Guerra in Ucraina: sviluppi bellici e diplomatici
La guerra fra Russia e Ucraina, pur chiamata a Mosca soltanto “operazione speciale” (probabilmente perché i russi in quello scacchiere si sentono già in guerra dal 2014) dura ormai da tre settimane, in uno stillicidio di attacchi aerei e missilistici contro città e altri obbiettivi, mentre sul terreno l’avanzata delle truppe del Cremlino sembra segnare il passo, almeno secondo il metro di giudizio occidentale.
Da più parti si ripete che il presidente russo Vladimir Putin sarebbe in lotta contro il tempo e che sarebbe fallita una presunta “guerra lampo” che però forse non aveva mai voluto né pianificato fin dall’inizio.
Ciò che si può osservare fino a tutto il 15 marzo 2022 è che, se nel Nord e Nordest, la capitale Kiev è al centro di una tenaglia che si chiude sul suo versante settentrionale, da Nordovest e da Est, Kharkiv è pure sotto attacco mentre nel Sud, la resistenza ucraina a Mariupol sarebbe ormai senza speranze e il consolidamento dell’occupazione russa nell’area di Kherson rende possibile una prossima offensiva su Odessa, da terra e dal mare.
E’ tale porto, in prospettiva, un obbiettivo vitale, almeno finchè dureranno le ostilità, potendo permettere ai russi di controllare tutta la costa, isolando l’Ucraina dai trasporti marittimi (già bloccati dalla Flotta russa del Mar Nero) e creando un collegamento diretto con la Transnistria, dove come noto risiedono popolazione russa e una guarnigione di 1.500 militari che custodiscono basi e arsenali costituiti in quell’area ribelle della Moldavia fin dai tempi dell’Unione Sovietica.
La guerra di propaganda condotta da entrambe le parti rende difficile anzitutto soppesare i numeri sciorinati dalle rispettive fonti ufficiali, sia per quanto riguarda le vittime civili (migliaia secondo Kiev, meno di 700 per le Nazioni Unite), sia le perdite militari in uomini e mezzi.
Dati che possono essere presi in considerazione per il momento solo come beneficio d’inventario. Ciò rende di riflesso molto difficile valutare quale sia il reale peso della resistenza ucraina nel rallentare le operazioni russe, lasciando aperta la porta all’ipotesi, certo da verificare, che i russi in queste tre settimane abbiano operato volutamente al di sotto delle loro potenzialità distruttive, soprattutto per quanto riguarda le forze aeree, sia per assestare colpi graduali al nemico, alternando continui approcci diplomatici per sondare la cedevolezza della dirigenza ucraina, sia per evitare di dar luogo a una carneficina decine di volte maggiore di quella che si sta consumando.
Nel frattempo si registra l’impegno crescente di forze aggiuntive come la Guardia Nazionale della Rosgvardija, fra cui militano gli elementi ceceni filorussi, e i volontari siriani promessi a Putin dall’amico Bashar El Assad o, sul lato opposto della barricata, l’arrivo di volontari internazionali pronti a combattere sotto la bandiera ucraina.
Il fronte politico
Proprio il 15 marzo il presidente ucraino Volodymir Zelensky ha fatto trasparire per la prima volta una notevole delusione nei confronti della NATO, palesando un’incrinatura su uno dei temi che più stanno a cuore a Mosca, cioè l’evitare che l’Ucraina possa mai far parte dell’alleanza atlantica.
“Abbiamo capito che non faremo parte dell’alleanza”, ha affermato in un video il presidente ucraino, osservando: “Ognuno degli oltre 800 missili russi che hanno colpito il nostro paese è la risposta alla domanda di lunga data sulla NATO, se le porte dell’Alleanza siano davvero aperte per l’Ucraina. Se fossero aperte, non avremmo dovuto cercare di convincere l’Alleanza da 20 giorni che i cieli sopra l’Ucraina devono essere chiusi”.
Ancora poche ore prima aveva parlato in videoconferenza col Parlamento canadese di Ottawa ribadendo la richiesta di una no-fly zone, come aveva fatto anche in precedenza al Parlamento britannico di Londra e, in genere, a tutti i governi occidentali.
