Germana Tappero Merlo: Dalla paura all’odio – Terrorismo, estremismo e cospirazionismo
Germana Tappero Merlo
Ed. Tangram, Trento 2022
pagg. 327
L’autrice, docente di Sicurezza Nazionale e Infrastrutture Critiche nel Master di II Livello in Scienze informative per la Sicurezza presso l’Università eCampus, nonché membro del direttivo della Società Italiana di Storia Militare e membro del Comitato Affari Internazionali dell’Italian Diplomatic Academy (IDA) affronta, in questo suo nuovo saggio, gli effetti del terrorismo nella geopolitica mondiale, con particolare riguardo all’estremismo di matrice islamico-jihadista e al FRVE (far – right violent extremism), con l’obiettivo di “illustrare, seppur a grandi linee, il lungo percorso di estremizzazione ideologica, radicalizzazione e azioni terroristiche eversive degli ultimi decenni e le sfide che stato chiamato ad affrontare il mondo dell’intelligence, soprattutto quello occidentale, nell’espletare al meglio il suo ruolo di ‘scienza del prima’”.
“Quando si tratta di terrorismo il sentimento dominante è la paura”. La guerra al terrore, iniziata come rappresaglia agli attentati dell’11 settembre 2001, però, “non vi ha posto fine, rivelandosi un’illusoria, perché spuntata arma risolutrice.[…] E così come il terrorismo non è stato affatto estirpato, la paura a esso connessa a sua volta si è trasformata, in un continuo divenire sino ad ampliarsi, diversificarsi, addirittura radicalizzarsi anch’essa.” In questi anni, quindi, “al conflitto tradizionale fra forze convenzionali si è affiancato quello c.d. irregolare, ossia quello svolto da soggetti non necessariamente statali.”
Una delle definizioni di terrorismo, ma non l’unica, è quella di essere “uno degli strumenti tattici con cui viene esplicitata la violenza politica a fini eversivi, perché comunque lo si voglia inquadrare, il terrore, da sempre, ha la funzione di distruggere e rivoluzionare un dato assetto di poteri e sostituirlo.” Si può, comunque, affermare che “di fatto il terrorismo è una forma conflittuale non convenzionale con condotta criminale, quindi con uso illegittimo della forza, dal movente politico-religioso o politico sociale, con l’impiego di dinamiche e strutture anche clandestine, da parte di aggregazioni non statali, con o senza il supporto di Stati sostenitori.” In ogni caso il terrorismo “è sempre un fatto politico e nel contempo una tattica operativa”. Nel 1962, Raymond Aron affermò che “terrorismo è quando gli esiti psichici di un’azione violenta superano di gran lunga quelli fisici. […] L’aspetto del danno psicologico è quindi quello preminente, in guerra come per il terrorismo.”
Alla base degli atti terroristici c’è sempre “una forma di radicalizzazione di una fede religiosa, di una ideologia o di più forme di pensiero”. E il punto di partenza della radicalizzazione è sempre “una visione apocalittica del futuro basata sulla convinzione che le società in cui costoro vivono è ingiusta e vicina all’implosione per le sue stesse contraddizioni.” A favorire questo fenomeno sono le piattaforme social che “a dispetto della loro funzione di aggregatori globali, diventano recinti chiusi al confronto pacifico,” innescando il fenomeno dei lupi solitari. “Per i radicalizzati, di qualsiasi colore ideologico o religioso, vi sono all’origine processi di vittimizzazione del noi e demonizzazione dell’altro.” E quando si parla di radicalismo il pensiero va al jidahismo, “una sorta di terrorismo […] che appare in tutta la sua potenza negli anni Novanta,” e che “è composto per lo più da una soggettività nichilista mista a un desiderio vendicativo e distruttivo, a cui è facile accedervi anche solo per emulazione.” Esso è “la conseguenza di un Islam politico storpio”.Il suo obiettivo finale è la realizzazione di un progetto geopolitico (il Califfato, ad esempio). Fu nel 1979, con la nascita della Repubblica Islamica dell’Iran, che l’Islam tornò a “essere protagonista e a portare in auge l’interrelazione indissolubile tra religione e politica.” Oggi si può affermare che “il radicalismo islamico, manifestazione comunque fortemente minoritaria dell’islam e in contrasto con l’ortodossia di quella religione, costituisce ora una costante e grave minaccia nel contesto dell’estremismo politico – religioso.” Le principali organizzazioni, espressione di questo radicalismo, sono al-Qaeda e Stato Islamico (IS), diverse tra loro, ma con lo stesso obiettivo finale: “la creazione o il ristabilimento del Califfato”.
Anche per gli appartenenti al FRVE (sigla che identifica l’estrema destra violenta e altro fenomeno, attivo soprattutto nei Paesi occidentali, studiato in questo saggio) “come per il jihadismo, […] vi è un approccio manicheo che divide il mondo in un “noi contro di loro”, che giustifica la risposta violenta a ciò che percepiscono come oppressione e giustizia.” Bisogna tener conto del fatto, però, che “come per l’estrema sinistra e le sue espressioni anarco-insurrezionaliste, la collocazione di costoro presso l’estrema destra è data dal fatto che i termini “destra” e “sinistra”, più che distinzioni ideologiche, rappresentino ormai categorie ombrello, utilizzate per raggruppare l’ampia gamma di minacce che deve affrontare chi contrasta il fenomeno eversivo.” In ogni caso, finora, il FRVE “ha mostrato di essere una leaderless resistance, una resistenza senza una guida, senza un capo quindi, e nemmeno un comando centrale, addirittura senza un gruppo dominante, agendo per lo più in rete, attraverso piccole cellule che operano in piena autonomia e senza la direzione di un organismo specifico.” Quello che lo differenzia dal jihadismo è che, mentre questo giustifica la propria violenza per la ricerca di un’identità, “nel caso del FRVE si tratta di azioni per la difesa dell’identità di fronte a minacce esterne.” Tutti e due, però, sono caratterizzati dalla preminenza dell’azione “violenta di soggetti del tutto indipendenti rispetto a organismi strutturati,” anche se “hanno sempre e almeno un’assidua attività in forum online,” e quindi “l’influenza e lo sprone ad agire sono collettivi, mai esclusivi dei singoli soggetti,” soggetti per i quali “il risultato è sempre quello di confondere la vita digitale con quella reale, farne un tutt’uno. Passare dalla tastiera del proprio laptop o dal joystick di una qualsiasi piattaforma di gioco ad ambienti di vita reale è, ed è già stato, per parecchi di costoro, un’evenienza sanguinaria, quella del tragico destino di stragi perpetrate in nome dell’odio razziale e di genere.” Sarà, quindi, compito dell’intelligence, “conformemente alla sua natura di “scienza del prima,”[…] non perdere l’appuntamento con queste minacce di una violenza a più marchi, jihadista – islamista e di FRVE.”
Compito della politica, invece, sarà quello di “ristabilire la fiducia con il proprio elettorato e superarne la disaffezione, […] per evitare che la paura si trasformi in odio, e la fobocrazia, quel dominio della paura inteso come strumento di presa e mantenimento del potere per un’emergenza che dipende da un terrorismo di natura identitaria o da una pandemia inaspettata, diventi il nuovo totalitarismo del XXI secolo.”
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