Gli eroi dimenticati di una guerra perduta
Il primo caporal maggiore Diego Magno Massotti è uno dei tanti eroi di guerra italiani dimenticati e l’ultimo in ordine di tempo a ricevere una decorazione per il suo valore. Eroi spesso tenuti lontani dalla ribalta, dalle cronache e dai comunicati ufficiali perché hanno combattuto e ucciso nemici in battaglia.
Sono decine, forse centinaia i soldati italiani decorati per atti di valore ed eroismo in Afghanistan, terra da cui dopo vent’anni di impegno militare ci ritiriamo sconfitti insieme agli Stati Uniti e a tutti gli alleati della NATO.
Eroi tenuti quasi nascosti dalla Patria (che hanno servito con onore e sprezzo del pericolo) come le battaglie a cui hanno partecipato, distinguendosi ma senza ottenere quella notorietà riservata ai nostri caduti, perché invece di perire sul campo hanno fatto strage di talebani. Opera certo meritoria ma forse poco confacente alle note di linguaggio delle “missioni di pace”.
Come per il caporal maggiore Massotti, pet trovare traccia dei nostri tanti eroi di guerra occorre setacciare le cerimonie presso i singoli reggimenti o le sedi istituzionali in occasione di particolari ricorrenze.
Come riporta il sito PerseoNews, specializzato in notizie militari, durante la cerimonia di conferimento delle onorificenze in Prefettura a Forlì, nell’ambito delle celebrazioni del 2 giugno, è stata consegnata la medaglia di bronzo al valor dell’Esercito al primo caporal maggiore Diego Magno Massotti, in forza al 66° Reggimento fanteria aeromobile Trieste.
Questa la motivazione:
Mitragliere di bordo, a seguito di un proditorio e vile attacco da parte di un elemento ostile, con generoso ardimento, tenacia e singolare senso del dovere, dava prova di esemplare coraggio e notevole perizia prodigandosi senza indugio, dapprima in un efficace fuoco di copertura per l’esfiltrazione in zona sicura dell’intero dispositivo e, successivamente, accortosi che l’attentatore reiterava l’attacco con razzi anticarro e armi automatiche, nella neutralizzazione della minaccia garantendo la definitiva sicurezza dell’area.
Splendida figura di Graduato che con il proprio audace operato ha dato lustro all’Esercito Italiano nel contesto internazionale. Herat (Afghanistan), 2 gennaio 2019.
Nella foto di Cristiano Frasca, da sinistra, il prefetto di Forlì Antonio Corona, il primo caporal maggiore Diego Magno Massotti e il comandante del 66° reggimento aeromobile, colonnello Marco Licari (Perseo News).
Per i lettori poco avvezzi alla terminologia militar-burocratica-politicamente corretta “l’elemento armato ostile” è un talebano (o insorto afghano) mentre “la neutralizzazione della minaccia” indica che il talebano è stato ucciso dal fuoco del mitragliere italiano in ralla su un veicolo Lince.
I fatti d’arme risalgono al gennaio 2019, ma nell’archivio delle news dai teatri operativi di quel periodo sul sito Difesa.it non troverete nessun accenno a quello scontro a fuoco nè ai molti altri che pure si sono succeduti con una certa frequenza anche negli ultimi anni in cui l’Operazione Resolute Support ha decisamente limitato il coinvolgimento in prima linea dei militari italiani ed alleati rispetto alle precedente operazione dell’ISAF (International Security Assistance Force).
In compenso, in quel gennaio 2019, dall’Afghanistan ci sono state fornite ampie notizie dal sito della Difesa circa l’addestramento impartito dall’Aeronautica al personale civile afghano dell’aeroporto di Herat, le donazioni all’orfanotrofio do quella città o i corsi di primo soccorso impartiti ai militari afghani.
Eppure celebrare adeguatamente i nostri eroi di guerra sarebbe giusto non solo nei loro confronti ma anche per rispetto verso i cittadini contribuenti: tutti abbiamo visto i funerali dei nostri caduti in Afghanistan che abbiamo pianto, ma poco o nulla sappiamo delle battaglie combattute, specie a partire dal 2007, in cui i nostri militari hanno ucciso diverse migliaia di talebani.
Gli unici scontri su cui sono trapelate alcune informazioni sono quelli in cui abbiamo registrato caduti, col risultato che la memoria collettiva di quel conflitto è costituita dalle perdite subite ma non dalle vittorie conseguite armi in pugno né dalle tante perdite inflitte al nemico.
Possiamo discutere a lungo di una guerra il cui senso è stato azzerato da un ritiro determinato dagli Stati Uniti, ormai incapaci quasi quanto gli europei di reggere politicamente e socialmente un conflitto prolungato anche se a bassa intensità.
Possiamo dibattere se quella afghana sia stata anche una “nostra guerra” o se ci siamo limitati a pagare un obolo (costoso e sanguinoso alla luce dei 54 caduti, oltre 700 feriti e oltre 10 miliardi di euro spesi) all’alleanza con gli USA: conclusione a cui giunsero con onestà intellettuale le lezioni apprese dello Stato maggiore francese dopo il ritiro del contingente transalpino nel 2011.
Oggi Paolo Mieli, sul Corriere della sera denuncia la scarsa visibilità sui media occidentali del ritiro dall’Afghanistan ma la ragione è facile da comprendere, anche per noi italiani.
Fuggiamo a gambe levate, abbandonando un intero popolo ai suoi aguzzini, da un territorio in cui siamo stati sconfitti e dove per vent’anni abbiamo combattuto (spesso con una mano legata dietro alla schiena) vergognandoci di farlo e nascondendo quasi sempre battaglie, successi ed eroismi.
L’impatto di questa sconfitta sarà devastante per l’Occidente e i suoi interessi e galvanizzerà i jihadisti in tutto il mondo, inclusa l’Europa: meglio quindi non parlarne.
USA, NATO e gli stati membri dell’alleanza hanno diffuso per anni la “madre di tutte le fake news”, raccontando che le forze da combattimento alleate vennero ritirate perché i militari afghani addestrati da noi erano così bravi da cavarsela da soli, oppure spacciando il negoziato degli USA coi talebani come un accordo invece di una resa, o presentando una disfatta e una fuga con un ritiro e con l’impegno a continuare a sostenere il governo e l’esercito di Kabul.
La sconfitta verrà taciuta, la ritirata avverrà rapidamente (entro inizio luglio) avvolta per quanto possibile da un pudico silenzio mentre gli eroi, in Italia già scomodi durante la guerra, da domani lo saranno ancor di più perché le loro medaglie ci ricorderanno l’ennesima guerra vinta dai soldati e perduta dalla politica e l’ennesima sconfitta nel lungo scontro contro i jihadisti.
E di certo noi italiani, nel rimuovere e mistificare le sconfitte, non siamo mai stati secondi a nessuno.
Foto ISAF e Perseo News