si adotti un approccio politico diplomatico che preveda chiaramente e senza fraintendimenti compromessi che sicuramente non potranno cancellare il passato, ma che forse potranno far guardare ad un futuro imperfetto ma quanto meno accettabile.
Siamo onesti, tanto per rimanere su fraseologie d’antan ma nazionali: chi saprebbe interpretare i passaggi di nuove convergenze parallele? Il buonismo in questo ambito non trova spazi nè ne troverà mai; il problema attuale è che che gli interpreti sulla scena non sembrano essere in possesso di particolari attitudini specifiche: il pensiero che un ex immobiliarista ancorchè di successo stia negoziando la politica estera del primo egemone mondiale in primo luogo induce a preoccupazioni diffuse, ed in secondo luogo, purtroppo, rende comprensibile perché gli eventi nel tempo abbiano preso queste pieghe.
Beninteso, neanche sull’altra sponda le cose sembrano andare meglio, se è vero, come è vero, che un ex avvocato in orbita oligarchica parla di olocausti nucleari indossando improbabili mimetiche. Insomma, l’abito, come è sempre stato, non fa di certo il monaco, specie se poi, al posto di un vero politico, si avvicendano falchi che adottano le movenze previste da un pericoloso sabler rattling.
È il momento di preoccuparsi? Sì, come sempre, rimpiangendo l’aurea ansia da Guerra Fredda, che si pensava potesse essere davvero l’ultimo gradino della stupidità. Ci si sbagliava tutti, e di grosso, specie davanti alla considerazione che, tutto sommato, l’attenzione prestata non è certo così sollecita, in un momento in cui tengono banco caldo, code ai caselli e l’ennesimo autunno caldo, come se gli altri siano mai stati freschi.
Escalation e deterrenza hanno preso ancora una volta il sopravvento, contornate da considerazioni che dovrebbero, crediamo, far riflettere. Innanzi tutto la minaccia daziaria non produce gli stessi effetti per chiunque, dunque l’adozione di un provvedimento piuttosto che un altro dovrebbe essere soppesato attentamente, ma da chi? Ecco che il labirinto delle relazioni internazionali ci riporta alle anticipazioni di poco fa.
Dall’altra parte la reazione del vice presidente del consiglio di sicurezza russo, evidentemente avallata dalle più alte sfere, potrebbe stare ad indicare che, al di là della stigmatizzazione della forma di un ultimatum francamente improbabile, qualche preoccupazione economica di peso c’è eccome. Inflazione in aumento, PIL in calo e prevedibile prossima fine degli effetti contabili della esclusiva produzione di guerra si stanno facendo sentire, malgrado la condotta tecnicamente ineccepibile della Governatrice Nabiullina, che potrà anche essere invisa in un Paese dove già abitare al secondo piano è poco salubre, ma che ha finora tenuto saldo il timone al centro. Ma per quanto ancora? Per quanto gli approvvigionamenti nord coreani potranno continuare? E non si sta ancora affrontando alcuna querelle su un futuro che non sembra essere stato mai così confuso.
Nel 1962 Kennedy riuscì, pagando comunque un caro prezzo in termini strategici, ad evitare il conflitto e la presenza di rampe missilistiche tali da annullare la bellezza turistica delle spiagge americane prospicienti L’Avana; ora?
La politica internazionale, condotta peraltro tra due soggetti culturalmente e storicamente così distanti, porta a dover considerare qualsiasi messaggio, come quello rilanciato da Medvedev circa il Perimetr, ovvero un preciso warning circa una reazione immediata e preventivata in qualsiasi frangente, un qualcosa da valutare anche alla luce delle ovvietà confidate da Putin a Lukashenko circa l’intenzione russa di mantenere ben saldo tra le proprie mani quanto acquisito e quanto di prossima e auspicata conquista.
Quale compromesso potrebbe mai essere ipotizzabile? Quale politica potrebbe mai, ora, salire sul podio?
In queste condizioni da Monaco 1938, anche il futuro prende la forma di una pessima eventualità, di una neanche troppo distante ipotesi di un perpetuarsi revanscista sempre più violento. A meno che, con un colpo di scena alla Ethan Hunt, non giunga un regime change dal basso, da bacini carboniferi in crisi profonda. Ovviamente è una mission impossible.
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Lo scambio verbale intercorso tra il presidente Trump e il vice presidente del consiglio di sicurezza russo, ha avuto la capacità di ricondurre alla memoria due anni in particolare, il 1962 ed il 1983, quando la minaccia nucleare divenne particolarmente…
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