Trump Route: la vittoria USA nel Caucaso che mette all’angolo Russia e Iran
È stato necessario attendere quasi 40 anni, e diversi scontri cruenti nel Karabakh, per giungere ad un accordo al limite dell’incredibilità. Sì, incredibile, ma poi tutto sommato non così tanto, sotto diversi aspetti: per l’entente occorso tra gli interessati, per il mediatore, per l’attuale impossibilità di intervento da parte dei due attori regionali più interessati in termini di equilibrio di potenza.
Dall’Asia Occidentale, se volete dall’Eurasia, alla Casa Bianca il passo è stato più breve del previsto, ed auspici l’intervento del presidente Trump e l’assenza di Russia e Iran, si è riusciti ad addivenire alla firma di un accordo a lungo inatteso. Dopo una campagna militare rapidissima, nel settembre del 2023 l’Azerbaijan ha riassunto il controllo del Karabakh, precedendo una successiva normalizzazione dei rapporti con Erevan.
Di fatto, azeri ed armeni sono riusciti a trovare una quadra nel momento in cui le terze parti, tra cui USA e Russia, sono state poste ai margini, benché Washington, a differenza di Mosca, trarrà comunque un beneficio dall’accordo, tant’è che è stata concordata la creazione di un corridoio di transito, la Trump Route for International Peace and Prosperity, ex Corridoio di Zangezur, che collegherà l’Azerbaijan continentale ed il Nakhchivan confinante con la Turchia, alleata di Baku, attraverso l’Armenia.
Di fatto, la Danzica asiatica, frutto della supremazia bellica azera, è stato oggetto di un’operazione di rebranding lunga poco più di 40 km fortemente appetiti da americani e turchi ma pericolosamente vicini ad un Iran che, ufficialmente, teme per la propria sovranità (dall’Armenia?) ma che in realtà non può accettare una vicinanza a stelle e strisce ancorché in conto terzi.
Non è azzardato pensare che, malgrado la dimensione regionale dei due concorrenti, si sia in presenza di un gioco imperiale tra egemoni contraddistinti da posizioni marcate ed interessi elevatissimi. L’Armenia divide Azerbaijan e l’exclave di Nakhchivan che il corridoio collega, rafforzando sia i legami con Ankara sia la diplomazia santificata dalle opere infrastrutturali; mentre Baku può assumere dunque il crisma di hub logistico regionale, Erevan può sfruttare l’opportunità di un’integrazione nell’ambito di reti commerciali più estese diversificando un’economia asfittica bisognosa di investimenti in valuta pregiata.
Il coup de théâtre lo hanno organizzato gli americani alla modica somma di 99 anni di concessione: la Trump Route sarà gestita secondo legge armena mentre gli USA subaffitteranno l’area ad un consorzio per la gestione e le infrastrutture, prime fra tutte quelle energetiche. Non male per una presenza secolare nell’area. Armenia e Azerbaijan hanno poi di conseguenza proceduto allo scioglimento del Gruppo di Minsk dell’Osce, presieduto da Francia, USA e Russia, di fatto non più funzionale per soluzioni trovate altrimenti, ma indicativo della presa di distanza da Mosca e di uno spostamento dell’asse politico verso occidente.
Puntuali, dalla Russia, rilanci per nuove mediazioni e per l’ennesima, violenta campagna di disinformazione anti armena, per cui pare opportuno rammentare l’accusa rivolta a Erevan circa la presenza di un impianto americano di armi biologiche, un’accusa speculare a quelle mosse contro l’Ucraina, appena prima l’invasione. Anche i tentativi russi di riallacciare i rapporti con Baku sono stati resi vani, in dicembre, dall’abbattimento di un aereo civile azero sopra Grozny. Il presidente azero Aliyev ha dichiarato che la situazione non contribuisce all’appianamento delle relazioni bilaterali con Mosca che, dopo ripetuti e violenti raid contro la comunità azera, ha dovuto assistere a diverse misure di rappresaglia, tra cui gli arresti di direttore esecutivo e caporedattore dell’agenzia di stampa Sputnik di Baku.
