I talebani prendono Ghanzi e (forse) Kandahar. Kabul, abbandonata da USA e NATO, prova a resistere
Continua l’avanzata dei talebani in Afghanistan mentre le truppe degli Usa e della Nato hanno di fatto completato il ritiro dal Paese.
Oggi hanno annunciato la “completa conquista di Kandahar” come ha rivelato su twitter il portavoce talebano Zabihullah Mujaid pubblicando un video in cui si vedono alcuni uomini camminare in strade deserte, ai cui lati tutte le serrande dei negozi sono chiuse, e utilizzare una radio ricetrasmittente.
La notizia è da confermare, come quella della caduta di Herat dove i talebani sostengono di aver conquistato il quartier generale della polizia e di Laskar Gah (dove gli insorti avrebbero preso la prigione liberando i carcerati), mentre è invece certo che ieri i miliziani hanno espugnato la città di Ghanzi, a circa 150 chilometri a Kabul, decimo capoluogo di provincia (su 34) a passare sotto il controllo dei talebani in una settimana.
La vicenda conferma il rapido sbandamento delle strutture istituzionali e militari del governo di Kabul: dopo la resa di centinaia di militari rimasti isolati all’aeroporto di Kunduz, anche la caduta di Ghanzi è avvenuta quasi senza che i governativi opponessero resistenza.
La caduta di Ghazni
Nella città, capoluogo dell’omonima provincia, i talebani hanno assunto il controllo dei più importanti edifici governativi, compreso l’ufficio del governatore e il quartier generale della polizia. Gli insorti hanno inoltre fatto irruzione nel carcere provinciale, secondo quanto riferiscono i due consiglieri locali Nasir Ahmad Faqiri e Amanullah Kamran, che accusano il governatore di avere stretto un patto con i talebani, per consegnare loro la città. Secondo il resoconto dei due consiglieri, solamente un piccolo gruppo di forze governative, a guardia degli uffici dell’intelligence (NDS), ha opposto resistenza ai miliziani talebani.
Va però ricordato che gli uomini del Direttorato Nazionale dell’Intelligence raramente vengono presi prigionieri dai talebani che solitamente li passano per le armi.
Il governatore, Mohammad Dawood Laghmani, è stato arrestato oggi dalle forze della sicurezza afghana dopo la sua fuga da Ghazni. Lo ha reso noto il portavoce del ministero degli Interni di Kabul, Mirwais Stanekzai, spiegando che insieme al governatore sono stati arrestati il suo vice, il responsabile del suo ufficio e alcuni membri del suo entourage nella provincia di Maidan Wardak. Una fonte della sicurezza, che ha chiesto di restare anonima, ha detto al quotidiano Etilaat roz che il governatore e i suoi collaboratori sono detenuti a Maidan Shahr, capoluogo della provincia di Maidan Wardak.. Il portavoce dei Talebani Zabihullah Mujahid ha spiegato che nell’accordo era stato concesso al governatore di recarsi a Kabul.
La caduta di Ghazni, che si trova lungo la ring road tra Kabul e Kandahar e collega la capitale alle province meridionali, complica sul piano strategico la situazione nelle due grandi città del sud sotto assedio talebano: Kandahar e Laskar Gah, ormai tagliate fuori da ogni collegamento terrestre con la capitale e che secondo fonti talebane delle ultime ore sarebbero cadute nel pomeriggio del 12 agosto.
Un disastro militare che ha indotto il presidente Ashraf Ghani a sostituire col generale Hibatullah Alizai il capo di stato maggiore dell’esercito, generale. Wali Ahmadzai, già comandante del 205° Corpo schierato nella provincia di Helmand (nella foto sopra).
L’esercito resiste nell’Ovest
Segnali più incoraggianti erano giunti ieri dall’ovest dove sei attacchi talebani contro la città di Herat sono stati respinti la scorsa notte, così come contro Qal-e-Naw, capoluogo della provincia di Badghis: due aree dove il contingente italiano ha co battuto dal 2007 sanguinose battaglie. Il governatore della provincia di Herat, Abdul Saboor Qoni, citato da Tolo Tv, ha riferito che i talebani hanno attaccato la città da quattro direzioni, ma hanno trovato “una risposta enorme” delle forze di sicurezza.
