Forza di interposizione a Gaza: prospettive operative e limiti reali
Come vi sono svariati modi di catalogare le tipologie dei conflitti armati e delle guerre, così parimenti avviene per catalogare la pace. Non è certo questa la sede più idonea per dilungarsi con dotte disquisizioni filosofiche, sociologiche o politiche al riguardo, tuttavia, la pace è fortemente legata ai presupposti, alle modalità ed alle finalità di quella guerra alla quale tale pace è associata.
In termini generali, tutte le possibili declinazioni in cui si possa definire il concetto di “pace” (pace giusta, pace raggiunta, pace conquistata, pace presidiata, pace diffusa, pace possibile….) prescindono dalle seguenti considerazioni:
- storicamente parlando, al di là delle interpretazioni belliciste o pacifiste, esistono solo due tipologie di pace: la “pace imposta” (dove il nemico viene completamente annientato, viene spezzata la sua volontà di combattere e nulla gli viene concesso) e la “pace negoziata” (dove vi è la volontà politica di condurre un negoziato e dove il perdente assume quasi sempre lo “status” di vittima, non accettando quindi alcuna sanzione ritenuta ingiusta e generando così un periodo instabile di crisi sistemica, ovvero un periodo di “non pace” e di “non guerra”);
- antropologicamente parlando, si ignorano (spesso volutamente) le grandi differenze tra i belligeranti, sia in termini di cultura che di pensiero e tradizioni;
- logicamente parlando, c’è da chiedersi chi è che decide se la pace sia da considerarsi “giusta” o meno. Generalmente a questa affermazione si usa far seguire la celebre tesi del sofista Trasimaco, secondo cui la giustizia consiste nel vantaggio di chi detiene il potere e impone le leggi a proprio favore, ovvero “il giusto è semplicemente l’utile del più forte”.
Tanto premesso, nell’ambito dei due conflitti attualmente in corso che catturano l’attenzione della comunità internazionale, ovvero quelli in corso in Ucraina e nella striscia di Gaza, non è da escludere il fatto che in tali contesti, ove non si pervenga ad un vero e proprio Trattato di pace, si possa manifestare, come unica soluzione possibile, la necessità di istituire delle aree di separazione, meglio note come “Zone di Interposizione”.
l’Interposizione è una attività militare consistente nello schieramento di una Forza di intervento neutrale ed imparziale, spesso di natura multinazionale, che si interpone tra due Forze contrapposte al fine di dissuaderle dall’intraprendere, dal continuare o riprendere le ostilità. Per tale motivo detta Forza viene spesso identificata come una “Forza di Interposizione” che prevede una forma di intervento inserita principalmente in operazioni militari, definite come Operazioni di “Peace Keeping” (“Mantenimento della pace”) o di “Peace Enforcement” (“Imposizione della pace”), che rappresentano una sottotipologia delle più ampie “Operazioni di Supporto alla Pace” (“Peace Support Operations” – PSOs), così definite dalla Carta dell’ONU (Cap. VII).

Nel merito, l’attività di interposizione può assumere sia la forma di una “operazione pianificata” e quindi preventivamente accettata dalle parti in conflitto (o in tensione), e sia la forma di una “operazione a carattere di urgenza” e concepita per separare nell’immediatezza due o più fazioni armate. La peculiarità di queste operazioni consiste nell’essere asservite a delle specifiche “Regole di Ingaggio” (ROE – Rules Of Engagement) previste da questa tipologìa di operazioni, chiaramente decise a livello politico ma successivamente allineate e concordate, a livello operativo, tra le eventuali Forze multinazionali che costituiscono la detta Forza di Interposizione, Forza che, peraltro, viene costituita ed equipaggiata con livelli di armamento definiti sempre dalle stesse ROE, tenendo tuttavia presente il fatto che, al di là di una certa flessibilità delle stesse (per poter fronteggiare diverse situazioni), ad una significativa variazione di situazione sul campo potrebbe essere necessario variare la missione e quindi anche le ROE e l’armamento.
