I carri armati pesanti: l’M103
L’M103 fu l’ultimo carro armato pesante di produzione statunitense, sviluppato negli anni Cinquanta e rimasto in servizio fino alla metà degli anni Settanta. Nacque in un periodo particolare della Guerra fredda, quando negli Stati Uniti si temeva che i carri armati sovietici – in particolare le nuove versioni dei T-10 e dei T-54/55 – potessero sopraffare i mezzi occidentali per potenza di fuoco e capacità di penetrazione.
Il progetto fu portato avanti dalla Chrysler, con l’obiettivo di realizzare un carro dotato di un cannone di grosso calibro capace di perforare le corazze più spesse. La produzione iniziò nel 1953 e complessivamente furono realizzati poco più di 300 esemplari. Lo U.S. Army ricevette inizialmente circa 80 carri, ma già nei primi anni Sessanta li ritirò dal servizio per i problemi meccanici e logistici. Fu invece il corpo dei Marines a impiegarlo più a lungo, fino al 1974, ricorrendo a diverse versioni modernizzate.
Il cuore dell’M103 era il cannone rigato da 120 mm M58, direttamente derivato dal 120 mm gun M1 contraereo. Quest’ultimo, impiegato come arma antiaerea statica tra il 1944 e il 1960, venne adattato per l’uso su carri pesanti nella forma dei prototipi T53 e T122, fino ad arrivare al T123 che, con una canna sostituibile rapidamente e una maggiore pressione interna, fu standardizzato come “M58”. Quest’arma garantiva al carro la capacità di infliggere seri danni ai corazzati nemici a lunga distanza. A completare l’armamento vi erano due mitragliatrici Browning M1919 da 7,62 mm – una coassiale e una montata sullo scafo – e una mitragliatrice Browning M2HB da 12,7 mm, impiegata sia contro la fanteria che come arma antiaerea.

Dal punto di vista della protezione, il mezzo disponeva di una corazza molto spessa, che variava da 127 a 254 mm. Questo lo rendeva resistente alla maggior parte dei proiettili ad alta velocità disponibili all’epoca, ma il peso complessivo di 65 tonnellate penalizzava pesantemente la mobilità. La lunghezza complessiva, con cannone incluso, era di oltre 11 metri, la larghezza 3,71 e l’altezza 3,20: dimensioni imponenti che rendevano il carro difficile da trasportare e da manovrare in spazi ristretti.
Il motore inizialmente adottato era un Continental AV-1790 a benzina, abbinato a una trasmissione Allison CD-850. Nelle versioni successive (M103A2) fu installato un più moderno propulsore diesel AVDS-1790-2A, che garantiva maggiore affidabilità e consumi ridotti. Nonostante ciò, la velocità massima non superava i 34 km/h e l’autonomia rimaneva limitata. Spesso i Marines lamentarono problemi al sistema di raffreddamento e alla trasmissione, che costringevano a frequenti interventi di manutenzione e riducevano l’efficienza operativa.
L’equipaggio era composto da cinque uomini: il comandante, il cannoniere, il pilota, il servente e il caricatore. Il lavoro a bordo richiedeva notevole coordinamento, soprattutto per manovrare il pesante proiettile da 120 mm, che rendeva le operazioni di ricarica lente e faticose.

Dal punto di vista dottrinale, l’M103 rappresentò un anello di congiunzione tra i vecchi carri “pesanti” della Seconda guerra mondiale – come il Tiger II tedesco o lo stesso M26 Pershing americano – e i carri da battaglia principali (MBT) che si affermarono negli anni Sessanta. Con l’introduzione del concetto di MBT, incarnato in Occidente dall’M60 statunitense e dal Leopard 1 tedesco, la distinzione fra carri medi e pesanti scomparve, rendendo il mastodontico M103 rapidamente superato.
Nonostante la sua imponente presenza, l’M103 non venne mai impiegato in combattimento. Rimase un “carro da deterrenza”, concepito per contrastare minacce che non si materializzarono mai sul campo. La sua eredità, tuttavia, fu significativa: servì come banco di prova per sistemi di tiro, corazzature e motori che confluirono nei mezzi successivi, e rappresentò uno dei simboli del periodo in cui la corsa agli armamenti spingeva le superpotenze a sperimentare soluzioni estreme.
Foto: web / USMC
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