I raid aerei fantasma alzano la tensione in Libia
Un raid aereo molto preciso e altrettanto potente ha colpito domenica la base aerea di al-Watya, nella Tripolitania Occidentale, strappata nel maggio scorso al controllo delle forze di Haftar e occupata dalle milizie del governo di accordo nazionale (GNA) di Tripoli affiancate dai militari turchi.
Anzi, proprio su questo aeroporto militare la presenza turca si è intensificata con droni e sistemi di difesa aerea e si infittiscono le voci che al-Watya diventi presto una base permanente delle forze aeree turche in Libia con la possibilità di renderla utilizzabile anche alle forze statunitensi dell’Africa Command.
Il raid avrebbe “distrutto la sala operativa dei militari turchi in Libia” causando la morte “di sei ufficiali turchi, tra cui un comandante” ha riferito il sito web “Libya Akbhar”, considerato vicino all’Esercito nazionale libico (LNA) del generale Haftar e che ha riferito di ben 9 ordigni che avrebbero colpito la base.
Una fonte militare del GNA ha riferito invece all’agenzia di stampa turca Anadolu che il raid è stato effettuato da aerei sconosciuti. La fonte anonima ha affermato “che gli attacchi hanno preso di mira l’equipaggiamento all’interno della base, incluso un sistema di difesa aerea e non sono state riportate vittime”.
Media libici hanno attribuito l’attacco alle forze di Haftar riferendo l’uccisione di militari turchi e la distruzione di una batteria di missili da difesa aerea Hawk XXI, sistemu radar e di guerra elettronica. Difficile però ritenere che i vecchi Mig di Haftar abbiano potuto colpire così duramente al-Watya, bersagliata quanto pare da ordigni guidati dicui le forze aeree delle fazioni libiche sono prive.
Per questo è possibile attribuire il raid ai Mig 29 (nella foto d’apertura) e Sukhoi 24 privi di insegne ma inviati dai russi nella base di al-Jufra, nella Libia centro-settentrionale. Lo stesso sito libico ipotizza invece che i raid sino opera di velivoli militari francesi decollati dal Mali, ipotesi che marcherebbe una robusta escalation nel confronto in atto in Libia tra Turchia e Francia e che coinvolge anche la NATO.
Secondo altre ipotesi i responsabili del raid sarebbero gli Emirati Arabi Uniti, sponsor di Haftar e che schierano 6 cacciabombardieri Mirage 2000 nella base aerea egiziana di Sidi el-Barrani, non lontano dal confine libico.
Molto probabile quindi che il raid aereo, condotto da alta quota con bombe o missili di precisione e probabilmente impiegando contromisure elettroniche che hanno neutralizzato le difese radar e missilistiche turche, sia stato un avvertimento rivolto ad Ankara dai paesi più ostili alla presenza turca in Libia, tra i quali certamente vi sono Emirati Arabi Uniti, Egitto e Francia.
Domenica le forze aeree di Haftar e dei suoi alleati hanno preso di mira anche un convoglio di sette veicoli militari appartenenti a una milizia libica filo-turca, vicino a Sebha, non lontano dalla base aerea dell’LNA di di Brak al-Shati, nel sud desertico.
I due raid aerei sono avvenuti a poche ore di distanza dalla visita ufficiale a Tripoli del ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, accompagnato dal capo di Stato maggiore di Ankara, Yasar Guler. Una visita che ha visto la firma di un patto militare ancora più saldo tra i due paesi, considerato da molti paesi arabi un simbolo de dominio turco su Tripoli.
La risposta di Ankara all’attacco alla sua base non si è fatta attendere. Il 6 luglio la presidenza turca ha reso noto che la base aerea di al-Jufra, utilizzata dai velivoli inviati da Mosca, è il nuovo obiettivo militare delle forze di Tripoli e dei combattenti guidati dai turchi.
Nel messaggio attribuibile allo staff di Recep Tayyp Erdogan si legge che la base “è stata designata come nuovo obiettivo militare insieme alla città di Sirte dopo la pulizia di Tripoli e dintorni dagli elementi golpisti di Haftar”.
La direzione per le comunicazioni della presidenza turca ha aggiunto che la base militare è necessaria per controllare i flussi di petrolio libici ed è stata utilizzata anche per il dispiegamento di mercenari legati al Cremlino e di caccia provenienti dalla Russia a sostegno di Haftar. A giugno, il presidente dell’Egitto, Abdelfattah al Sisi, ha definito la base di Al Jufra e Sirte come “linee rosse” la cui violazione potrebbe condurre Il Cairo a intervenire militarmente in Libia.
Il giorno successivo l’emittente “Libya al Ahrar” con sede in Turchia e vicina al GNA ha riferito di un presunto raid aereo condotto da droni turchi su un obiettivo vicino alla base aerea di Al Jufra (nella foto sotto), una batteria di difesa aerea Pantsir. Secondo “Libya Ahrar”, il raid ha colpito la zona di Sukna che si trova vicino alla base aerea distruggendo un sistema di difesa aerea Pantsir (neklla foto sopra) di fabbricazione russa. Altre fonti locali parlano anche della morte di tre uomini del personale della compagnia russa Wagner e di altri sette feriti tra le persone che si trovavano vicino al sistema antiaereo.
Una fonte militare del GNA a Tripoli ha smentito l’attacco all’emittente satellitare “Al Jazeera”. La notizia è stata smentita anche dall’LNA attraverso i canali dell’emittente panaraba “Al Arabiya” con sede a Dubai e di proprietà saudita.
A questi segnali di guerra allargata va aggiunto il potenziamento della presenza militare turca in Tripolitania con ulteriori armamenti e mercenari siriani (oltre 15mila già sbarcati a Tripoli e Misurata) e alcune centinaia di yemeniti, appartenenti alle milizie del partito islamista Islah, legato al movimento della Fratellanza Musulmana. Alcuni combattenti yemeniti sarebbero stati catturati dalle forze di Haftar.
Secondo i dati forniti dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione non governativa con sede a Londra, la Turchia ha inviato in Libia 15.300 mercenari siriani dei quali 459 sarebbero rimasti uccisi in combattimento contro l’LNA di Haftar, 5.250 sarebbero già tornati in Siria (tra questi probabilmente anche un buon numero di feriti) mentre altri 400 mercenari jihadisti avrebbero usato la Libia come piattaforma per raggiungere illegalmente l’Europa attraverso l’Italia seguendo le rotte dell’immigrazione clandestina.
Un allarme che era stato lanciato nei mesi scorsi anche dal generale Haftar ma che non ha provocato reazioni ufficiali a Roma.
Foto Twitter, LNA e CSIS/Africa Command