Crisi nel Mediterraneo Orientale: l’Italia dov’è?
Fin dagli albori della Storia il Mediterraneo Orientale è stato culturalmente, economicamente e politicamente fondamentale per le popolazioni della nostra penisola. Pur senza scomodare gli eroi virgiliani, almeno ricordiamoci che dal XIII al XVII secolo il Mediterraneo Orientale è stato il centro di gravità della potenza militare ed economica della Repubblica di Venezia.
Anche oggi l’Italia dovrebbe guardare con la massima attenzione alle evoluzioni in atto nel Mediterraneo Orientale. Un’attenzione che, purtroppo, non sembrerebbe sempre esserci.
Non si può sottovalutare che negli ultimi decenni il settore est del “Mare Nostrum” sia divenuto teatro di una complessa partita geo-politica che vede impegnati i principali attori mondiali (statuali e non). Attori che qui si trovano a volte associati dalla stessa parte in base ad “alleanze” apparentemente inaspettate, ma ispirate al principio “il nemico del mio nemico è, sia pur temporaneamente, mio amico”.
Il progressivo distacco degli USA ha ovviamente facilitato l’emergere di altri attori, regionali o meno. La Russia, la cui presenza navale nel Mediterraneo è ormai stabile, si è imposta come abile negoziatrice della crisi siriana, è uno dei principali attori di quella libica e non si può del tutto escludere che prenda posizione in merito alla crisi greco-turca al fianco di partner quali Egitto, Grecia e Cipro.
La Turchia “neo-ottomana” persegue una politica assertiva e spregiudicata per imporsi quale potenza regionale sulle sponde Sud ed Est del Mediterraneo e nel Corno d’Africa, spesso violando platealmente i diritti di altri paesi, quali Cipro, ma anche nostri se ci ricordiamo del poco edificante episodio che ha coinvolto la piattaforma Saipem 12000. L’Egitto sta acquisendo un ruolo di crescente rilevanza nel Mediterraneo, anche in chiave anti-turca, ma l’Italia, per motivi di consenso interno, finge di non accorgersene.
La storica contrapposizione tra Iran e Arabia Saudita, con le relative compagini di paesi alleati dell’uno o dell’altro, è ormai divenuta un confronto geo-politico a tutto campo che travalica l’aspetto puramente confessionale sciiti-sunniti e in cui si inserisce e sovrappone il confronto, nel mondo sunnita, tra le monarchie del Golfo e i loro alleati contrapposti all’asse Turchia – Qatar, fautori dell’islamismo della Fratellanza Musulmana.
La crisi libica (incancrenitasi grazie anche all’ignavia di Roma nell’ultimo decennio) e quella yemenita sono divenute humus fertile in cui si sono sviluppate “guerre per procura” tra i principali attori regionali, così come era stato in passato in Siria.
Il valore economico del Mediterraneo Orientale rappresenta ulteriore elemento di potenziale conflittualità nell’attuale situazione di elevata tensione nell’area, sia perché punto di transito delle rotte che attraversano il canale di Suez sia in virtù degli importanti giacimenti sottomarini di gas (riserve stimate in 3.500 miliardi di metri cubi il cui valore sarebbe di 700 miliardi di dollari), a cavallo delle ZEE (zone economiche esclusive) di Egitto, Israele e Cipro.
Inoltre, il 13 agosto è stato reso noto lo storico accordo raggiunto tra Israele e Emirati Arabi Uniti (EAU), che è stato immediatamente e duramente attaccato da Turchia e Iran; in prospettiva l’intesa aprirà nuove opportunità per la stabilizzazione della regione, ma al tempo stesso determinerà anche il rischio di accentuare le fratture nel mondo islamico.
Senza addentrarci nelle molteplici sfaccettature delle attuali crisi va sottolineata l’assenza di reazioni italiane di rilievo ai gravi eventi più recenti.
In Libano, la drammatica esplosione che il 4 agosto ha ferito quasi mortalmente Beirut, ne ha scosso profondamente la popolazione e ne ha azzerato le potenzialità portuali, avrà conseguenze anche geo-politiche rilevanti. Potrebbe essere la scintilla che darà inizio a un processo di radicale riforma del Paese dei Cedri. Se tale processo avrà successo potrebbe nascere un Libano meno succube di Damasco e Teheran e, di conseguenza, anche con rapporti meno conflittuali con Israele. Si tratta di una sfida importante per il Libano ma anche per la stabilità dell’intera regione che deve stare a cuore all’Italia.
Roma sostenga questo percorso di riforme, il Libano avrà bisogno di molto aiuto esterno. Molti in Libano sembrano guardare all’Europa come partner ideale, come indica il successo della visita di Macron a Beirut meno di 48 ore dopo l’esplosione.
Macron non si è limitato a piangere i morti ma ha formulato subito proposte concrete per la ricostruzione e il varo di una commissione d’inchiesta internazionale sull’esplosione. Già il 10 agosto il presidente francese convocava una “conferenza internazionale dei donatori”, ufficialmente in collaborazione con l’ONU, ma mediaticamente è stata solo la Francia di Macron a emergere.
