Crisi ucraina: serve un’Europa unita nelle sfide sulla sicurezza
Anche le ultime previsioni sull’attacco di mercoledì 16 febbraio sono sfumate. Gli Stati Uniti hanno sostenuto che la Russia si sia fermata perché i suoi piani sono stati svelati per tempo. Il ministro degli Esteri Serghei Lavrov ha precisato che il ritiro delle truppe russe nelle loro basi “era pianificato” e “non dipende dall’isteria occidentale”. Le borse europee stanno tirando un sospiro di sollievo, dopo la chiusura in rosso dei giorni scorsi. Adesso si guarda con fiducia anche alle altre iniziative diplomatiche in corso, fra cui quella del cancelliere tedesco Scholz.
Allora, per giusta compensazione, bisogna fare un passo indietro sull’iniziativa promossa da Macron. Per intendersi quella su cui in tanti hanno ironizzato con l’immagine della “Sala delle Rappresentazioni”, dove Putin appariva tenere a distanza l’interlocutore posto all’altro capo di un lungo tavolo bianco. Con il senno di poi, quella di Macron ha rappresentato la prima vera iniziativa diplomatica che dall’inizio della crisi è stata promossa dall’ Unione Europea.
Macron aveva peraltro tutti i titoli e le ragioni per presentarsi con autorevolezza di fonte al leader russo, sia in quanto Presidente di turno del Consiglio dell’UE, sia in quanto rappresentante dell’ultima effettiva potenza militare europea, che siede nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ed ha una considerevole capacità strategica grazie al nucleare e ad una forza aeronavale capace di controllare anche l’indo-pacifico.
Peraltro, il Presidente francese prima di affrontare Putin ha dedicato molto tempo nel consultarsi preventivamente con i principali leader europei, incluso Mario Draghi, che non a caso ha nuovamente incontrato Macron per trattare anche altri temi caldi, comi i dossier sul Sahel e sulla Libia.
Macron ha ascoltato le lamentele di Putin sull’espansione della Nato, e si è quindi fatto avanti con proposte concrete. Ha riproposto il “Formato Normandia”, per ripartire dagli accordi di Minsk firmati da Russia, Ucraina, Francia e Germania, e dalle intese raggiunte in seno all’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), la più grande organizzazione di sicurezza regionale che unisce 57 paesi occidentali e dell’ex patto di Varsavia, “da Vancouver a Vladivostok”.
Gli accordi furono sottoscritti per far cessare il conflitto del Donbass, prevedendo una riforma costituzionale per l’Ucraina, con il riconoscimento delle regioni autonome di etnia russa di Doneck e di Lugansk, e altre stringenti misure di smobilitazione degli schieramenti. Le ultime notizie riguardano proprio la conferma data dal cancelliere Scholz nell’incontro con Putin che l’Ucraina si sta finalmente accingendo a riconoscere forme di autonomia alle etnie russe del Donbass, partendo dalle elezioni comunali.
Putin sa che questo è ciò che può perseguire realisticamente e con convenienza, perché ottenere da Kiev un’autonomia regionale di Doneck e di Lugansk significa poter contare su un veto certo all’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Ma è del tutto evidente che, dopo avere mobilitato l’Occidente, non poteva certo dare ora l’ordine di “indietro tutta”, e quindi ha riproposto l’argomento di rivedere l’architettura della sicurezza in Europa. In sostanza, Macron ha quindi avuto la freddezza di “non far perdere la faccia” all’interlocutore, consentendogli di prendere tempo.
Da qui alla vigilia dell’incontro con Scholz l’annuncio della de-escalation, ovviamente tutta da verificare perché non si può certamente parlare di una definitiva smobilitazione. In ogni caso, visto che l’invasione non c’è stata, il colloquio di Macron durato ben cinque ore, il ruolo di supporto di Draghi, che pure si era richiamato agli accordi di Minsk, e la mediazione rassicurante svolta da Scholz, hanno dato i loro frutti. Un’intesa sempre più forte tra Italia, Francia e Germania non potrà che far bene all’ Unione Europea e alla sicurezza del continente.
Foto Cremlino e Ministero della Difesa Russo