Dove va la Tunisia? Tra autoritarismo e nuovi padrini internazionali
La Tunisia si trova oggi al centro di una sfida complessa e articolata che coinvolge questioni interne ed esterne e con una conseguente ridefinizione delle proprie relazioni politiche e diplomatiche, attenta a non alienarsi completamente gli ancora fondamentali soci economici e securitari occidentali. Una profonda instabilità socioeconomica e finanziaria continua a caratterizzare la situazione interna del Paese. Gli elevati tassi di disoccupazione, soprattutto giovanile, l’ombra del debito pubblico, la fluttuante inflazione e in generale un insostenibile aumento del costo della vita – sommati allo stallo della classe politica incapace di porre rimedio a tali disagi – rappresentano gli elementi salienti del contesto all’interno del quale si è consumata la svolta politica autoritaria portata avanti dal capo dello stato, Kais Saied.
Le elezioni presidenziali dell’ottobre 2024 hanno sì confermato al vertice del Paese Saied, ma hanno anche istituzionalizzato tale svolta autoritaria1( iniziata nell’estate del 2021 con la dichiarazione dello stato di emergenza e con il congelamento dell’attività parlamentare, proseguita con lo scioglimento del Consiglio superiore della Magistratura, culminata nel 2022 con l’entrata in vigore di una nuova costituzione di stampo presidenziale, in sostituzione della precedente di carattere semipresidenziale 2 e perseguita fino ai tempi più recenti attraverso una stretta nei confronti della società civile tunisina3 ).
Alcuni dati rendono evidente le peculiarità della recente tornata elettorale e offrono uno spunto per comprendere l’attuale rapporto fra istituzioni e popolazione: nonostante Saied abbia vinto le elezioni presidenziali del 2024 con il 90,7% dei voti ottenendo così una vittoria apparentemente schiacciante, l’affluenza del 28,8% è la più bassa mai registrata in Tunisia4.
Fra i primi effetti della svolta autoritaria tunisina è da rilevare la condotta adottata nei confronti delle istituzioni finanziarie occidentali, peraltro i principali sostentatori economici del Paese. Dopo mesi di difficili negoziati con il Fondo Monetario Internazionale, il capo dello Stato tunisino ha interrotto bruscamente le trattative e cominciato a tessere relazioni per reperire i necessari fondi altrove. Le condizioni imposte dal fondo per sbloccare gli 1.9 miliardi di dollari pattuiti precedentemente, riscontrabili in una riduzione netta della massa salariale nel settore pubblico e, soprattutto, nell’abolizione dei sussidi statali per i beni di consumo primari e i prodotti energetici, sono state percepite quali veri e propri “diktat” calati dall’alto e, per questo, rigettati5.
È in questo contesto che si deve leggere la decisa ma calcolata apertura di Tunisi ai vari attori – Algeria, Arabia Saudita, Cina e Russia – pronti a sobbarcarsi degli oneri, forse un giorno anche degli onori, per mantenere a galla il Paese nordafricano. Ognuno di questi fornisce, in base alle proprie capacità e perseguendo le rispettive agende, beni e/o servizi oggi vitali al puntellamento del regime tunisino, in cambio di una riconosciuta influenza.
Negli ultimi anni il rapporto fra Tunisia e Algeria si è consolidato in nome di un’esigenza comune: rompere l’isolamento regionale in cui i due sono finiti. Preoccupati dalla instabilità tunisina gli apparati algerini hanno, nel tempo, legato a sé il barcollante vicino per prevenire eventuali collassi. L’assistenza economica e finanziaria è diventato un pilastro delle loro recenti relazioni6. Algeri fornisce regolarmente pacchetti di assistenza economica, prestiti, sovvenzioni e materie prime come gas e petrolio attraverso prezzi calmierati e pagamenti dilazionati7. L’isolamento regionale in cui il gigante maghrebino è finito dopo l’inasprimento delle relazioni con il Marocco8, causa questione del Sahara occidentale e adesione di Rabat agli Accordi di Abramo, e le montanti tensioni ai confini meridionali con la coalizione del Sahel – Mali, Niger e Burkina Faso – hanno imposto questo “investimento” in Tunisia. Impedire che Tunisi venga assistita da potenze rivali, leggi Marocco e Francia, e che queste assurgano a “salvatori” del Paese, è l’imperativo che Algeri deve necessariamente soddisfare, pena il rischio della formazione di un blocco regionale antagonista capace di circondare il Paese.
