Fine della pacchia a stelle e strisce: debiti, shutdown e ceto medio in caduta
Tanto per non perdere le care, vecchie abitudini, diamo un’occhiata ai teatri di crisi, dove per crisi non ci si limita ai fin troppo semplici boots on the ground, ma ci si addentra nel grigio delle asimmetrie, calcando le assi di palcoscenici per alcuni (ma solo alcuni) inaspettati.
Partiamo dal FMI, di notevole peso pratico, che – grazie alle proiezioni del World Economic Outlook – lancia un allarme sul debito pubblico americano, destinato a crescere fino a raggiungere vette abissali che, in percentuale PIL, relegheranno gli ex ricchissimi yankee tra i rogue finanziari, quelli del rischio debito europeo come Grecia. E Italia.
Secondo alcune analisi non è così folle pensare a un debito pari al 143% del PIL entro il 2030; attenzione però, perché secondo il FMI il rapporto debito/PIL americano già è piazzato tra il 120–121%, con Roma sul 137%, Atene sul 146% e Parigi, novella reproba finanziaria da freschissimo downgrade, al 116% con instabilità da deficit.
Insomma, fine del sogno americano, anche perché è il contesto post-COVID ad essere cambiato, con il rendimento dei titoli stabilizzato in modo tale da gravare sul costo del servizio del debito. I soldi costano, tanto; specie quando tocca andare a considerare gli elevati rendimenti a lungo termine ed un quantitative easing non più così accessibile per nessuno. Fine della pacchia e fine dell’asset rifugio in tinta verde, una volta simbolo di ricchezza ora di malessere da moto ondoso in aumento.
Mercato immobiliare
La situazione sembra peggiore di quella finanziaria del 2008 – il che è tutto dire – con la morosità dei mutui sugli immobili cartolarizzati, in particolare gli uffici, in aumento oltre l’11%, ovvero di un punto percentuale sopra il dramma Lehman Brothers (che già di suo ha fatto piangere moltissimi).
Attenzione, perché appena tre anni fa il tasso era all’1,8%. Se si tiene conto che si parla di obbligazioni su mutui forniti a garanzia, viene da chiedersi chi dovrebbe pagare in caso di emergenza. Il che è drammaticamente interessante, visto che le banche hanno venduto il rischio ad altri, ovvero agli investitori.
I titoli che hanno come garanzia immobili per uffici sono dunque a rischio crack, favorito tra gli altri dalle assenze fisiche dei forzati dello smart working. Beninteso, anche i complessi residenziali in affitto non se la passano benissimo, cosa che fa tornare ai brividi del 1929. Esagerati? Speriamo di sì.
Al momento, pignoramenti a parte, si preferisce dilazionare i pagamenti rinegoziando le scadenze, tenuto conto che la crisi non si sta abbattendo solo sugli uffici vuoti, ma anche sulle case piene dove i rifinanziamenti ai tassi correnti sono praticamente impossibili e dove si cominciano ad intravedere crolli dei prezzi. Il denaro non è più a costo zero e il mattone non è più così sicuro. Se il valore del mutuo diventa superiore a quello dell’immobile, riecco il default 2008.
Goldman Sachs intanto si prepara al peggio, evidenziando come la classe media, ormai spremuta, non spenda più, pressata com’è dall’inflazione; le previsioni sulle vendite dei generi alimentari sono al ribasso e le riduzioni ai programmi di aiuti federali hanno stangato i budget familiari.
L’allarme è strutturale ed il contagio è segnalato dai molteplici rallentamenti delle aziende, dalla debolezza – tragica – del ceto medio, dalla fascia più giovane (25–35 anni) che ha stretto i cordoni della borsa, mandando in sofferenza le imprese che, proprio sul ceto medio, avevano edificato le loro fortune (epica).
Come diceva Philo Sganga, noto finanziere di Duckburg, Calisota, gli affari sono affari, ma sono proprio questi a mancare, tanto è vero che gli acquisti importanti sono venuti meno con un aumento della spesa dedicata alle manutenzioni; come a Miracolo a Milano, si rattoppa il vecchio, altro che.
Tanto per giocare, diamo un’occhiata agli indicatori reali, guardate alle scatole da imballo, quelle di cartone ondulato: se le imprese non le comprano, come sta accadendo, allora vuol dire che la domanda, peraltro in previsione del momento di bontà comandata del Natale, è un po’ più che scarsa, con attività manifatturiera in contrazione. Beh, signori, il mercato delle scatole è lentissimo. Del resto, la bontà è una cosa, i soldi un’altra.
Mentre la crisi dei consumi colpisce la classe media e medio-bassa, paradossalmente bassi prezzi e alta gamma resistono seguendo la rigida spartizione delle braccia di una Kappa, vd. anche teoria del mondo fatto a scale.
La cara, vecchia classe media le sta scendendo essendo ormai in via di dissolvimento e non è una previsione, è una constatazione; chi aveva comprato beni in previsione dei dazi trumpiani, ora ha tirato il freno.
In attesa che la tempesta monetaria si abbatta, le elezioni del 4 novembre hanno sottolineato come l’elettorato a stelle e strisce avverta il problema della affordability, dell’accessibilità agli asset necessari, posto che, per il principio fisico dell’hot water discovery, se anche la variazione dei prezzi si annullasse, conterebbe comunque il livello raggiunto dai prezzi stessi rapportati al reddito disponibile.
La vittoria di Mamdani, al netto di propaganda e nuvole, ha posto all’attenzione il tema della crisi del costo della vita e di come incidere su dinamiche che pur volendo non può controllare, come gli aumenti delle imposte o la concorrenza: demonizzare un provider, per quanto costoso, significa dargli il la per andare a creare ricchezza altrove, ipotesi al momento al limite dell’insensato.