“Almeno 30 talebani sono stati uccisi e altre decine sono stati feriti. L’Aeronautica ha dato sostegno alle truppe locali nei combattimenti” contro i miliziani, nel corso dei quali è rimasto ucciso anche un soldato e altri quattro sono stati feriti”.
Nella notte le forze di sicurezza afghane hanno respinto anche una serie di attacchi contro Qala-e-Naw. Il governatore della provincia, Hasamuddin Shams, ha riferito che negli scontri sono morti “almeno 60 talebani, tra cui 4 comandanti, e altri 50 sono rimasti feriti. I combattimenti continuano ancora in alcune zone alla periferia della città ma le forze governative hanno il controllo della situazione”.
Successi tattici rilevanti ma che non cambiano lo stato di assedio a cui sono sottoposte le due città.
Il pessimismo di Washington
Al di là delle chiacchiere, gli Stati Uniti e la NATO hanno completamente abbandonato l’Afghanistan a sé stesso come confermano dichiarazioni ufficiali e indiscrezioni.
“Non rimpiango la decisione di ritirare le nostre truppe dall’Afghanistan. I leader afghani devono ora mettersi insieme e lottare per sè stessi e per il loro Paese” ha detto il presidente statunitense Joe Biden mentre circolano sempre più insistentemente le voci della chiusura dell’ambasciata americana a Kabul entro fine agosto abbinate con le valutazioni dell’intelligence statunitense che prevedono la caduta di Kabul entro 30/90 giorni.
La portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, ha aggiunto che l’esercito afghano “ha tutto quello che serve” per rispondere all’offensiva dei talebani: “il nostro punto di vista è che le forze di difesa hanno l’equipaggiamento, i numeri e l’addestramento per reagire” agli attacchi.
Dichiarazione infelice e inattendibile a giudicare da molti rapporti che giungono dai campi di battaglia.
Certo gli USA confermano che continueranno ad aiutare il governo e l’esercito afghano e ammoniscono i talebani per indurli al dialogo con Kabul ma si tratta evidentemente di affermazioni prive di significato. Più o memo come quelle che giungono dall’Europa dove il segretario generale della Farnesina Ettore Sequi, non accetterà “in termini di riconoscimento di eventuali nuovi regimi, una presa di potere violenta” e “non sarà riconosciuto un eventuale altro nuovo emirato”. O del ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, che ha avvertito che la Germania è pronta a ritirare gli aiuti al Paese, stimati intorno a 430 milioni di euro l’anno, se i talebani prendessero il potere con la forza e imponessero un’interpretazione rigorosa della legge islamica che limita fortemente i diritti. Dichiarazioni diplomatiche certo dovute ma ininfluenti sugli eventi afghani.
Difesa a oltranza e poteri condivisi: le due strade di Ghanì
Il presidente Ashraf Ghanì è consapevole della sua solitudine e che dall’Occidente non potrà ricevere nessun soccorso concreto e immediato. Per questo sembra muoversi in due direzioni contemporaneamente.
Sul piano militare il presidente è volato l’11 agosto a Mazar-i-Sharif, città a nord del paese, per accordarsi con i capi locali, in particolare, ha incontrato il capo uzbeko Abdul Rashid Dostum e il capo tagiko Atta Mohammad Noor e mettere a punto la costituzione di milizie popolari con cui affiancare l’esercito e la polizia e contrastare i talebani che stanno dilagando nelle regioni del nord a maggioranza etnica tagika e uzbeka.
“I Talebani sono venuti nel nord diverse volte, ma sono sempre rimasti intrappolati” ha detto l’ex vice presidente afghano Abdul Rashid Dostum, ex signore della guerra uzbeko, rientrato da pochi giorni in Afghanistan dalla Turchia. Un ottimismo che al momento non trova riscontri sul campo di battaglia.