“Spero che capiate quanto è importante per noi la no-fly zone. Per favore non fermatevi nel vostro sforzo per riportare la pace. Abbiamo bisogno del vostro aiuto concreto”. Ma sulla no-fly zone, la NATO e infine la stessa Casa Bianca di Washington, hanno confermato più volte il diniego per non causare una escalation pericolosa per l’intera Europa.
Al che Zelensky ha poi ribadito: “Alcuni paesi della NATO sono intimoriti e dicono che non possono rispondere perché questo porterà la terza guerra mondiale. Ma cosa diranno quando il presidente russo, Vladimir Putin avanzerà in Europa attaccando altri paesi? Credo diranno la stessa cosa che dicono all’Ucraina. L’articolo 5 della Nato non è mai stato così debole come oggi ma questo è solo un nostro punto di vista”.
Il presidente di Kiev sta tentando il tutto per tutto per cercare di coinvolgere il più possibile gli alleati occidentali che l’hanno incoraggiato per mesi per poi limitarsi, pena una guerra mondiale, a forme di appoggio indirette, dalle forniture d’armi all’invio di volontari a sanzioni economiche il cui effetto sulla Russia è ancora dubbio, mentre si toccano già con mano le pesanti ripercussioni sull’economia della stessa Europa.
Perciò Zelensky cerca di sfruttare la sostanziale spaccatura tra membri occidentali e membri orientali della NATO, usando questi ultimi, i più antirussi, per aprire una breccia nelle comprensibili cautele del quartier generale di Bruxelles.
Non è un caso che nel solo 15 marzo, dapprima sia giunto in visita a Kiev il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, poi vi siano giunti in treno ben tre primi ministri, il polacco Mateusz Morawiecki, il ceco Petr Fiala e lo sloveno Janez Jansa. Peraltro, Morawiecki, nell’incontrare Zelensky ha fatto credere che la missione di questa “troika” di premier avesse l’avallo dell’Unione Europea, dichiarando trionfalmente: “È qui, nella Kiev dilaniata dalla guerra, che si fa la storia. È qui che la libertà combatte contro il mondo della tirannia.
È qui che il futuro di tutti noi è in bilico. L’UE sostiene l’Ucraina che può contare sull’aiuto dei suoi amici: oggi abbiamo portato questo messaggio a Kiev”.
In verità il Consiglio Europeo è stato solo informato della visita, che non avviene sotto la sua egida, anzi s’è parlato apertamente di una certa “freddezza” dell’UE in proposito.
Frattanto, i russi hanno ribadito ancora la loro disponibilità a far tacere il cannone, ma alle loro condizioni, che poi sono in sostanza ancora quelle che lo scorso 15 dicembre 2021 la diplomazia russa aveva consegnato a quella americana, salvo essere ignorate e rigettate per settimane.
L’ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Vassily Nebenzia, ha rammentato: “Il cessate il fuoco ci sarà quando le condizioni proposte dalla Russia saranno soddisfatte e sono ben note. Demilitarizzazione dell’Ucraina, denazificazione dell’Ucraina, nessuna minaccia per la Russia da quel territorio, nessuna adesione alla Nato”.
Sulla stessa lunghezza d’onda, il segretario del Consiglio di Sicurezza russo, Nikolai Patrushev, che presenziando a Grozny a un vertice sulla sicurezza del Caucaso ha dichiarato all’agenzia Interfax: “La Russia ritiene necessario raggiungere il vero status di neutralità per l’Ucraina ed escludere che aderisca alla Nato. Come è nella dichiarazione di Sovranità adottata dall’Ucraina nel 1990 in cui già si manifestava l’aspirazione di Kiev allo status di neutralità e al non allineamento a blocchi militari, punti a cui fa riferimento anche la costituzione del 1996”.
A Kiev per ora si tace, in attesa forse di valutare fino a che punto si possa eventualmente resistere, anche forzando la mano agli occidentali se necessario.
Il Parlamento ucraino, la Verkhovna Rada, ha deciso di estendere fino al 25 aprile la legge marziale, accogliendo una richiesta di Zelensky. Diversamente, essendo stata promulgata il 24 febbraio 2022, all’inizio dell’offensiva russa, e valevole un mese, sarebbe scaduta il 24 marzo. Si è fatto sentire anche lo stesso Putin, che ha definito il governo di Kiev “non serio nel trovare una soluzione reciprocamente accettabile”, come ha detto al telefono al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.