Un’altra caratteristica fondamentale di tale Forza è il possesso di “credibilità operativa”, ossia la capacità di condurre la missione assegnata nei termini previsti e con i vincoli imposti, cosa che, operativamente parlando, significa possedere (in termini globali) un livello operativo superiore a quello delle Forze contrapposte. Naturalmente un conto è inviare e mantenere (consistenza, mezzi, periodi di tempo, tipologie di sorveglianza e pattugliamenti, avvicendamenti…) una Forza di interposizione lungo un confine di circa 41 Km. (massima estensione della Striscia di Gaza) e un altro conto invece è il posizionamento lungo un confine di oltre 2300 Km. (attuale estensione del confine Ucraina/Russia).
Si può manifestare comunque la necessità di istituire delle aree o degli spazi in cui la presenza, militare o civile che sia, debba anche essere interdetta, a seconda del contesto, sia per questioni di natura puramente bellica che per questioni di natura cautelativa o di generica sicurezza. Al riguardo, oltre che alle “Zone di Interposizione”, è necessario precisare quindi quali siano le altre differenti tipologie si può presentare una “Interdizione militare”.

In particolari contesti si possono prospettare delle necessità per le quali si debbano stabilire delle “Zone di Interdizione” e delle “Zone di Esclusione”: sebbene i due concetti trovino talvolta delle situazioni reali affini, in linea di massima le “zone di interdizione” sono formalmente legate ad attività belliche, mentre le “zone di esclusione” sono legate ad una necessità di garantire delle zone di sicurezza per prevenire o la recrudescenza di vecchi conflitti armati o l’insorgenza di nuovi, il verbo “interdire” significa, in termini generici, “non consentire l’accesso in qualche luogo”. In ambito militare, dal significato basico di “attività per impedire o limitare azioni militari nemiche”, può assumere invece diverse connotazioni a seconda del luogo, del contesto operativo o dal tipo di operazione che prevede o richiede l’interdizione di una specifica area geografica.
Nel particolare, esistono diverse tipologie di interdizione:
- Operazioni (generiche) di “Interdizione”: attività militari tese a eliminare od ostacolare, limitare, deviare, ritardare le forze nemiche o almeno limitarne al massimo le capacità offensive o di conseguimento dei loro obiettivi (attuando tiri di artiglieria o lanci missilistici, predisponendo campi minati ….);
- Operazioni di “Interdizione di area”: operazioni di interdizione terrestre effettuate da truppe paracadutiste in territorio amico ma occupato da forze nemiche. Attività opposta: “Operazioni di Controinterdizione”;
- Operazioni di “Interdizione Aerea”: operazioni aeree attuate in profondità in territorio nemico e volte a distruggere, neutralizzare obiettivi nemici o indirizzate a ritardare le possibili azioni del nemico;
- Operazioni di “Interdizione aerea sul campo di battaglia”: operazioni aeree indirizzate ad ingaggiare bersagli nemici non ancora in contatto con le forze amiche, spesso avendo supporto informativo da forze terrestri (es. operazioni di CAS/BAI: Combat Air Support/Battle Air Interdiction);
- Operazioni di “Interdizione marittima”: operazioni definite come “Maritime Interdiction Operations” (MIO) che, se attuate sotto l’egida dell’ONU, vengono definite invece “Maritime Interception Operations”. Inizialmente nate come operazioni di sorveglianza del traffico marittimo commerciale e volte a realizzare sia la cosiddetta “imposizione della legge” (operazioni di “Law Enforcement”) e sia “Embarghi navali coercitivi” mediante l’applicazione di determinate misure/azioni di interdizione di zone marine. Successivamente, si sono ampliate come “Operazioni di Sicurezza Marittima” volte a proteggere le rotte commerciali (SLOC, Sea Lines Of Communication), a contrastare atti di “terrorismo marittimo d’alto mare”, di “pirateria” nonché per interdire alla navigazione zone particolari di mare e sia per identificare eventuale naviglio sospetto, fermarlo, controllarlo, ispezionarlo ed, eventualmente, catturarlo (per dirottarlo in porti sicuri) o affondarlo, a seconda degli ordini ricevuti. Quest’ultimo tipo di operazione viene dottrinalmente definita come “VBSS” (“Visit, Board, Search and Seizure” – Visita/Controllo, Abbordaggio/Arrembaggio, Ricerca/Ispezione, Cattura/Sequestro);
- Operazioni di “Interdizione navale”: operazioni navali identificate da varie tipologie di attività belliche effettuate sopra o sotto la superficie del mare e tese a rallentare, arrestare o distruggere le forze nemiche (o i loro rifornimenti) prima che arrivino nella zona della battaglia. In tale categoria di operazioni militari rientra anche il “Blocco Navale”. Ci sono varie tipologie di Blocco navale a seconda della distanza dalla costa (o dai porti) alla quale si dispiegano le unità navali impiegate per effettuare il blocco stesso. Un blocco navale può essere effettuato sia con naviglio di superficie che con sommergibili e può essere implementato con l’ausilio di mine marine (dette anche mine navali o mine antinave) che si caratterizzano non per l’obiettivo da colpire (come per le terrestri) ma per la “quota” alla quale vengono posizionate (in superficie ma ormeggiate sul fondo, in superficie alla deriva, in quota, sul fondo, sul fondo ma semoventi).