Il ministro degli interni di Kabul, il generale Abdul Sattar Mirzakwal, ha illustrato il piano per armare milizie locali per respingere l’offensiva talebana.
“Stiamo lavorando su tre fasi”, ha detto il ministro in una intervista ad Al Jazeera. “Il primo è fermare le sconfitte, il secondo è riunire le nostre forze per creare anelli di sicurezza intorno alle città”. Il terzo è “iniziare le operazioni offensive. Al momento, stiamo passando alla seconda fase. Tutti quei soldati che hanno abbandonato le loro postazioni, li stiamo riportando al loro posto”, ha detto il ministro, secondo il quale le forze afgane si stanno anche concentrando sull’obiettivo di proteggere le autostrade principali, le grandi città e i valichi di frontiera, dopo che i talebani hanno sequestrato nove capoluoghi di provincia in meno di una settimana.
Sul piano politico invece il governo di Kabul ha proposto ai talebani una condivisione di poteri in cambio della cessazione immediata delle violenze, come hanno riferito fonti governative all’emittente 1Tv.
Difficile dire quanto questa offerta sia strutturata o costituisca solo un tentativo di guadagnare tempo. Del resto, se è lecito nutrire dubbi circa le possibilità che si concretizzi a breve termine un vasto contrattacco militare governativo è altrettanto difficile credere che i talebani abbiano oggi interesse a negoziare con Kabul una difficile condivisione del potere. Specie se dovessero rivelarsi fondate le informazioni intorno alle quali l’intelligence statunitense ha elaborato un rapporto che non accredita più di un mese di sopravvivenza al governo afghano.
La disperazione dei collaboratori afghani della NATO
“L’avanzata repentina dei talebani in Afghanistan impone di agire in fretta. Gli interpreti locali che per venti anni ci hanno aiutato rischiano di morire in balia dei terroristi. Devono essere portati in Italia subito”.
A lanciare l’appello all’agenzia Adnkronos per evacuare al più presto gli afghani che hanno collaborato con il contingente militare in Afghanistan e i loro famigliari per un rientro di massa urgente dei collaboratori Nato è il generale Giorgio Battisti (nella foto sotto in Afghanistan).
L’ufficiale italiano, oggi apprezzato opinionista di Analisi Difesa ma che in Afghanistan ha ricoperto diversi incarichi di comando fino a divenire vice comandante delle forze alleate, ricorda che “i primi 225 afghani sono già arrivati da oltre un mese ma c’è un’altra aliquota di oltre 300 persone che deve essere recuperata”.
Occorre farlo in fretta perché “la repentina avanzata dei talebani che hanno già conquistato cinque città, fa sì che alcuni di questi, all’interno di queste città controllate dai talebani, non possono uscire. E’ una corsa contro il tempo, spero che le nostre istituzioni preposte a recuperali siano consapevoli che qualsiasi piano è stato stravolto da questa rapida avanzata talebana. Bisogna muoversi presto, dare certezze a queste famiglie, farle venire in Italia perché rischiano di essere ammazzati tutti”.
Come annunciato dal Ministro della Difesa Lorenzo Guerini, nel corso della cerimonia di ammaina bandiera ad Herat, infatti, per una parte degli interpreti afghani sarebbero state necessarie ulteriori verifiche prima di accordare un loro trasferimento in Italia, contestualmente al rientro del contingente militare.
Questo per accertare che non siano doppiogiochisti, cioè collusi coi talebani o con organizzazioni criminali. Le truppe italiane hanno lasciato definitivamente l’Afghanistan da oltre un mese e oggi la gestione delle operazioni di evacuazione dei nostri collaboratori è gestita dall’ambasciata italiana a Kabul che ha ricevuto personale aggiuntivo di rinforzo per sveltire le pratiche.