Kiev spera forse ancora in maggiori aiuti occidentali e confida che i russi si stanchino prima che la bilancia militare penda a loro favore anche solo per mere questioni di numero e di massa.
Oleksiy Arestovich, consigliere del capo di gabinetto di Zelensky, prevede perfino che il conflitto possa risolversi entro i primi di maggio: “Penso che entro maggio, all’inizio di maggio, dovremmo avere un accordo di pace. O ci sarà un accordo di pace raggiunto rapidamente, in una o due settimane, con il ritiro delle truppe e tutto il resto, oppure ci sarà un tentativo di mettere insieme alcuni, diciamo, siriani, per un secondo round e, quando avremo respinto anche loro, un accordo entro metà aprile o fine aprile. La guerra finirà al più tardi all’inizio di maggio, quando la Russia avrà esaurito le risorse di cui dispone per attaccarci”.
Ma le risorse ucraine sono a loro volta ancor più limitate di quelle russe e gli stessi aiuti occidentali stanno finendo nel mirino.
Consiglieri militari, volontari e mercenari occidentali
Domenica 13 marzo, almeno 8 missili da crociera, secondo gli ucraini, forse fino a 30 missili secondo gli americani, di tipo imprecisato (da crociera aviolanciati o balistici) hanno colpito una base militare ucraina situata a soli 20 km circa dal confine con la Polonia. Si tratta della base di Yavoriv, a 40 chilometri da Leopoli, attiva fin dal 2007 per l’addestramento delle forze di peacekeeping ucraine da parte di consiglieri militari stranieri e nota con la denominazione, un po’ fuorviante,
Centro Internazionale per il mantenimento della Pace e della Sicurezza, o IPSC come sigla inglese. Ufficialmente, secondo la NATO vi avverrebbe l’addestramento alle operazioni di sminamento attuate dai Caschi Blu ucraini per conto dell’ONU in varie missioni di pace nel globo.
E’ chiaro però che, dati i tempi, la vocazione del centro è diventato l’addestramento militare a 360 gradi operato da militari dei paesi NATO, nonché la raccolta e allenamento di volontari e mercenari stranieri. Fra l’altro la vicinanza alla Polonia fa probabilmente di Yavoriv un luogo ideale che per una prima raccolta logistica del materiale militare occidentale proveniente dalla frontiera, prima del suo successivo smistamento ai reparti.
Per i russi, secondo quanto riferito dal portavoce del Ministero della Difesa russo, generale Igor Konashenkov, la base di Yavoriv “era stata convertita in un centro d’addestramento per una legione straniera di combattenti, oltre che in deposito per gli aiuti militari occidentali”.
E che “fino a 180 mercenari stranieri e una grande quantità di armi straniere sono stati eliminati”. Konashenkov ha concluso minacciando: “Continueremo a eliminare i mercenari stranieri”.
Per gli ucraini, le perdite sarebbero assai inferiori. Il governatore della regione di Leopoli, Maksym Kozytskyi, ha sostenuto che la pioggia di missili su Yavoriv avrebbe causato “35 morti e 134 feriti”.
Non si hanno dati sicuri, ma il coordinatore dei volontari olandesi, tal Gert Snitselaar, parla di “olandesi feriti” e la stampa portoghese allude a quattro connazionali “irraggiungibili”.
I media inglesi stimano invece in almeno tre i morti britannici, veterani delle forze speciali, e considerano plausibile una cifra totale di circa 100 caduti. Sembra che a Yavoriv ci fossero anche americani, britannici e australiani e gli ucraini hanno fatto capire che nella base potessero esserci fino a 1.000-1.500 combattenti stranieri.
Certo, sul tema degli occidentali che arrivano in Ucraina come volontari o mercenari, c’è sempre un comprensibile riserbo. Il ministro degli Esteri ucraino Dmitro Kuleba ha asserito che sarebbero un totale di 20.000, di cui 4.000 americani, probabilmente non tutti ancora dispiegati al fronte, ma in parte già arrivati, in parte ancora in viaggio. Dall’inizio di marzo la società americana Silent Professionals ha pubblicato un bando di ingaggio per aspiranti mercenari da inviare in Ucraina con una paga fra 1.000 e 2.000 dollari al giorno.