Le zone di interdizione che vengono invece definite “di Esclusione” rientrano tra le varie misure che possono essere attivate/implementate per concorrere ad una più generale situazione di sicurezza e stabilità, principalmente in circostanze post-conflittuali, o comunque in contesti di elevata tensione o di crisi. In particolare, il Diritto Umanitario Internazionale/Diritto Internazionale dei Conflitti Armati, contempla, nell’ambito di diversificate “zone di protezione” di differente natura, anche le citate “zone di esclusione” mirate a stabilire delle aree o degli spazi che, a seconda delle specifiche circostanze, consentono di evitare qualsiasi forma di contatto tra avversari costituendo, di fatto, o delle “zone cuscinetto” (definite come “buffer zone” o “zone di esclusione militare” o “zone demilitarizzate”), o delle zone di totale esclusione/interdizione a qualsiasi tipo di transito o sosta.
Di seguito le sintetiche descrizioni di tali zone:
- “DeMilitarized Zone” (o “Demilitarization Military Zone”) (DMZ): impiegata per delimitare una area terrestre in cui viene interdetta, in via temporanea o in via permanente, una qualsiasi presenza militare (truppe, installazioni, armi ed equipaggiamenti). Al di fuori di tale zona, per garantirne il controllo ed il rispetto, vengono dispiegate forze armate di presidio, vengono realizzate postazioni e installazioni difensive, vengono posizionati sbarramenti, attivati vari sistemi di sorveglianza e implementate tutte quelle attività necessarie affinché non vengano in qualche modo violati i limiti della zona (controllo, vigilanza, pattugliamento….);
- “No-Fly Zone” (o “No Flight Zone” o “Air Exclusion Zone”) (NFZ/AEZ): impiegata per delimitare uno spazio aereo in cui viene interdetta qualsiasi attività di volo da parte di qualsiasi mezzo in grado di volare (velivoli, elicotteri, droni, deltaplani, paramotori, mongolfiere, alianti, palloni aerostatici, ….) sino ai limiti di altezza consentiti dallo spazio aereo controllato e/o controllabile;
- “Maritime Exclusion Zone” (MEZ): impiegata per delimitare una zona di mare in cui viene interdetta qualsiasi attività di transito di qualsiasi tipo di naviglio;
- “Total Exclusion Zone” (TEZ): impiegata per delimitare una zona di mare, e di relativo spazio aereo sovrastante, in cui vengono interdette attività aeronavali di qualsiasi natura, anche di Paesi neutrali o supposti tali.
Volendo ora approfondire la questione delle “Zone Demilitarizzate”, è opportuno sottolineare il fatto che tali zone sono aree sempre stabilite a seguito di accordi o trattati stipulati tra gli Stati interessati per evitare o prevenire i conflitti. In queste aree è negata sia la presenza di forze miliari appartenenti ai Paesi belligeranti, o ex-belligeranti che sono stati in conflitto tra di loro, e sia alle Forze militari appartenenti a quei Paesi, non propriamente neutrali, che sono stati in qualche modo coinvolti nel conflitto fornendo “supporti” di varia natura.

