Comando, funzioni e qualità
Ecco come secondo Polibio dovevano essere i centurioni all’epoca della seconda guerra punica.
Ogni centurione comandava l’unità di base della legione, la centuria (gruppo di uomini che andava da 80 a 100 e fino a 160 in alcuni casi, anche se in alcune fonti si racconta di centurie di 300 unità). Le centurie erano associate per tradizione a due a due per formare i manipoli, in ognuno dei quali i due centurioni erano detti prior e posterior. Secondo quanto racconta Polibio sembra che questo corrispondesse anche ad una precedenza nel comando, sulla base dello schieramento di fronte al nemico (prima o seconda fila). Il centurione posterior poteva, inoltre, sostituire il prior in caso di necessità.
E sempre con riferimento al manipolo, quando erano presenti entrambi i centurioni, quello che era stato eletto per primo comandava la parte destra del manipolo, mentre il secondo comandava la parte sinistra. Se invece non erano presenti entrambi, il solo rimasto era a capo dell’intero manipolo.
Il grado più elevato fra i centurioni di una legione era tenuto dal centurione del primo manipolo della prima coorte, che era detto primus pilus (il termine pilus non ha nulla a che fare con la lancia o con il pilum, il giavellotto romano). Il primus pilus era l’unico dei centurioni ad accedere al gabinetto di guerra di una legione e per questo potremmo dire che è l’unico ruolo assimilabile al concetto moderno di ufficiale.
Secondo invece quanto racconta Polibio, al tempo della seconda guerra punica, il centurione che era stato scelto per primo, per ciascuna delle prime tre classi, entrava a far parte del consiglio militare.
In questa sezione elenchiamo i diversi gradi dei centurioni. Questo schema illustra quella che poteva essere l’organizzazione tattica delle varie centurie e delle varie coorti, riferite ai primi secoli dell’Impero romano, a partire dalla riforma augustea dell’esercito romano. Un aspetto molto interessante, che si evidenzia dalla lettura di questa lista, è che restano validi alcuni termini, come princeps e hastatus che in epoca repubblicana indicavano precisamente i tre ordini della struttura manipolare, ma soprattutto la disposizione in triplex acies delle schiere durante la battaglia. Si cominciava così dal Decimus hastatus posterior (l’ultimo in graduatoria), fino al Primus pilus prior (il più alto in grado tra i centurioni, all’interno della stessa legione romana). Il livello successivo a cui poteva aspirare, dopo che era congedato e ammesso all’ordine equestre, era quello di praefectus castrorum.
Gesù e il centurione romano
Il Vangelo ci ricorda tanti momenti in cui Gesù incontra le persone; tre evangelisti su quattro – Matteo, Luca e Giovanni –, ci ricordano Gesù e il centurione di Cafarnao.
Due evangelisti, Matteo e Luca, ci presentano questo centurione, un pagano, un militare che apparteneva all’esercito romano che occupava la Palestina; probabilmente era un proselito o, quanto meno, un simpatizzante della fede ebraica, ma è ancora considerato dagli ebrei un impuro, lontano da Dio; uno da non incontrare, con cui non avere nulla a che fare.
Per il Vangelo secondo Giovanni si tratta invece di un funzionario del re, che si reca da Cafarnao, dove abitava, fino a Cana, dove invece si trovava Gesù in quel momento.
Se il centurione, secondo Matteo e Luca, va da Gesù per chiedere la guarigione del servo a cui era particolarmente affezionato, questo funzionario del re, di cui scrive san Giovanni, invece, va da Gesù a chiedere la guarigione del figlio che è addirittura in pericolo di morte.
C’è ancora una piccola differenza; mentre Matteo ci dice che è lo stesso centurione che si rivolge a Gesù, che parla con lui direttamente e che chiede il dono della guarigione per il suo servo, per l’evangelista Luca sono alcuni anziani dei giudei che vanno da Gesù e si fanno intercessori, chiedendo a Gesù che si prenda a cuore la richiesta di quell’uomo che era stato generoso con loro perché li aveva aiutati nell’allestire la sinagoga di Cafarnao.
Una cosa che accomuna tutti e tre i racconti è che in questo miracolo che Gesù compie c’è una distanza tra Gesù e il miracolato. Gesù non tocca quel servo, Gesù non va a toccare quel figlio, non si reca da quel malato, ma è la sua Parola a guarire quel malato. Così in tutti e tre i racconti l’attenzione è proprio sulla fede di quell’uomo che si reca da Gesù; una fede che riguarda un uomo semplice, ma fiducioso.
Matteo e Luca ci riportano le parole di quel centurione che non si ritiene degno di ricevere la visita di Gesù, ma nello stesso tempo, quel centurione riconosce la potenza di Gesù sul male. “Signore, non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito” (Lc 7,7). Con quelle parole il centurione riconosce che il male è sottomesso al potere di Gesù e che il male può soltanto obbedire a una Parola forte che libera e che dà salvezza. Il centurione non ha bisogno di vedere, non ha bisogno di toccare, si fida.
Anche Giovanni sottolinea la fede di quell’uomo, il funzionario del re, una fede messa alla prova da Gesù, perché Gesù sembra rispondere duramente alla richiesta di aiuto, ma il funzionario del re insiste e chiede che Gesù possa scendere a casa sua, possa scendere a Cana fino a Cafarnao, dalla collina verso il mare, per guarire il figlio.