Si richiede “partenza immediata” per “agenti di estrazione e protezione” e “squadre per operazioni coperte di evacuazione ed estrazione”.
Si esigono “solo candidati di grande esperienza, con 5 anni di esperienza militare in questa regione d’Europa, un anno di servizio operativo in missioni oltremare, conoscenza delle armi leggere NATO e russe, capacità di parlare russo e ucraino, di muoversi con mappe e bussola e conoscenza delle autostrade ucraine e del terreno”.
Paiono tutti requisiti troppo stringenti perchè possano arruolarsi semplici idealisti con scarsa esperienza militare mossi solo dalla voglia di difendere la libertà di una nazione attaccata dall’Orso russo.
E’ credibile invece che per la maggior parte si tratti di ex-militari NATO, forse incoraggiati dagli stessi eserciti di provenienza per andare ad acquisire una esperienza operativa reale di confronto con l’esercito russo.
Proprio uno scenario simile alla guerra civile spagnola del 1936-1939, che avevamo già evocato agli inizi del conflitto. Se fosse così, nel fenomeno potrebbe essere compreso, forse, il ritorno sotto mentite spoglie in Ucraina di militari americani che ne erano stati ritirati a metà febbraio, prima dell’invasione russa.
Il 13 marzo, poco dopo che Yavoriv era stata bombardata, negli Stati Uniti la testata Politico rivelava che, stando alla testimonianza di tre anonimi funzionari di ambienti vicini al Congresso di Washington, fin da dicembre 2021 il Pentagono, e in particolare lo stesso segretario alla Difesa Lloyd Austin, stava cercando di convincere il presidente Joe Biden a inviare in Ucraina “poche centinaia” di consiglieri militari addizionali rispetto a quelli già presenti, che erano elementi dei Berretti Verdi e della Guardia Nazionale della Florida.
Ma Biden aveva rifiutato, temendo che la mossa avrebbe potuto ancor di più irritare la Russia. Così sarebbe emerso da rapporti presentati a porte chiusa nella Commissione Forze Armate del Senato USA.
I consiglieri aggiuntivi, come quelli già presenti, avrebbero dovuto operare proprio a Yavoriv, dove fra l’altro avverrebbe l’addestramento all’uso dei missili anticarro Javelin, e forse anche di quelli antiaerei Stinger, forniti all’Ucraina. Le indiscrezioni di Politico sono state subito smentite sia dai portavoce della Casa Bianca, sia da quelli del Dipartimento alla Difesa USA, ma non è da escludersi che abbiano un fondo di verità.
Certo, l’atteggiamento americano è al momento cauto, come ha dimostrato anche la vicenda delle possibili consegne all’aeronautica ucraina di velivoli da combattimento Mig-29 delle forze aeree polacche, in quanto è un tipo di velivolo che gli aviatori ucraini conoscono come le loro tasche e per il quale non necessitano addestramento specifico.
Dopo le minacce russe relative al considerare la consegna dei Mig-29 polacchi l’equivalente di un atto ostile, il governo di Varsavia ha pensato bene di salvare la faccia, promettendo i caccia, ma scaricando l’incombenza sugli Stati Uniti, cioè proponendo di trasferirli sulla base americana di Ramstein, in Germania, e lasciando che fossero gli statunitensi a recapitarli alle forze di Kiev.
Gli USA hanno respinto decisamente l’ipotesi e del pericolo sembra essersi reso conto il 12 marzo lo stesso presidente polacco Andrzej Duda: “Trasferire aerei, o provare a difendere i cieli sopra l’Ucraina contro gli aerei da combattimento russi, è una decisione strettamente militare e seria, perché significherebbe che i jet della Nato vengono mandati nello spazio aereo ucraino e creerebbe un confronto tra gli aerei Nato e quelli russi. Ciò aprirebbe una terza guerra mondiale”.
In sostanza, il problema di assicurare sufficiente aiuto militare all’Ucraina resta e lo stesso Zelensky, appellandosi ancora il 15 marzo per avere ancora più armamenti dall’Occidente lascia trasparire che la resistenza, pure fiera, delle sue forze è comunque limitata.