Oh, stavamo dimenticando i premi assicurativi in piena ascesa: avete presente un dialogo tipico delle serie alla ER? Medici attorno all’infortunato/a di turno che implora di salvarlo/a, tutti pronti ad una tormentata ma possibile terapia, quando spunta il contabile che blocca scienza e speranze e impietosamente chiede: “ma lei è assicurato/a?”
Il copione esiste, si intitola Affordable Care Act, altrimenti detto Obamacare, per cui l’attuale amministrazione intende giungere ad intese dirette con i produttori farmaceutici, riducendo i prezzi nazionali giocando per compensazione con l’aumento dei farmaci sui mercati europei.
Poteva mancare un soffio di esotico shutdown? Assolutamente no
La CNN ricorda come questo shutdown abbia intenzione di infrangere il Guinness dei primati in quanto a durata, mentre milioni di americani sono senza stipendio, assistenza sanitaria e alimentare.
Occhio: mentre la politica è reduce da prove elettorali (apparentemente) favorevoli ai dem, i paradossi sono in agguato. Se da un lato i leader dei democratic donkey chiedono di incontrare Trump per sbloccare lo shutdown, dall’altro senatori moderati dello stesso partito stanno già operando su un piano tecnico ed alternativo con i republican elephant.
In parole povere, una pattuglia di incursori sta tentando di spezzare il fronte, pur considerando l’avversione del GOP a spese di cui beneficerebbero anche immigrati irregolari. Ai repubblicani occorrono almeno otto voti democratici per spuntarla, anche se devono fare i conti con un elettorato – udite udite – non moderato, che pensa che l’ostruzionismo, alla lunga, possa pagare.
E i tecnici della Fed? Le ultime riunioni hanno evidenziato forti polarizzazioni, tanto che l’ormai certo taglio dei tassi è tornato in altissimo mare, lasciando una scena spaccata a metà, divisa tra chi guarda all’inflazione e chi a un mercato del lavoro in crisi tra la nebbia dei dati reali resi evanescenti dallo shutdown.
Insomma, bentornati falchi (rigoristi) e colombe (espansive). È vero, la Fed è indipendente, ma non è un mistero che il presidente prema per tagli aggressivi, finalizzati a ridurre l’onere degli interessi sul debito pubblico.
Intanto, per non sbagliare, i numeri dei licenziamenti americani hanno raggiunto livelli record: dall’inizio dell’anno sono stati annunciati più di un milione di tagli, il peggior livello dalla pandemia, mentre è stato ordinato un taglio del 10% dei voli nei principali aeroporti.
Non è mica finita: la Corte Suprema deve ancora pronunciarsi sulla regolarità dei dazi imposti da The Donald: tutto, dunque, ancora in gioco mentre si cerca un Damocle da piazzare sotto la spada della rivendicazione dei poteri d’emergenza del presidente.
Capitolo debito
Parlando all’Economic Club di Washington, David Solomon, CEO di Goldman Sachs (arieccola), si è compiaciuto di lanciare un avvertimento sul livello del debito americano, potenziale causa di un redde rationem senza pari.
Pur stemperando i toni sullo spauracchio di una possibile recessione, rimane il timore della dipendenza da stimoli fiscali pompati a debito, ovvero di un aumento della spesa pubblica non coperto da entrate (tasse) sufficienti, altrimenti detto a babbo morto, teoria in cui lo stesso Solomon appare più che esperto, visto che negli stessi giorni la sua banca ha impietosamente cominciato a ricordare ai suoi dipendenti, in stile medievale, di dover morire, preavvisando tagli di teste non all’altezza delle prestazioni e dei costi dell’IA.
Intanto, il debito delle famiglie è aumentato di 197 miliardi di USD, per raggiungere il totale di 18.590 miliardi; è nel credito al consumo che si annidano i rischi peggiori, ovvero nei mutui, nelle carte di credito, nei prestiti per le auto, nei prestiti studenteschi, focolai di insolvenze irreparabili, visto che il 20% di tutto il debito studentesco è in possesso di ultracinquantenni (la famosa ed estinta classe media), dunque in default.
La testata dei propulsori dei consumi è in fusione. Anche la finanza non è da meno con ricorrenti attacchi di panico, provocati dalle non banking financial institutions (NBFI), ovvero un universo parallelo di assicurazioni, hedge fund, società di finanziamento al consumo, tecnologia per digitalizzare il modo in cui vengono offerti e gestiti i servizi di credito, società di private credit: un universo che si assume rischi enormi salvo poi scaricarli in qualche modo1.
Se si pensa alla sua crescita esponenziale in termini di credito e prestiti, allora il quadro può cominciare a delinearsi meglio, visto che le banche regolari comprano tante obbligazioni (e tanti buchi) di questi operatori. In gergo: quando si vede uno scarafaggio bisogna stare attenti perché stanno arrivando gli altri.
È l’ennesimo paradosso: le banche osteggiano le NBFI ma allo stesso tempo le finanziano.
Ok, e la Cina?
Dopo il viaggio a Busan, per Trump l’incontro è stato veramente fantastico, anche se il vero vincitore sembra essere stato Xi, che ha gestito il suo potere sulle terre rare nonché la capacità di acquisto dei semi di soia americani; con la pausa annuale sulle possibili ostilità commerciali, altro che ulteriore 100% tariffario.
1 First Brands è crollata per il factoring, forma di debito con fondi d’investimento basata sulla cessione di redditi futuri in cambio di liquidità, ed eseguita a livello multiplo, cedendo la stessa fattura a più parti, nascondendo un debito più alto a fronte della reale consistenza degli asset.
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