“E’ chiaro che su 300 persone qualcuno può non aver avuto un profilo pulito – conferma il generale – Tuttavia non possiamo tenere bloccate centinaia di collaboratori fidati, amici ormai, persone che ci hanno aiutato, in un Paese dove rischiano di venire uccisi. E’ gente che conosciamo, che ha prestato servizio come interprete o che ha gestito negozietti all’interno delle basi, e il cui profilo sicurezza è già stato verificato. Basta chiedere ai comandi militari che si sono alternati nelle basi, sicuramente avranno file o database che li riguardano”.
Battisti, che ha ricoperto importanti incarichi anche in ambito NATO, non risparmia critiche all’apparato burocratico messo in piedi per gestire l’evacuazione degli afghani che hanno collaborato con l’Italia.
“Non capisco l’esigenza di valutare il loro livello sicurezza quando poi centinaia di migranti arrivano sulle nostre coste senza alcun controllo preventivo. Portiamoli via prima che li sgozzino, poi li controlliamo in Italia. Quanti delinquenti, quanti terroristi, come quello del mercatino a Berlino, arrivano dal mare? Gli interpreti che stiamo lasciando in balia di una guerra civile dove la resa è fatale, almeno li conosciamo. Dietro di loro ci sono famiglie che ci hanno aiutato per 20 anni. Dietro agli immigrati non abbiamo idea di chi ci sia, eppure entrano in massa ogni giorno”.
Il problema non riguarda solo i collaboratori degli italiani ma di tutti i contingenti alleati: I tedeschi hanno già portato via i loro interpreti mentre britannici e statunitensi hanno ancora migliaia di persone a rischio di rappresaglia talebana presenti in Afghanistan.
I parlamentari danesi hanno autorizzato oggi l’evacuazione di 45 cittadini afghani che lavoravano per il governo offrendo loro la residenza in Danimarca per due anni. Il piano approvato mercoledì si applica alle persone che hanno lavorato presso l’ambasciata danese a Kabul e come interpreti per le truppe danesi. La Danimarca, come altre nazioni occidentali, ha recentemente ritirato le sue truppe dall’Afghanistan.
Il governo spagnolo sta lavorando all’evacuazione dei suoi collaboratori afghani presenti soprattutto nelle province occidentali di Herat e Badghis, teatro dei duri scontri degli ultimi giorni. Il ministero degli Esteri ha reso noto che stanno “chiudendo i dettagli dell’operazione” affinchè “il piano di evacuazione in Spagna possa essere eseguito quanto prima”, ma anche per salvare questi afghani dalle rappresaglie talebane la corsa è contro il tempo
“Il ritiro repentino e senza condizioni delle truppe alleate ha sparigliato tutti i piani di recupero: adesso si tratta di fare presto e mandare aerei charter dedicati per portare via gli interpreti, poi si verificherà il loro profilo. Bisogna accettare questo margine di tolleranza e controllarli dopo”, ha aggiunto Battisti.
Il 6 agosto il Ministero della Difesa ha confermato che sono pienamente in corso da giorni le attività per il recupero di ulteriori 391 afghani di cui sono stati verificati i requisiti di legge per entrare nel programma di protezione e accoglienza.
Con l’operazione Aquila 1 dello scorso giugno in 228 sono stati inseriti nel programma. Con l’operazione Aquila 2, è stato predisposto, ed è già operativo, un team rinforzato presso l’Ambasciata di Kabul dedicato ad agevolare le operazioni di recupero, di identificazione, rilascio visti e passaporti, in collaborazione con il governo afghano, per il successivo arrivo in Italia, in sicurezza, di ulteriori 391 afghani ma le condizioni sul terreno vanno deteriorandosi e, ad esempio, non consentono più il pieno utilizzo dell’aeroporto di Herat, dove sono concentrati molti collaboratori del contingente italiano.
La città è di fatto circondata dai talebani che tengono sotto tiro con razzi e mortai la pista dell’aeroporto. Il Covi – Comando Operativo di Vertice Interforze – è al lavoro per accelerare le procedure e garantire il rientro presumibilmente entro la fine del mese. Sempre che Herat non cada prima in mani talebane.
Foto: Defence News, Tolo News, Esercito Afghano, Emirato dell’Afghanistan, US DoD e ISAF