Guerra d’assedio
Nel presentare un bilancio del conflitto, secondo la prospettiva russa, il generale Konashenkov ha il 15 marzo annunciato che, fino a quel giorno, le forze russe avrebbero distrutto 156 velivoli, 1.306 fra carri armati e veicoli blindati, 127 sistemi di lanciarazzi multipli, 471 pezzi d’artiglieria e 1.054 veicoli generici. Solo nelle precedenti 24 ore “le Forze Aerospaziali Russe hanno abbattuto 16 bersagli aerei ucraini, fra cui un Su-24 e un Su-25, un elicottero Mi-8 e 13 droni di cui sei Bayraktar TB-2”.
Ha dichiarato inoltre che “Kherson è sotto il nostro controllo” e che “paracadutisti russi si sono impossessati di 10 sistemi missilistici anticarro Javelin dopo aver catturato un avamposto di nazionalisti e di mercenari stranieri”, aggiungendo che “tutte le armi di provenienza straniera verranno passate alle milizie delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk”, le quali, del resto, a detta dell’ufficiale russo “hanno sfondato le linee ucraine nella regione di Donetsk e conquistato il centro di Panteleimonovka”.
Dal canto suo, il comando militare di Kiev sosteneva nel bilancio presentato il 16 marzo che i russi avessero registrato 13.800 soldati uccisi subendo la distruzione di 84 aerei, 108 elicotteri, 430 carri armati, 109 sistemi di artiglieria e 2 navi.
Ovviamente, nell’ambito della propaganda di guerra, non è possibile dire che le cifre ucraine siano più attendibili di quelle russe, e viceversa. Ma è un fatto che, per motivi di mole, è Mosca a pressare l’avversario, e non il contrario.
Al 14 marzo l’Ufficio Diritti Umani dell’ONU (OHCHR) stimava che, dal 24 febbraio fino a quel momento, sarebbero stati uccisi 636 civili ucraini, dei quali 46 bambini o adolescenti, mentre i feriti sarebbero 1.125.
La cifra potrebbe essere assai più bassa del reale. Gli ucraini sostengono che nella sola Mariupol, la grande città portuale assediata nel Sud, sarebbero morti 2.500 abitanti (altri 500 sarebbero morti a Kharkiv) e nonostante la stentata apertura di un corridoio umanitario, la situazione resta disperata per la carenza di cibo e medicinali.
A Kiev, dopo che fra l’11 e il 12 marzo il grande convoglio di mezzi corazzati,e blindati e camion, lungo 60 chilometri, si è sparpagliato e occultato alla ricognizione aerea sotto le chiome degli alberi (forse in attesa di una potenziale offensiva sulla capitale), si sono moltiplicati i bombardamenti, soprattutto con missili.
Fra l’altro, il 15 marzo sono emerse informazioni di fonte americana secondo cui i missili balistici russi Iskander-M, con gittata di 480 km, già utilizzati nel conflitto, sarebbero stati dotati di sistemi d’inganno delle difese antiaeree e antimissile ucraine. Secondo il New York Times, che cita “fonti di intelligence”, a bordo degli Iskander sarebbero stati installati sistemi che proiettano “esche” antiradar e antinfrarossi, per confondere i missili della difesa aerea ucraina.
A Kiev il 14 marzo un ordigno ha devastato un condominio di 9 piani nel quartiere di Oblon, causando fino a 3 morti, senza contare i feriti, mentre altri 2 morti si sono avuto in un attacco alla fabbrica aeronautica Antonov.
Nella capitale è stato istituito un coprifuoco dal 15 al 17 marzo, dopo che, nella mattina del 15, è stata colpita anche la stazione Lukyanivska della metropolitana, che è stata chiusa.
Le autorità cittadine hanno diramato che le scorte di cibo a Kiev potrebbero bastare per circa due settimane, tenendo conto che la popolazione della capitale è, se non altro, calata da 3,5 a 2 milioni di persone, dopo il deflusso degli sfollati.