Parigi è stata potenza mandataria del Libano 1923 al ’46, ha sempre mantenuto rapporti solidi nel Paese e nei giorni scorsi la sua reazione tempestiva ha assicurato alla Francia un grandissimo successo politico.
L’Italia avrebbe potuto fare altrettanto o almeno “battere un colpo”? Sicuramente sì. Occorre ricordare che sin dall’invio della Multi National Force (MNF) nel 1982 e poi soprattutto dopo il 2006, l’Italia a livello militare si è sempre impegnata, anche più della Francia, a favore della stabilità del Libano ed è oggi il principale contributore di forze a UNIFIL. Purtroppo, questo impegno militare non trascurabile sembra disconnesso dalla politica estera nazionale.
Pochi chilometri più a ovest anche nella contesa marittima sulle Zone economiche esclusive la Francia è protagonista e l’Italia del tutto assente. Da tempo la Turchia, sulla base di discutibili interpretazioni del diritto internazionale relative alla definizione della piattaforma continentale prospiciente alle isole greche (secondo le quali Kastellorizo giacerebbe sulla piattaforma continentale anatolica) esercita pressioni con navi militari nei confronti di Grecia e Cipro.
Occorre ricordare che anche Israele ed Egitto subiscono l’attivismo turco che spazia dalle acque libiche a quelle dell’Egeo, contrastando le attività di esplorazione energetica nel Mediterraneo Orientale. I 4 paesi sostengono la realizzazione del gasdotto “EastMed” che attraverso Cipro, la Grecia e l’Italia potrebbe rifornire l’Europa senza transitare attraverso la Turchia e, per questo, è contrastato da Ankara.
Il braccio di ferro in atto rischia di registrare sviluppi imprevedibili come sembra indicare l’incidente del 12 agosto con la collisione tra una fregata greca e una turca a est di Rodi. In questo scenario l’interesse politico ed energetico nazionale dovrebbe indurre Roma a schierarsi al fianco di Grecia e Cipro, peraltro nostri partner europei.
L’UE, cui appartengono Grecia e Cipro, appare ancora una volta incapace di assumere una credibile posizione a difesa dei due paesi membri. Il 14 l’argomento è stato discusso dai ministri degli Esteri dell’UE, ma sembrerebbe che la montagna abbia partorito il solito topolino. Né si può realisticamente pensare che la NATO (che da tempo ha mostrato i suoi limiti strutturali nel contenere Ankara) possa disinnescare questa tensione tra due suoi Stati membri che storicamente si sono sempre reciprocamente percepiti come “nemici”.
Anche in questo caso l’unica azione forte di censura nei confronti di Ankara è arrivata da parte francese, con l’invio in zona di due caccia Mirage 2000, di una fregata e di una portaelicotteri da assalto anfibio per condurre esercitazioni congiunte con la Marina greca.
Ancora una volta la Francia ha saputo dimostrare coerenza in politica estera e di Difesa mandando un forte segnale, mostrando la determinazione e la leadership di Parigi ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo. L’Italia non ha mosso un dito, forse intimidita dal “bullismo” turco in grado, ora che Erdogan ha l’egemonia in Tripolitania, di ricattare Roma minacciando di colpire gli interessi italiani in Libia.
In Libia, l’Italia continua a essere visibilmente schierata (pur facendo ben poco sul campo) dalla stessa parte di Turchia, Qatar, Fratellanza Musulmana. Sul fronte opposto Francia, Egitto, Arabia Saudita e EAU, oltre alla Russia.
Roma rischia di venire percepita ormai irrimediabilmente come assente e passiva su tutti i “dossier caldi” in quello in che una volta era il “Mare Nostrum”, dove oggi sembra aver abdicato a qualsiasi ruolo di rilievo.
Una scelta di campo si impone: a fianco di Grecia, Francia, Cipro, Israele, Egitto, EAU oppure di Turchia, Qatar e Fratellanza Musulmana. Nel primo caso i nostri interessi e la presenza anche militare in Libia (gradita da molti libici, tollerata dai turchi) potrebbero uscirne gravemente danneggiati.
Di fatto, gli interessi italiani in relazione alla ricostruzione libanese, ai rapporti tra Israele e i paesi arabi, alla contrapposizione greco-turca e alla realizzazione del gasdotto EastMed risultano in contrapposizione con quelli della Turchia di Erdogan. In merito alla situazione libica, invece, è noto che quando al-Sarraj contava sull’aiuto italiano la sua posizione sia politica sia militare era estremamente vulnerabile. Solo con la discesa in campo turca le cose sono radicalmente cambiate, consentendo di respingere l’offensiva delle forze del generale Haftar su Tripoli.
Non abbiamo voluto “sporcarci le mani” ma ora siamo nelle mani dei turchi (che se le sono sporcate) per salvaguardare gli interessi nazionali, dalle attività dell’ENI (incluso il gasdotto Greenstream e il terminal di Melitha) al contrasto ai migranti illegali.