Netanyahu contro tutti: “Prendere Gaza, costi quel che costi”
La guerra sta imponendo a Israele scelte strategicamente difficili, tra le quali sembra aver prevalso quella di occupare Gaza, imponendo un’amministrazione militare seppur temporanea, auspicando con questo la liberazione degli ostaggi ancora in vita. Il problema rimane nel fatto che nonostante i sia pur significativi danni inflitti ad Hamas, gli obiettivi strategici non sono ancora stati raggiunti; le aree rilevanti, per quanto geograficamente poco estese, rivestono un’importanza che trova motivo d’essere nel simbolismo che le vuole fortezze ad alta densità di popolazione.
Hamas detiene ancora circa 20 ostaggi in vita, ed i resti di non meno di altri 30 per i quali ha probabilmente difficoltà di reperimento, dati il tempo e gli eventi trascorsi. Il solo fatto di sopravvivere è motivo di soddisfazione, come l’attacco del 7 ottobre rimane quale giustificata concretizzazione dell’obiettivo della distruzione di Israele, capace di interrompere la normalizzazione tra Tel Aviv e gli Stati arabi.
Mantenere la presenza armata a Gaza darà ulteriore verve non solo per continuare a dare un senso a quanto compiuto, ma anche per ridare slancio all’asse della resistenza iraniano. Tuttavia, mentre Netanyahu dispone l’occupazione totale della Striscia, il capo di stato maggiore delle IDF, Eyal Zamir pone limiti ed osservazioni, nella convinzione che questo condurrebbe ad un rischio letale per gli ostaggi; il premier in merito, non intendendo ragioni, ha intimato di considerare rapidamente e seriamente l’opportunità di dimettersi.

Netanyahu è persuaso che Hamas non libererà mai gli ostaggi ancora detenuti, a meno che non si giunga ad una resa completa ipotesi che, nella sua difficoltà di attuazione, si accompagna alla presa del controllo di tutta Gaza, comprese le zone in cui si presume si trovino ancora gli ostaggi. Ed è qui che il generale Eyal Zamir (foto) muove le sue obiezioni circa rischi operativi altissimi per le sue forze ed anche per gli ostaggi stessi.
Lo scontro tra lo stato maggiore ed il Governo è stato acuito dalla recente decisione assunta da Zamir di revocare il perdurante stato di emergenza bellica, che obbligava i soldati regolari a prolungare il servizio per ulteriori quattro mesi rimanendo nella riserva. Senza contare il male che rode tanti soldati dall’interno e che sta conducendo ad un numero di suicidi che non può essere trascurato. Si è quindi trattato di una scelta interpretabile quale riduzione del carico che grava sulle forze combattenti, una scelta che intende non espandere l’offensiva e bilanciare il sistema di alimentazione degli indispensabili riservisti.
Lo scontro si è riscontrato anche in seno al gabinetto di sicurezza, dove si contrappongono da un lato il fronte della linea dura, sostenuta dal ministro degli Affari Strategici Ron Dermer, dal ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, e dal ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir e dall’altro, con Zamir, il capo del Mossad David Barnea, lo Shin Bet e il maggiore generale Nitzan Alon, responsabile del dossier ostaggi, a cui si unisce il ministro degli Esteri Gideon Saar, favorevole ad un tentativo di cessate il fuoco. Secondo attendibili analisi tecnico-militari, un’operazione estesa, basata sull’azione di non meno di 6 divisioni in aree densamente popolate ed armate, condurrebbe ad ulteriori mesi di intensi e violenti combattimenti.

Secondo Haaretz la guerra a Gaza non può essere vinta, all’ombra del rischio che si avvicini il momento in cui chiunque rinuncerà ad investire in Israele, mentre il Jerusalem Post assume posizioni più critiche verso le IDF. Non c’è dubbio che, se davvero si procedesse con l’occupazione, si giungerebbe ad un punto di svolta che, tuttavia, non chiarirebbe la sorte dei 2 milioni di sfollati palestinesi ancora presenti nella Striscia. Sul social X, il figlio di Netanyahu, Yair, ha accusato il generale, pur non nominandolo, di ribellione.
Nel corso della storia, le divergenze tra l’IDF e il governo non sono state frequenti ma hanno esercitato impatti significativi, ricorrendo nei momenti di crisi, come accaduto durante la Guerra del Kippur nel 1973, in Libano nel 1982, in occasione dei piani di ripiegamento e ritiro unilaterale dal Libano e da Gaza; non da ultimo, dal 2023, le tensioni sono emerse con le critiche all’esecutivo portate dai responsabili militari e dei servizi di sicurezza circa la gestione della guerra e la difficoltà nel trovare delle linee politiche post conflitto per l’enclave palestinese. Il mancato raggiungimento di obiettivi chiari, la carenza di un piano politico in grado di evitare il ritorno di Hamas, la gestione del dramma degli ostaggi, non hanno certo agevolato la querelle.
Malgrado il principio di subordinazione delle Forze Armate al potere politico, divergenze strategiche ed operative sono emerse assurgendo alla forma di dibattito pubblico, peraltro da contestualizzare nel contesto israeliano, naturalmente difficile e complesso.
Foto: IDF / prime minister’s office
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La guerra sta imponendo a Israele scelte strategicamente difficili, tra le quali sembra aver prevalso quella di occupare Gaza, imponendo un’amministrazione militare seppur temporanea, auspicando con questo la liberazione degli ostaggi ancora in vita. Il problema rimane nel fatto che…
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