L’intelligence ucraina SBU ha segnalato l’arrivo dei primi 400 volontari siriani, sul totale dei circa 16.000 annunciati dallo stesso Putin e reclutati col beneplacito del presidente siriano Bashar Assad. Il 14 marzo, mentre il capo delle milizie cecene filorusse Ramzan Kadyrov affermava di essere alle porte di Kiev (notizia poi smentita), emergeva dall’SBU l’ipotesi che il ruolo dei ceceni sarebbe quello di “zagradotriady”, battaglioni disciplinari pronti a sparare sui russi che, magari feriti, volessero ritirarsi o arrendersi.
Intanto, la televisione Zvezda, vicina al Ministero della Difesa russo, ha mostrato la febbrile attività negli uffici d’arruolamento di siriani aperti a Deir Er Zor e gestiti da Husam Qaterji, intermediario fra la rappresentanza russa in Siria e il governo di Damasco.
Per l’acquartieramento e l’addestramento dei siriani, prima di utilizzarli in battaglia, i russi avrebbero allestito campi a Rostov e a Gomel, in Bielorussia, il che farebbe intuire che le truppe fornite da Assad verrebbero utilizzate sia nel Donbass, sia contro Kiev. Intanto si allargherebbe il ricorso ai contractors della compagnia Wagner, tanto che il 13 marzo gli ucraini hanno denunciato di aver ucciso il primo caduto di questa compagine, il tenente Sergey Zavadsky.
Gli ucraini hanno rilevato aumento di ricognizione aerea lungo i confini bielorussi, nonché un rafforzamento del dispositivo delle truppe di Minsk, il che ha aumentato i timori, già espressi nei giorni precedenti, di un possibile intervento armato del presidente Aleksandr Lukashenko al fianco dell’alleato Putin.
Tutto dipenderà anche dall’evolversi della situazione diplomatica, tenuto conto che fra il 16 e il 17 marzo è prevista una missione del ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu a Mosca e poi a Kiev, a riconferma della pervicacia della Turchia nel ricercare una mediazione. L’aperto ricorso ai mercenari siriani ha fatto ipotizzare al Pentagono che la Russia fosse in procinto di chiedere sostegno anche alla Cina in termini di forniture di svariato tipo, dalle “razioni alimentari K”, per così dire, dei soldati di fanteria ai droni da ricognizione e attacco, segnatamente i tipi cinesi Wing Loon, ma Pechino ha negato decisamente le illazioni americane, finora non provate.
Attorno a Kiev si sono segnalati fra il 13 e 15 marzo furiosi combattimenti soprattutto nei sobborghi di Irpin e Bucha dove una formazione dei paracadutisti russi ha tentato invano di gettare un ponte di barche sull’omonimo fiume Irpin, venendo però respinta.
Al momento il maggior settore di sforzo militare russo sembra quello sul versante occidentale della città. Intanto, la città industriale di Kharkiv è cannoneggiata con granate d’artiglieria e gli ucraini tengono una linea difensiva attestata sui villaggi di Topolske, Shpakivka e Donetske.
Nel Donbass, i russi avrebbero, secondo gli ucraini, bombardato la città di Popasna, in area controllata dalle forze di Kiev “con ordigni al fosforo proibiti”, mentre a loro volta le milizie filorusse accusano gli ucraini di aver massacrato 20 civili in un colpo solo con missili tattici Tochka-U su Donetsk.
A Sud, i russi cercano di circondare Mykolaiv, per poter assicurarsi le spalle da Nord in previsione dell’organizzare da Kherson una offensiva verso Ovest che li porti a Odessa.
Quanto al dispiegamento navale di fronte alla maggior città marittima del paese, nella nottata fra il 15 e il 16 marzo gli ucraini hanno diffuso informazioni di origine satellitare evidentemente fornite loro dagli Stati Uniti. Si stavano avvicinando alla costa tre gruppi di navi russe.
In totale si tratta di 14 unità, più i mezzi da sbarco. Il gruppo settentrionale è composto da un rimorchiatore o un dragamine, due mezzi da sbarco classe Project 775, un altro rimorchiatore e un altro Project 775.
Il gruppo centrale è composto da 4 corvette missilistiche mentre il gruppo meridionale è incentrato sull’incrociatore Moskva, possente nave da 12.000 tonnellate armata con cannoni da 130 mm e missili da crociera Bazalt e Vulkan, affiancata da due navi da sbarco del Project 1171 Tapir e dalla grande nave da sbarco Pyotr Morgunov, normalmente assegnata alla Flotta del Nord.
