G20 e UE si ritaglino un ruolo nella sfida tra Cina e Stati Uniti
Le ultime notizie sugli scenari della sicurezza globale non sono affatto rassicuranti. Sul quadrante dell’Afghanistan si stanno acquisendo riscontri su alcune immagini che ritraggono aerei cinesi atterrati nella base aerea di Bagram, circostanza che rileverebbe un’intesa più solida tra il nuovo governo talebano e Pechino, a prescindere da ciò che sarà deciso nell’atteso vertice del G20.
Si potrebbe trattare dunque di una mossa strategica della potenza cinese che ha interesse ad affermare un suo posizionamento nell’area, non curandosi di ciò che la comunità internazionale potrebbe invece richiedere nel prossimo G20 al governo talebano, specie per maggiori garanzie sul sistema dei diritti. C’è anche da dire che il regime degli studenti coranici – che tra l’altro sta subendo nuovi attentati mortali dell’Isis-K – richiede ormai da tempo sostegno e riconoscibilità, ed effettivamente sinora ha ricevuto esplicite aperture solo dai sostenitori storici come Pakistan e Qatar, ma anche dalla Cina.
È noto peraltro che Pechino ha sottoscritto le prime intese formali proprio con i “nuovi” talebani per assicurarsi il sostegno nella lotta al separatismo degli uiguri, e che – indipendentemente dalle potenzialità espansive di un corridoio afghano della Via della Seta – già da tempo intrattiene con l’Afghanistan fitte intese economiche specie nel settore delle infrastrutture e delle estrazioni minerarie, di cui detiene le principali licenze.
Sull’altro emergente quadrante indo-pacifico, non meno preoccupante, è arrivata la prima risposta a quelle che i cinesi hanno ritenuto rappresentare esplicite minacce e provocazioni alla loro sovranità, vale a dire le intese promosse principalmente da Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone, India e Australia con gli ormai famigerati accordi dell’AUKUS (che prevedono tra l’altro la fornitura di sottomarini a propulsione nucleare americani all’Australia, che precedentemente aveva scelto 12 sommergibili convenzionali francesi) e del QUAD, il Quadrilateral Security Dialogue, che di fatto mirano a costituire una Nato dell’Indo-Pacifico per contrastare le mire egemoniche cinesi nell’area.
La risposta di Pechino è ora giunta con l’ennesima intrusione dei suoi caccia e bombardieri nella zona di identificazione aerea di Taiwan, paese che detiene il 60% della produzione mondiale dei semiconduttori e di cui la Cina da sempre rivendica una sovranità storica cui non intende rinunciare.
Ma stavolta la concomitanza degli accordi anti-cinesi unita alla ricorrenza della nascita della Repubblica Popolare induce a valutare che questa minacciata proiezione strategica dell’aeronautica cinese è un chiaro avvertimento agli Stati Uniti e a quanti intendono opporsi ad un destino già tracciato, che nelle narrazioni ufficiali di Pechino delinea, senza mezzi termini, il futuro di Taiwan come provincia pienamente inclusa nella Cina del 2040.
In definitiva, non si fa allarmismo se si parla di scenari ormai sulla soglia di una escalation che necessita di una riflessione immediata della comunità internazionale.
Ormai il quadro geopolitico è ben delineato e sarebbe indice miope e irresponsabile celare o anche solo sfumare i contorni di una sfida non solo annunciata, ma ormai esplicitamente declamata tra Stati Uniti e Cina. Sarebbe dunque il caso che il resto della comunità internazionale non rimanga spettatore estraneo e disinteressato, e si pronunci invece con chiarezza.
Ci si attende dunque che al vertice del G20, previsto a fine ottobre a livello di Capi di Stato e di Governo, le altre 18 grandi potenze economiche, e tra queste in particolare l’Unione Europea, siano più dirette ed esplicite nel dichiarare cosa interessa realmente alle popolazioni del mondo che sono afflitte da ben altri problemi, fra cui figura non ultimo quello della stessa sopravvivenza: dalla pandemia, dalle catastrofi climatiche e umanitarie, dalla miseria e dalla fame.
In ogni caso, non sarà difficile dimostrare che alle popolazioni, incluse quelle americane e cinesi, come a tutti noi, interessa un mondo in cui prevalgano gli impegni comuni per perseguire la pace, la stabilità internazionale e per affrontare le sfide del millennio, piuttosto che i propositi bellicosi dei protagonisti di una nuova guerra tra Sparta e Atene, che gli storici ricordano per aver segnato l’inizio della eclissi di una civiltà.