Nell’area ora insiste dunque l’Iran, indebolito sia dalla guerra con Tel Aviv, sia anche dal fatto che il partner per caso russo è costretto a concentrarsi sul conflitto ucraino. Nella regione l’Azerbaigian è la nazione più volitiva, autonoma, potente, con l’Armenia che a sua volta sta cercando di liberarsi dal giogo russo. Ecco che Russia e Iran devono confrontarsi con nazioni che, sia pur non sempre connesse fra di loro, trovano un comune intento nel volersi ritagliare un preciso ruolo regionale.
Insomma, Mosca non può continuare a far conto solo sulla politica estera ritagliata su medie/piccole potenze regionali, ma deve considerare l’entrata in scena della Turchia e degli USA. Se Ankara trova in Baku uno strumento anti armeno ed un passepartout per le rotte commerciali, Washington è attratta da un business che potrebbe fruttare non meno di 50-100 miliardi di dollari all’anno, senza contare che la Route collegherebbe il Caspio con la Turchia, facendo arrivare così in Occidente il gas eurasiatico, escludendo la Russia da una cospicua fetta di guadagni impedendole di procedere a qualsiasi forma di ricatto a posteriori, permettendo di monitorare l’Iran, tutto grazie a 40 km di traversine.
Al momento il contesto regionale appare fluido, e sconsiglia a Mosca di evitare di assumere posture troppo rigide in virtù di un preesistente isolamento internazionale, visto che l’Azerbaijan è paese strategico nei transiti latitudinali che bypassano la Russia, così come per il North-South Corridor che collega Russia e India proprio grazie all’Azerbaijan. E attenzione all’Armenia, il cui primo ministro Nikol Pashinyan ha compiuto di recente la prima visita di un leader di Erevan in Turchia, ad appena 24 ore da quella compiuta dall’azero Aliyev.
La riapertura delle frontiere, chiuse dal 1993, riaprirà le vie commerciali rafforzando la presenza turca nella regione. Per Erevan, Ankara rappresenta oggi un’alternativa pragmatica a Mosca, mentre per Ankara si tratta di un’occasione per consolidare la propria influenza strategica. Sotto questa prospettiva è evidente che la retorica politica azera non considera auspicabile qualsiasi mediazione russa negli accordi con l’Armenia, come solare che il ruolo politico-diplomatico russo, nel suo ridimensionato, indirizzi Armenia e Azerbaigian verso intese bilaterali sostenute da attori terzi tanto che non sembra più così certo l’iniziale coinvolgimento di Mosca nella supervisione della Route, per la cui realizzazione si ipotizza addirittura la partecipazione di imprese statunitensi.
Se è vero che al momento un’uscita completa della Russia dal Caucaso centro-meridionale appare improbabile, vista anche l’influenza assicurata dalla Georgia, è altrettanto vero che la capacità di dettare tempi e regole si è ridotta. Teheran, nel frattempo, vede con ampio sfavore i progetti del corridoio, che pure, nella regione, è stato salutato come occasione irripetibile di pace duratura e di stabilità, e non nasconde i suoi intenti di procedere in opposizione anche senza il sostegno russo.
Al momento, l’accordo tra Armenia e Azerbaigian, alla stregua degli (allora) Accordi di Abramo, costituisce una vittoria diplomatica americana e una defaillance significativa per Russia e Iran, volte al mantenimento di uno stato di tensione costante, vista la rilevanza della regione quale produttrice e conduttrice di risorse fossili. Il margine di rischio rimane elevato, vista la possibilità che sia Mosca che Teheran tornino ad interferire con strumenti diretti o indiretti nel perturbare il mantenimento di un accordo comunque in bilico.
Foto: White House
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