Fra il 15 e il 16 marzo il capo dell’amministrazione militare regionale di Odessa Maxim Marchenko segnalava che alcuni punti della costa erano stati colpiti da ordigni di aerei o navi russe.
La NATO in allerta
Di fronte al perdurare della crisi, la NATO ha rinforzato la sua postura per dissuadere la Russia da qualsiasi aggressione o incidente lungo i confini orientali degli stati membri, per quanto appaia estremamente improbabile che Mosca abbia interesse ad aumentare ulteriormente la tensione.
Dal 14 marzo è iniziata, con durata prevista fino al 10 aprile, una grande esercitazione dell’alleanza in Norvegia, non lontano alle basi artiche russe. Sono le grandi manovre NATO “Cold Response 2022”, che totalizzano 35.000 uomini di 27 paesi. In mare ci sono le squadre di battaglia delle portaerei americana Truman e britannica Prince of Wales, oltre a navi di altri paesi, anche l’Italia con la portaelicotteri Garibaldi (nella foto sotto) e a terra, fra gli altri ci saranno anche unità degli Alpini.
L’area della Norvegia Settentrionale è vicina alle basi di sottomarini e bombardieri russi della penisola di Kola, vicino all’accesso strategico dal Mar Glaciale Artico all’Atlantico e le manovre, pur programmate da tempo, prima dell’offensiva russa in Ucraina, sono un ulteriore segnale rivolto a Mosca.
Da Bruxelles il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, seguita ad agitare lo spettro di possibili attacchi chimici sotto “false flag”, per avere il pretesto per inasprire l’offensiva e accusare Ucraina e NATO, dopo le denunce da parte di Mosca sui presunti laboratori di guerra batteriologica che gli americani avrebbero impiantato su territorio ucraino.
“I russi ora lanciano accuse assurde su laboratori biologici e armi chimiche in Ucraina. È solo un’altra bugia. E siamo preoccupati che possano condurre un’operazione sotto falsa bandiera, che potrebbe includere armi chimiche. Per mesi abbiamo esposto la lunga lista di bugie dette dalla Russia. Hanno detto che non stavano preparando l’invasione dell’Ucraina, ma l’hanno invasa. Hanno detto che stavano ritirando le truppe, ma ne hanno mandate di più. Hanno detto che stavano proteggendo i civili, ma li stanno uccidendo” ha detto Stoltenberg.
Nikolai Patrushev, Segretario del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa, ha ribattuto: “Sono proprio i consulenti americani che stanno incoraggiando e aiutando il regime di Kiev a sviluppare armi biologiche e nucleari. L’Ucraina ha tutto il necessario per questo, comprese le competenze, le tecnologie, le materie prime e i veicoli per le consegne.
Queste intenzioni avrebbero potuto essere messe in pratica. Sarebbe una minaccia imminente non solo per la sicurezza della Russia, ma per la sicurezza del mondo intero, perché potrebbe portare a una nuova guerra nucleare. Non possiamo permettere a nazionalisti sfrenati e incontrollabili di possedere armi nucleari”.
Aspetto che si ricollega all’urgenza russa di distruggere i 30 biolaboratori che i servizi di Mosca hanno censito in territorio ucraino, nonché di prendere il controllo delle centrali nucleari di Chernobyl e Zhaporozhia, e in prospettiva anche degli altri impianti a ovest del fiume Dnepr qualora fossero raggiunti dalle truppe russe.
Dopo che il 10 marzo un grosso drone Tupolev Tu-141 Strizh di origine sovietica è precipitato presso Zagabria, in Croazia, avendo sorvolato impunemente Romania e Ungheria, si è riproposto per l’alleanza il problema di assicurare una copertura aerea impenetrabile per i suoi membri.
Il Tu-141 attualmente è in servizio nell’aeronautica ucraina, che lo ha spesso utilizzato sia sul Donbass, fin dal 2014, sia negli odierni combattimenti del 2022. Pertanto l’ipotesi più logica è che anche l’esemplare precipitato su suolo croato sia stato utilizzato da Kiev per la ricognizione sul fronte di guerra, ma sia sfuggito, non si sa come, al controllo per finire fuori rotta verso occidente, volando per ben 550 chilometri in cieli della NATO fino a schiantarsi per mancanza di carburante, senza causare vittime.