Non potendo, da sola, provvedere al puntellamento del vicino, l’Algeria ha cercato di attrarre investimenti e risorse da altri attori (amici) interessati ad acquisire influenza nel contesto nordafricano. L’Arabia Saudita è emersa, prepotentemente, come uno di questi. Riyadh ha beneficiato della svolta autoritaria di Saied. Con l’uscita di scena del partito islamista Ennahda, affiliato alla Fratellanza Musulmana, il Qatar, e in secondo piano la Turchia9, sono stati privati di un importante strumento politico per penetrare il Paese nordafricano e quindi acquisire influenza. Negli anni tale collegamento ha permesso a Doha di investire in settori critici quali le telecomunicazioni e le banche e in altri segmenti vitali per l’economia locale quali il turismo, l’agricoltura e la protezione ambientale10. Il Qatar rimane, tutt’ora, il primo investitore arabo in Tunisia11 ma l’inversione di tendenza a favore dell’Arabia Saudita è in corso.
Il regno saudita ha quindi saputo volgere a proprio favore la situazione e stipulato diversi accordi di impronta economica con la Tunisia. Nel 2023 ha fornito un prestito agevolato di 400 milioni di dollari e una sovvenzione finanziaria di altri 100 per mitigare gli effetti dell’elevato debito pubblico tunisino12. Nel 2024 è stato stipulato fra le parti un memorandum d’intesa per agevolare le opportunità d’investimento dei rispettivi Paesi nel settore industriale, logistico e dei trasporti e rilanciare l’intesa bilaterale13. Gli sforzi proseguono nell’anno corrente attraverso uno smodato utilizzo di soft power in salsa saudita, nel 2025, infatti, sono aumentati sensibilmente i progetti che vedono Riyadh coinvolta nel miglioramento delle condizioni sociali, sanitarie14, economiche e financo abitative15 della popolazione tunisina. Considerata l’attuale debolezza economica della Tunisia, tali investimenti consentiranno a Riyadh di accrescere notevolmente il proprio peso in questo quadrante.
È evidente come Tunisi sia stata favorita, indirettamente, dalle rivalità fra gli attori del Golfo Arabo, pronti ad acquisire influenza e margine di manovra a colpi di assegni e promesse di assistenza economico-finanziaria. L’altra potenza che ha subìto una battuta d’arresto con la svolta autoritaria del capo dello Stato tunisino ma che, a differenza del Qatar, ha piantato radici più solide è stata la Turchia. Ankara nel decennio precedente ha stretto diversi accordi di cooperazione in materia di sicurezza per rafforzare il proprio ruolo nella modernizzazione delle Forze Armate tunisine e nel mercato degli armamenti. La Turchia si è così spianata la strada per il trasferimento di tecnologia16 e, soprattutto, per l’addestramento del personale militare e di sicurezza. È così che la Tunisia è divenuta il principale acquirente di veicoli blindati turchi e ha ricevuto l’autorizzazione per la produzione di droni in loco17. Oggi Ankara non gode più del canale privilegiato stabilito con i vertici del partito islamista Ennadha ma proprio in virtù di queste fitte relazioni intrattenute nel settore securitario rimane un attore rilevante a queste latitudini.
La stessa tattica viene utilizzata dalla Tunisia anche nei confronti dei principali partner occidentali, (Stati Uniti, Italia e Francia) flirtando con i maggiori rivali di queste (Cina e Russia). È in questa ottica che va concepita l’adesione di Tunisi al progetto mandarino della Belt and Road Initiative nel 2018, l’apertura di un Istituto Confucio nella capitale l’anno successivo18 e l’elevazione a partenariato strategico delle relazioni tra i due Paesi nel maggio del 202419. Intraprendere un percorso di avvicinamento con il principale rivale statunitense, senza approfondirne eccessivamente i legami, serve ad acquisire potere negoziale nei confronti degli Stati Uniti stessi. Nei desiderata tunisini aprire ai rivali occidentali serve a mostrare l’intenzione di poter rivolgere il proprio sguardo altrove e, magari, a strappare condizioni migliori per non scarrellare altrove. La presenza cinese in Tunisia rimane limitata, i progetti infrastrutturali ideati sono in larga parte inattuati e ostacolati20, in aggiunta l’interscambio commerciale è in crescita ma esiguo rispetto alle potenzialità21. L’unico settore in cui la presenza mandarina in Tunisia è allarmante è rappresentato dalla telefonia mobile, il colosso Huawei copre il 15% del mercato locale22.
