El Alamein e l’Europa di oggi
Ottantatré anni fa, nel deserto egiziano di El Alamein, un manipolo di reparti italiani – male equipaggiati, isolati, privi di copertura aerea e di rifornimenti – resistette contro un nemico numericamente e tecnologicamente superiore. Le divisioni Ariete, Littorio, Pavia, Brescia, Bologna, Trento, Trieste e Folgore scrissero una pagina che, al di là della disfatta strategica, divenne leggenda militare. Quando i paracadutisti superstiti furono catturati, gli inglesi tributarono loro l’onore delle armi: un gesto di assoluta eccezionalità nel secondo conflitto mondiale.
L’antisuntzuviana “Mancò la fortuna, non il valore” sintetizzò bene la percezione di una sconfitta in cui il coraggio individuale fu invocato a compensare tutto ciò che mancava: preparazione, logistica, visione strategica. In quella formula fatalista si riflette l’illusione, tipicamente nostrana e ancora attuale, che la sorte possa redimere l’improvvisazione.

Oggi, in un contesto completamente diverso, quella lezione mai appresa sembra risuonare più attuale che mai. L’Europa – e con essa l’Italia – si trova in un deserto non di sabbia ma di idee, strategia e coesione. Il mondo attorno muta rapidamente, si riarmano potenze, si moltiplicano focolai di conflitto, si ridisegnano equilibri economici e tecnologici… a lungo/lunghissimo termine. Eppure, come allora, sembriamo attendere che qualcun altro pianifichi, guidi e decida. Ovviamente benevolmente…
Come a El Alamein, ci troviamo su una linea di resistenza più che di avanzata: una linea che non è fisica ma politica. La (provvisoria) superiorità tecnologica non compensa la mancanza di volontà, e la memoria storica rischia di diventare sterile celebrazione.
La “fortuna” è oggi lo scaramantico atteggiamento di una dirigenza politica che sembra impegnata unicamente a fare affari (a debito)? Il “valore” esiste ancora in una società che ha sostituito la responsabilità con l’opinione e la disciplina con l’indifferenza?

A El Alamein gli italiani combatterono fino all’ultimo colpo, ben coscienti che il risultato era segnato. Oggi, l’Europa evita perfino di chiamare le minacce con il loro nome, preferendo affidarsi a slogan, alla propaganda, a dichiarazioni banali in inutili vertici rituali.
Se allora il valore non bastò per mancanza di fortuna, oggi rischiamo di giocarci le ultime fortune rimaste senza il coraggio e l’unità politica necessarie a difenderle.
Oppure, mi sbaglio, e stavolta “avremo culo”?
Ad El Alamein non dimentichiamo i tedeschi
I reparti dell’Afrika Korps – la 15ª e la 21ª panzer-division e la 90ª divisione leggera – combatterono a El Alamein con disciplina e competenza, in linea con la dottrina operativa tedesca. Mostrarono efficienza, freddezza e capacità tattica, mantenendo coesione anche sotto pressione e riuscendo, in più settori, a organizzare ritirate ordinate per evitare l’accerchiamento.

Il loro valore non fu mai in discussione, la superiorità addestrativa e l’esperienza maturata in due anni di guerra nel deserto erano evidenti. Tuttavia, quando la situazione divenne insostenibile, le unità tedesche applicarono la logica militare: preservare uomini e mezzi per combattere un altro giorno.
Diverso fu l’atteggiamento degli italiani. Divisioni come la Folgore e l’Ariete resistettero fino all’annientamento, spesso senza rifornimenti né via di fuga, animate più da un senso di dovere e appartenenza che da una valutazione operativa. Per questo, anche molti comandanti tedeschi – tra cui von Thoma* – riconobbero apertamente il valore dei soldati italiani, che “combatterono come leoni”.
* Era il comandante del Deutsches Afrikakorps
Immagini: web / European Union
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Ottantatré anni fa, nel deserto egiziano di El Alamein, un manipolo di reparti italiani – male equipaggiati, isolati, privi di copertura aerea e di rifornimenti – resistette contro un nemico numericamente e tecnologicamente superiore. Le divisioni Ariete, Littorio, Pavia, Brescia,…
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