Gli imbarazzati ucraini negano che il drone, un grossolano velivolo lungo 14 metri e più somigliante a un missile da crociera, appartenga a loro, nonostante di fatto siano gli unici ad aver mantenuto in servizio questo vecchio velivolo senza pilota che entrò in servizio con le forze aeree sovietiche nel lontano 1979. Un altro episodio misterioso si è verificato il 14 marzo, quando la difesa aerea della NATO ha “tracciato un oggetto volante che ha violato lo spazio aereo rumeno” precisando che “le autorità di Bucarest stanno indagando su questo incidente”, come ha detto lo stesso segretario Stoltenberg.
Nulla è dato sapere sull’oscuro aeromobile, forse un altro drone, oppure un caccia, che potrebbe essere stato ucraino o anche russo, penetrato nei cieli rumeni per errore o forse, chissà, per sondarne le difese con una fugace apparizione.
Per il 24 marzo sono stati indetti a Bruxelles sia un vertice straordinario della NATO, sia un vertice dell’Unione Europea e a entrambi parteciperà di persona il presidente americano Joe Biden, che per la prima volta dall’inizio della guerra si recherà in Europa “per riaffermare il nostro ferreo sostegno ai nostri alleati”.
L’alleanza cerca di mostrarsi unita a dispetto dei malumori provocati sottobanco dagli enormi costi economici delle sanzioni alla Russia e dei contraccolpi a cascata sui prezzi delle materie prime e dei generi alimentari. Tutto fa pensare che il modo migliore per disinnescare una crisi così pericolosa sia necessario, ora più che mai, incentivare la trattativa. E per far ciò appare indispensabile non demonizzare la controparte, ma riconoscerle una certa parità strategica. Che poi era ciò che chiedeva la Russia negli anni scorsi e fino a tutto il 2021, in riferimento al problema della sicurezza in Europa.
Secondo Vladimir Osechkin, attivista russo dei diritti umani in esilio, una “talpa” all’interno dell’FSB, l’ex-KGB, starebbe mettendo in guardia l’Occidente con lettere in cui delinea uno scenario in cui “per la Russia la Terza Guerra Mondiale è già iniziata” e Putin si preparerebbe a un discorso minaccioso per chiedere alla NATO “di accettare immediatamente le giuste richieste della Russia per non spingere il mondo in una nuova guerra”.
Se l’Occidente non volesse firmare “un nuovo trattato internazionale di valore globale”, la reazione russa prevederebbe attacchi limitati con missili tattici su “obiettivi militari designati” in Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania, agitando lo spauracchio nucleare per spingere la NATO a non reagire.
Chiaramente potrebbe essere tutto un esercizio di disinformazione, sebbene nella storia russo-sovietica le fratture nell’ambito dei servizi segreti non siano una novità. Basti pensare alla crisi di Cuba del 1962, con la diatriba fra KGB e GRU e il mistero delle lettere di Krushev a Kennedy che parevano scritte da persone diverse. Certo è che, per mantenere canali aperti, occorre che anche la stampa occidentale rimanga presente in Russia, nonostante le leggi marziali appena varate nel campo dell’informazione.
Il viceministro degli Esteri russo Sergey Ryabkov ha rigettato le accuse di voler cacciare i giornalisti stranieri: “Noi non stiamo cacciando nessuno. Quelli del New York Times hanno lasciato di loro volontà”. Molti giornali e tv occidentali hanno voluto ritirare i loro corrispondenti in Russia in polemica col torchio sulle informazioni.
Ma per Ryabkov sarebbe l’Occidente a voler imporre una informazione a senso unico: “Stanno tagliando i canali, sigillandoli, per impedire a chiunque di ascoltare un punto di vista che differisca dal loro. Si sono convinti che sia il solo possibile modo. Privare gli altri di risorse informative e della possibilità di trarre proprie conclusioni”. Col rischio di non capire esattamente come la pensa la controparte e quindi interpretarne in maniera sbagliata, forse disastrosa, parole e segnali.
Foto: NATO, Difesa.it, ISW, Twitter, Stars and Stripes, Min. Difesa Russo, Min. Difesa Ucraino