Constellation: il programma da tempo di pace affondato dalla guerra in arrivo
La vicenda delle fregate classe Constellation rappresenta uno spartiacque non solo per Fincantieri, ma per l’intero rapporto tra industria e Difesa nel mondo occidentale. È una storia lunga, complessa e per certi versi paradigmatica, che affonda le radici nel 2020, quando la U.S. Navy assegnò a Fincantieri, attraverso la controllata americana Marinette Marine, il contratto per la costruzione della nuova classe di fregate.
All’epoca la scelta venne salutata come un successo industriale e politico. La FREMM italo-francese, adattata ai requisiti statunitensi, prometteva di colmare il vuoto lasciato dalle Littoral Combat Ship e di fornire alla Marina statunitense una piattaforma equilibrata, moderna e relativamente rapida da realizzare. Il programma prevedeva fino a 20 unità, per un valore complessivo superiore ai 20 miliardi di dollari, e si fondava su un presupposto chiave: partire da un progetto esistente per ridurre tempi, costi e rischi.
Quel presupposto si è progressivamente sgretolato. Nel corso degli anni successivi all’assegnazione del contratto, la U.S. Navy ha introdotto una lunga serie di modifiche ai requisiti operativi, ai sistemi di combattimento, ai sensori e persino alle caratteristiche fondamentali dello scafo. La Constellation ha iniziato ad allontanarsi sempre più dalla FREMM originaria, fino a diventarne solo una lontana parente. Secondo le valutazioni ufficiali, la comunanza progettuale si è ridotta a circa il 15% (dall’originale 85%!), trasformando di fatto il programma in una nuova nave progettata mentre era già in costruzione.
La fretta è cattiva consigliera
La decisione di avviare i lavori senza un progetto pienamente maturo si è rivelata fatale. Il Government Accountability Office ha certificato che, a cinque anni dall’avvio del programma, il design non era ancora completo e che la crescita di peso aveva superato le tolleranze previste.

Il cantiere di Marinette si è trovato a lavorare in condizioni di continua incertezza, con fermi, rilavorazioni e sequenze produttive interrotte. A questo si sono aggiunti problemi strutturali della cantieristica statunitense, in particolare la carenza di manodopera qualificata, che ha colpito duramente anche Fincantieri Marinette nonostante gli incentivi finanziati dalla stessa U.S. Navy.
Nel 2024 la situazione è esplosa in tutta la sua evidenza. Le prime stime di slittamento di un anno sono rapidamente diventate due, poi tre. Nell’aprile di quell’anno la Marina ha ufficializzato un ritardo di 36 mesi per la capoclasse USS Constellation, con consegna prevista non prima del 2029. Tre anni di ritardo per una nave pensata come soluzione rapida e pragmatica sono diventati un dato politico prima ancora che industriale.
Nel frattempo il cantiere di Marinette era impegnato su più fronti, completando le ultime Littoral Combat Ship e costruendo unità derivate per l’Arabia Saudita. Una moltiplicazione di commesse che, anziché rafforzare il programma, ne ha messo in luce i limiti organizzativi e sistemici.
La responsabilità non è stata solo industriale
La gestione dei requisiti da parte della U.S. Navy, instabile e mutevole, ha contribuito in modo decisivo a trasformare un programma teoricamente a basso rischio in un caso emblematico.
Nel 2025 la pazienza di Washington si è esaurita. Il nuovo segretario della Marina ha adottato una linea di rottura, chiarendo che non avrebbe più tollerato programmi incapaci di rafforzare rapidamente la prontezza operativa. In un contesto di competizione strategica sempre più dura, con l’orizzonte di un possibile conflitto ad alta intensità, il tempo è diventato la variabile decisiva.

La decisione annunciata a novembre 2025 è stata senza precedenti. Il programma Constellation è stato di fatto troncato. La U.S. Navy ha scelto di portare a termine solo le prime due unità, cancellando le successive quattro già contrattualizzate e rinunciando all’intera serie prevista. Una scelta giustificata formalmente come riallocazione strategica delle risorse, ma che nella sostanza certifica il fallimento di un modello di acquisizione pensato per tempi di pace.
Fincantieri non è stata espulsa dal mercato statunitense. Al contrario, l’accordo raggiunto con la Marina ha previsto compensazioni economiche e l’assegnazione di nuove commesse, in particolare nel settore delle navi anfibie e dei rompighiaccio. Il cantiere di Marinette resta un asset strategico per gli Stati Uniti, e nessuno a Washington ha interesse a smantellarlo. Tuttavia, il messaggio è stato chiarissimo…
Il tempo degli affari in Difesa, intesi come progetti lunghi, ridondanti e dilatati, è finito. Lo scenario di riferimento non è più astratto né lontano: è l’Indo-Pacifico, dove si concentra la competizione strategica decisiva del XXI secolo e dove si misurerà, con ogni probabilità, il prossimo conflitto armato. Un ritardo di tre anni per una fregata non era accettabile ieri ed è oggi inammissibile.
Per Fincantieri si apre ora una sfida vera. O l’azienda sarà in grado di adattarsi ai nuovi ritmi imposti dalla guerra che si avvicina, moltiplicando le commesse ma anche accelerando drasticamente i processi decisionali, progettuali e produttivi, oppure rischierà di “perdere il treno”. Nel migliore dei casi, potrà sopravvivere come subappaltatore specializzato, magari eccellente, ma periferico. Nel peggiore, resterà confinata a programmi di nicchia, come i rompighiaccio, mentre altrove si decideranno le sorti della superiorità navale.
Il programma Constellation è il simbolo di un passaggio storico. La Difesa non è più un mercato come gli altri. È tornata a essere, brutalmente, una questione di tempo, potenza e – in prospettiva – sopravvivenza.
Foto: Fincantieri Marine Group / U.S. Navy
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