Di fronte a tanta insistenza, Gesù invita quell’uomo a partire:“Va’, tuo figlio vive”, ed è quello il momento della guarigione, anche se quel padre lo scoprirà solo il giorno dopo mentre è ancora in cammino verso casa.Possiamo immaginare come quel cammino sia stato un viaggio tormentato dalla paura di aver sbagliato a fidarsi, dal dubbio di aver fatto inutilmente tutta quella strada.
Che cosa ci dice, allora, l’incontro tra questo uomo e Gesù? Ci dice che è l’incontro tra chi attende un dono e un Dio che ci indica che nella fede in lui possiamo scoprire l’unico dono che guarisce e che salva.
Quando crediamo, siamo guariti e siamo salvi;è l’incontro tra chi è lontano e quasi si sente indegno di avvicinarsi a Gesù, ma scopre un Dio che vince ogni distanza, perché è un Dio che si è fatto vicino, è un Dio che con il dono della sua Parola viene ad abitare in ogni cuore, anche nei cuori più lontani, anche nel cuore di un pagano.
È l’incontro tra chi parte dal suo bisogno e incontra un Dio che lo invita a ritornare a casa, che lo invita a scoprire lungo la strada che davvero non siamo soli e che possiamo fidarci di lui, anche quando non lovediamo. «Va’, e sia fatto secondo la tua fede» (Mt 8,13). Queste sono le parole che l’evangelista Matteo ci riporta con le quali Gesù accoglie la fede di quel centurione e guarisce il suo servo sofferente.Avvenga per te come hai creduto, non come hai chiesto, non come hai desiderato, ma come hai creduto.Sono parole che possiamo sentire rivolte a ciascuno di noi nel cammino della nostra vita, oggi e sempre.
Come ci dice l’evangelista Luca possiamo, allora, anche noi farci intercessori gli uni per gli altri come quei giudei che vanno a supplicare Gesù, facendosi intercessori della fede, di chi abbiamo vicino e non tanto per ciò di cui abbiamo bisogno.Che bello sarebbe pregare il Signore dicendo: guarda che chi è accanto a me crede e ha bisogno di te.
Il Signore possa guarire gli occhi della nostra fede perché possiamo, non cercare segni e prodigi, come Gesù rimprovera nel Vangelo secondo Giovanni, ma possiamo ascoltare la Parola che ci salva e accogliere Colui che è venuto, che viene e che verrà ad abitare nel nostro cuore, nella nostra vita, nelle nostre sofferenze e fatiche e fidarci di lui.
Le parole del centurione sono le parole della fede, sono le parole con le quali noi preghiamo ogni volta che accogliamo quel dono che il Signore rinnova per noi nel suo corpo, pane spezzato e pane di vita eterna.
Preghiamo quindi con fede: “Dì soltanto una parola, Signore, e io sarò guarito”.
La storia di un’arma considerata potentissima: la lancia del centurione romano Cassio Longino
Ѐ stata considerata l’arma più potente della storia, la reliquia religiosa più affascinante e l’oggetto di culto più ambito per secoli.
La lancia di Longino è solo apparentemente una lama lunga poco più di 50 centimetri. In quel metallo è custodita una leggenda che ancora oggi fa parlare di sé. Una storia che inizia dalla Crocifissione. Gesù Cristo è stato da poco issato sulla croce quando il suo corpo viene ulteriormente oltraggiato da un centurione romano, Cassio Longino. Il soldato con una lancia colpisce il costato di Cristo e lo trafigge. Da quel momento quell’arma assume per noi cristiani un valore particolare, perché entrata in contatto con il sangue di Gesù.
Nel corso dei secoli il fascino di questa reliquia è notevolmente aumentato. Tutti la desideravano, convinti del suo potere, convinti che possederla significasse diventare invincibili. Passò di mano in mano tra gli imperatori romani: Massimiano, Costanzo Cloro, Costantino e Teodosio. Poi la lancia passò a Carlo Martello, re dei Franchi tra il VII e l’VIII secolo, al nipote ben più famoso Carlo Magno fino all’imperatore del Sacro Romano Impero Ottone I il Grande. Da allora la lancia rimase in mano tedesca fino a Federico Barbarossa (XII secolo) per poi passare alla famiglia austriaca degli Asburgo che la collocò nel palazzo Hofburg di Vienna.
Lì rimase fino al 1938 quando un altro uomo decise di prendere la lancia con sé, affascinato, ancora una volta, dal suo potere: Adolf Hitler. Il dittatore tedesco rimase molto colpito da quell’oggetto nel 1909 quando ancora ventenne visitò il palazzo Hofburg. La sua attenzione venne attirata dalla lancia di Longino che da quel momento divenne per lui un pensiero fisso. Solo con l’annessione dell’Austria alla Germania, nel 1938, Hitler poté finalmente entrare in possesso di quell’arma considerata così poderosa da trasformarlo nell’uomo più potente del mondo. Da quel momento venne nascosta a Norimberga e lì rimase per qualche anno, prima che anche gli Alleati capissero l’importanza di entrarne in possesso.
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