Attualmente vi sono circa una dozzina di zone demilitarizzate attive nel mondo, delle quali la più conosciuta è sicuramente quella che divide la Corea del Nord con la Corea del Sud, stabilita a seguito della firma dell’Armistizio di Panmunjeom del 1953, armistizio che pose fine alla Guerra di Corea ma non fu un accordo definitivo di pace tra le due Coree. Sebbene in una DMZ non ci debbano essere teoricamente “attrezzature militari”, nella DMZ tra le due Coree, lunga circa 250 Km. e larga 4, sono invece sotterrate dai due rispettivi schieramenti, a scanso di equivoci, oltre un milione di mine terrestri (sia anticarro che antiuomo).
Sul Diritto Internazionale Bellico si sentono dire un certo numero di “inesattezze” in quanto ci si dimentica spesso della natura “pattizia” di tale Diritto, ovvero è ritenuto valido solamente da quegli Stati che lo riconoscono e lo accettano, a cui hanno aderito e continuano ad aderirvi. Non esistendo una vera “Autorità centrale” che disponga di “giudici e di gendarmi” i vari dettami del Diritto Internazionale hanno valore unicamente per coloro che intendono accettarli e inoltre, prescindendo dai numerosi principi universalmente riconosciuti da tutti.
Nonostante questo, a distanza di secoli, risulta sempre valida, la famosa frase di Cicerone che afferma: “Silent enim leges inter arma” (“le leggi tacciono in tempo di guerra”). Un esempio, tra i tantissimi che si potrebbero citare, lo si trova nell’ambito della “Guerra delle isole Falkland/Malvinas” del 1982: nonostante il fatto che il Diritto Internazionale stabilisca che le acque territoriali di uno Stato si estendano (generalmente) fino a 12 miglia nautiche (circa 22 Km.) dalla costa, il Regno Unito istituì una “zona di esclusione totale” (TEZ) di 200 miglia nautiche (circa 370 Km.) intorno alle isole Falkland, proibendo il passaggio/il sorvolo di navi ed aerei di qualsiasi nazionalità fossero, minacciando nel contempo l’uso della forza. In tale circostanza la cosiddetta comunità internazionale non ebbe alcunché da eccepire, né qualcuno si scandalizzò nel merito.

Sostanzialmente il Diritto Umanitario viene talvolta invocato quale strumento politico (”instrumentum regni”) utile per indirizzare le opinioni dimostrando quanto siamo buoni e talvolta completamente dimenticato quando considerato non politicamente utile.
In conclusione, è forse la costituzione di una Forza di Interposizione la possibile soluzione che verrà perseguita per stabilizzare la situazione fra la Striscia di Gaza ed il territorio israeliano. Come già visto su molti media, la carta del ridispiegamento finale delle Forze israeliane coinciderà con una fascia di terreno smilitarizzata, ricavata all’interno del territorio della Striscia, e presidiata da una Forza di Interposizione internazionale. Lo scopo di tale Forza sarà di impedire il contatto fra miliziani palestinesi ed esercito israeliano.
Ovviamente le problematiche di una missione di questo tipo sono molteplici e non tutte definibili a priori: ad esempio la scelta del comandante della missione sul terreno, la catena di comando (e a chi risponde), l’evoluzione delle ROE in funzione dei mutamenti di situazione. In ogni caso, come insegnano quasi tutte le operazioni similari svoltesi in passato, sono attività militari/di Polizia che non risolvono in via definitiva una situazione di conflitto, ma ne creano anzi dipendenza. Vi è comunque da evidenziare il fatto che, come già accennato, in ragione della limitata estensione della Striscia di Gaza, le dimensioni di una Forza di Interposizione sarebbero minime e la capacità di controllo e reazione sarebbero pressoché immediate. Si pensi ad una soluzione simile cosa comporterebbe all’interno dello scenario ucraino con una estensione di territorio ben diversa e con la conseguente necessità di una Forza di Interposizione di enormi dimensioni.
In ogni caso, è una situazione da seguire in quanto le parti in causa sono, come si dice oggi, fortemente “asimmetriche” e non vi sono molti esempi pregressi di Operazioni di questo tipo in tali contesti.

Viste poi la capacità militari israeliane non sarà semplice dotare gli appartenenti alla Forza di Interposizione di quella credibilità operativa di cui si è detto e che, a priori, ne definisce l’effettiva capacità sia di condotta che di accettazione fra le parti in causa.
Foto: OpenAI-Difesa Online / SMD / U.S. DoD / web / IDF
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