Diverso è il discorso per la Federazione Russa, che a differenza della vicina Cirenaica, la regione orientale della Libia, non gode di una radicata influenza nel Paese maghrebino, ma dispone di strumenti idonei a sfruttare a proprio favore la momentanea apertura tunisina e farsi spazio. Mosca ricopre il ruolo di fornitore chiave di prodotti agricoli quali grano, orzo e olio di girasole; solamente nel 2024 la vendita di questi prodotti in Tunisia è cresciuta del 3023%. Anche l’esportazione di gas e petrolio russi sono in costante crescita24. Storicamente la Russia, in Africa, ha svolto il ruolo di maggior venditore di armi. Oggi tale posizione è inevitabilmente compromessa dagli sforzi richiesti dalla guerra in Ucraina e dalla conseguente impossibilità moscovita di garantire i precedenti volumi di suddette risorse.25 L’interscambio bilaterale fra i due è destinato a crescere, se nel 2018 Mosca esportava in Tunisia merci per 462 milioni di dollari, nel 2023 la cifra ha toccato i 2.12 miliardi di dollari, ma l’incognita della guerra non permette alla Tunisia di puntare in maniera decisiva su Mosca.
Il consolidamento di questo approccio multivettoriale della Tunisia ha creato condizioni differenti e imposto all’Italia un adeguamento dell’approccio. Inizialmente Roma ha tentato di mediare fra le posizioni del capo dello Stato tunisino e quelle delle istituzioni finanziarie occidentali26, non riuscendo però a ricucire lo strappo ha quindi dovuto mutare atteggiamento perseguendo una tattica differente. Nel novembre dello scorso anno sono stati firmati accordi per investimenti italiani nel settore delle energie rinnovabili, nelle infrastrutture e nei trasporti per un valore di 400 milioni di euro27. Recentemente, invece, è stato rafforzato il partenariato militare, nello specifico lo sviluppo congiunto di capacità operative e di addestramento28.
L’Italia ha aumentato costantemente gli scambi commerciali con la Tunisia arrivando a superare la Francia in termini di rilevanza e ascendente economico29. A fine gennaio 2025 ricopriva il secondo posto quale mercato di destinazione delle merci tunisine con una quota del 20,1% mentre era al primo posto nel ruolo di fornitore di beni con una quota del 12,8%30. La Tunisia ha, per Roma, un’importanza fondamentale. Un suo controllo, diretto o indiretto, permetterebbe all’Italia di acquisire profondità difensiva, di garantirsi parte dell’approvvigionamento energetico di cui necessita (dal territorio tunisino passa il gasdotto Transmed) e, in ultima istanza, di controllare i flussi immigratori. Qualora una potenza ostile avesse le intenzioni e le capacità per insediarsi a queste latitudini potrebbe minacciare quanto sopra. Questo il senso della Tunisia per l’Italia e da qui la necessità di un approccio pragmatico e proattivo.
In conclusione: mentre sul piano securitario la Tunisia rimane ancorata al campo occidentale, come confermato dalle recenti esercitazioni militari congiunte in seno all’Africom31 e dalla prevalenza di armamenti statunitensi negli arsenali del Paese, sul piano economico stiamo assistendo all’ingresso di sempre più attori e a una erosione del tradizionale potere di influenza economico dei principali Paesi europei32. La crisi domestica della Tunisia mina le capacità del Paese di seguire una lineare condotta di politica estera. Ribilanciare le proprie relazioni diplomatiche e politiche senza scontentare nessuno è impossibile33. Riuscire a districarsi tra una voglia di multipolarismo e una necessità occidentale continuerà a caratterizzare l’acrobatica postura tunisina nel prossimo futuro.
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