El Alamein, 6 novembre 1942 – L’ultimo giorno della Folgore

Sono stato un paracadutista della Folgore, cresciuto sotto la guida del Generale Nicola Zanelli, uomo che ha saputo trasmettere con l’esempio il significato profondo di disciplina, dedizione e silenzioso orgoglio. Alla “Vannucci” a Livorno, ho imparato che essere della Folgore non è soltanto appartenere a un reparto, ma condividere una fratellanza che supera il tempo e la distanza.

Ogni volta che ripenso ai paracadutisti di El Alamein, sento che la loro storia non appartiene solo ai libri, ma al cuore di chi ancora oggi ne porta il simbolo sul basco amaranto. In quelle sabbie lontane, tra il coraggio e la sconfitta, la Folgore seppe incarnare l’essenza stessa del dovere: combattere fino all’ultimo, non per gloria, ma per fedeltà ai compagni e alla parola data.

Ricordarli non è solo un atto di memoria, ma un impegno a vivere con la stessa dignità e fierezza che animò quei ragazzi del ’42. A loro, e a tutti i paracadutisti che ne hanno raccolto l’eredità, dedico questo articolo.

Il 6 novembre

All’inizio di novembre 1942, nel cuore del deserto egiziano, si stava chiudendo una delle battaglie più dure e simboliche della Seconda guerra mondiale. El Alamein — una striscia di sabbia larga sessanta chilometri tra il Mediterraneo e la depressione di El Qattara — era divenuta il punto di non ritorno per l’Armata italo-tedesca.

Dal 23 ottobre, giorno in cui il generale Montgomery aveva lanciato l’offensiva britannica “Lightfoot”, le divisioni italiane e tedesche avevano resistito contro forze soverchianti. Tra loro, la 185ª Divisione Paracadutisti “Folgore”, schierata all’estremo sud del fronte, si trovava a difendere un tratto cruciale del deserto con mezzi ridotti e munizioni contate.

Quei giovani soldati, molti provenienti dalla scuola di Tarquinia, avevano trasformato il deserto in una trincea. Per due settimane opposero ai carri Sherman e Grant della VIII Armata solo il fuoco delle loro artiglierie da 47 mm, bombe a mano e coraggio.

Il 4 novembre 1942, le divisioni corazzate italiane Ariete e Littorio vennero sopraffatte. Rommel ordinò la ritirata verso Fuka, ma l’ordine di Hitler di “resistere ad ogni costo” bloccò il ripiegamento. Le divisioni di fanteria italiane — Pavia, Brescia, Bologna — e i resti della Folgore rimasero isolate nel deserto.

Per quattro giorni e tre notti i paracadutisti ripiegarono combattendo, senza viveri né acqua, trascinando a braccia i pezzi d’artiglieria e coprendo la ritirata delle truppe tedesche. Le ultime munizioni furono sparate contro i carri britannici che avanzavano da sud-ovest.

Il 6 novembre: la resa

All’alba del 6 novembre 1942, il sole sorse su un campo di battaglia ormai silenzioso. I superstiti della Folgore — poco più di trecento uomini su cinquemila — si erano attestati in una depressione sabbiosa, distrutti dalla fatica e dalla sete. I loro cannoni erano inutilizzabili, i fucili scarichi.

Prima di consegnarsi, i paracadutisti distrussero ogni arma rimasta per non lasciarla al nemico. Quando le pattuglie della 44ª Divisione britannica giunsero sul posto, trovarono uomini in piedi, ancora in ordine, con le mostrine impolverate e la divisa logora. Nessuna bandiera bianca, nessuna resa plateale: semplicemente la fine della forza materiale, non del coraggio.

Il comandante del gruppo superstite, colonnello Luigi Camosso, negoziò la resa nel primo pomeriggio. Le cronache inglesi riferiscono che agli italiani fu concesso l’onore delle armi, un gesto di rispetto raro in tempo di guerra. Erano le 14:35 del 6 novembre 1942: la Folgore cessava di combattere.

Dalla cronaca al mito

Nei giorni successivi, la notizia della loro resistenza attraversò entrambi i fronti. Alcune fonti italiane attribuirono a Radio Londra la frase:

“I resti della Divisione Folgore hanno resistito oltre ogni limite delle possibilità umane.”

Tuttavia, le ricerche storiche non hanno mai trovato riscontro ufficiale di questa dichiarazione nei bollettini originali della BBC. Si tratta verosimilmente di una formula celebrativa nata nel dopoguerra, poi consolidata nella memoria collettiva.

Ciò non toglie che, anche per gli avversari, la condotta della Folgore fu considerata eccezionale. Il generale Montgomery, nel suo rapporto, ammise che “la resistenza fu più accanita del previsto”.

Con la resa del 6 novembre, terminò l’esistenza della Divisione “Folgore” nel teatro africano. I superstiti furono fatti prigionieri e condotti nei campi in Egitto e in India. Ma nel deserto di El Alamein, tra le dune e le croci di legno, nacque una memoria che non si spense.

La Folgore divenne simbolo di disciplina, sacrificio e lealtà militare. Non una vittoria, ma un esempio. Oggi, quella data — 6 novembre 1942 — resta impressa come l’ultimo giorno di battaglia e il primo della leggenda.

Tra sabbie non più deserte sono qui di presidio per l’eternità i ragazzi della Folgore.
Fior fiore di un popolo e di un esercito in armi, caduti per un’idea senza rimpianti, onorati dal ricordo dello stesso nemico. Essi additano agli italiani nella buona e nell’avversa fortuna il cammino dell’onore e della gloria.
Viandante, arrestati e riverisci. Dio degli eserciti, accogli gli spiriti di questi ragazzi in quell’angolo del cielo che riservi ai martiri e agli eroi.
Parole destinate al cimitero del km 42, scritte dal Col. Paracad. Alberto Bechi Luserna, medaglia d’oro caduto per la patria.

Elenco dei caduti nella battaglia di El Alamein