Il punto sulla revisione del modello delle Forze Armate italiane
Sono passati appena pochi mesi fa da quando Analisi Difesa si è occupata in maniera diffusa della proposta di Legge in discussione alla Camera dei Deputati in materia di: «Disposizioni di revisione del modello di Forze Armate interamente professionali, di proroga del termine per la riduzione delle dotazioni dell’Esercito italiano, della Marina militare, escluso il Corpo delle capitanerie di porto, e dell’Aeronautica militare, nonché in materia di avanzamento degli ufficiali. Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale».
Tale proposta di Legge (presentata di fronte all’Assemblea il 10 gennaio scorso, dopo essere stata approvata dalla Commissione Difesa il 28 dicembre 2021) nel frattempo era poi rimasta bloccata presso la Commissione Bilancio.
Per un motivo tanto semplice quanto fondamentale: per come era stata presentata, essa mancava infatti delle adeguate indicazioni sugli impatti economici che avrebbe prodotto, cioè i nuovi e/o maggiori costi a carico del bilancio dello Stato. A tale scopo, la suddetta Commissione chiese al Ministero della Difesa di predisporre una apposita relazione tecnica.
Quest’ultima venne così elaborata per essere poi posta al vaglio del Ministero della Economia e delle Finanze, quest’ultimo, attraverso la Ragioneria Generale dello Stato, presentò così una propria “Nota” nella quale esprimeva un giudizio sostanzialmente negativo sul provvedimento in esame.
Sia perché alcuni dei costi in essa quantificati non erano comunque aggiornati (quindi corretti), sia perché altri erano completamente assenti. Una sorta di bocciatura che però andava oltre i meri aspetti contabili (comunque cruciali), entrando di fatto nel merito della parte relativa alla delega con riferimento ai diversi contingenti aggiuntivi da essa contemplati.
Contestando cioè che il soprannumero all’organico delle Forze Armate fosse un istituto connesso a una contingenza eccezionale, quindi per sua natura transitoria.
Tale condizione finiva perciò con il confliggere con la previsione di un contingente aggiuntivo strutturale, che invece si configura come un vero e proprio incremento stabile nella dotazione organica (rispetto al modello a 150.000 militari previsto dalla Legge 244/20212 e che qui, formalmente, i relatori della proposta di Legge sostengono di voler conservare).
Dopo un lungo “tira e molla” tra i soggetti coinvolti e cioè i Ministeri della Difesa e della Economia e delle Finanze, pressoché all’improvviso è apparsa però una nuova versione della proposta di Legge stessa, recante alcune modifiche non proprio marginali. Quest’ultima viene così immediatamente calendarizzata nei lavori dell’assemblea della Camera dei Deputati per la giornata del 27 aprile; e, al termine delle votazioni di alcuni emendamenti nonché delle rituali dichiarazioni di voto, in modo quasi “istantaneo” approvata a larga maggioranza (anzi, addirittura, senza un solo voto contrario!).
I ruoli del Personale
I limiti di questa proposta di Legge sono stati già approfonditi ma appare opportuno tracciare nuovamente a grandi linee i temi principali, soprattutto alla luce delle modifiche apportate.
La prima delle quali è rappresentata dall’ulteriore spostamento dei termini di applicazione della Legge 244/2012, o “riforma Di Paola”, previsto dell’articolo 1; quest’ultima riforma come noto prevede (ovvero, prevedeva…) il raggiungimento di una consistenza organica di 150.000 militari nel 2024.
La “fotografia” del 2022 è però molto lontana da quell’obiettivo, dati i 164.000 militari in organico; con il dato ancora più pesante rappresentato poi dal vistosissimo squilibrio fra i ruoli del Personale stesso. A fronte infatti dei 18.300 Ufficiali previsti dalla 244/2012, il livello attuale è ancora di 21.271 unità, fra i Marescialli la situazione è ancora più “drammatica”, con 42.272 unità rispetto a 18.500 (+128% !!!), i Sergenti sono 18.200 a fronte dei 21.170 previsti e, infine, Graduati e Volontari di Truppa sono 82.257 quando dovrebbero essere 91.030.
Numeri decisamente eloquenti; rispetto ai quali, visti gli attuali ritmi di riduzione/riequilibrio, non era certo possibile pensare fosse sufficiente non solo quanto previsto dalla “riforma Di Paola” ma anche quanto indicato nella formulazione originale della proposta di Legge che proponeva lo spostamento dei termini temporali previsti dal 2024 al 2030. Con quella nuova tale termine si allunga ancora di più al 2034.
Qui però emergono 2 problemi. Il primo, più evidente, è che in questo modo una riforma che avrebbe finito con lo svilupparsi già su un numero di anni decisamente anomalo alla fine di anni ne richiederà addirittura una ventina.
Il secondo, meno evidente, è legato a quello squilibrio tra i ruoli del Personale poco sopra accennato. Ebbene, dalla relazione tecnica del Ministero della Difesa si apprende che il livello di 150.000 militari dovrebbe essere per raggiunto nel 2033; quello che però non viene specificato è se a quei 149.991 previsti per quell’anno corrisponderà anche la corretta ripartizione tra i ruoli.
In questo senso, apparirebbe quanto mai opportuno agire con meccanismi che consentano un esodo anticipato del Personale in soprannumero (e più anziano), con il Codice dell’Ordinamento Militare che peraltro prevede già un paio di strumenti utili allo scopo.
Il primo (Art. 909) è il collocamento in Aspettativa per Riduzione dei Quadri (ARQ) per gli Ufficiali delle Forze Armate, mentre il secondo (Art. 2229) è il c.d. “scivolo” che consente al Ministero della Difesa di disporre il collocamento in Ausiliaria degli Ufficiali e dei Sottufficiali che ne facciano domanda.
Strumenti oggi utilizzati in maniera limitata e che invece, una volta ampliati nonché eventualmente integrati da altri meccanismi simili, potrebbero garantire un più rapido riallineamento delle tabelle organiche con evidenti benefici anche sull’abbassamento dell’età media del Personale stesso.
Anche al netto delle critiche che si possono fare nei loro confronti, occorre infatti comprendere che l’eccezionalità della situazione richiede interventi parimenti eccezionali anche perché la verità è che questa situazione la stiamo trascinando fin dalla nascita delle Forze Armate su base volontaria e professionale, avvenuta nel 2000!
L’invecchiamento irrisolto del personale
Gli articoli 2 e 3, sono rimasti sostanzialmente immutati e comunque vale la pena di affrontarli insieme perché rappresentano gli altri punti più critici di questa proposta di legge, caratterizzati come sono dallo stesso comune denominatore.
Da un lato infatti c’è la rimodulazione delle consistenze per i Sottufficiali e i Graduati/Volontari delle 3 Forze Armate, che nel dettaglio prevede un aumento di Personale in Servizio Permanente di 3.400 unità (70 Volontari in Servizio Permanente, 2.030 Sergenti e 1.300 Marescialli) al quale corrisponderà ovviamente una uguale diminuzione di 3.400 Volontari in Ferma Prefissata,
Dall’altro la riforma delle carriere iniziali con la nascita delle figure del Volontario in Ferma Prefissata Iniziale di 3 anni, che poi potrà accedere a una Ferma Prefissata Triennale e in seguito, in maniera pressoché automatica, al Servizio Permanente.
In funzione della massima trasparenza, occorre chiarire subito che qualsiasi ragionamento in merito non può prescindere dalla considerazione in base alla quale la figura del Graduato/Volontario di Truppa in Servizio Permanente non ha nessuna logica.
Il fatto dunque che nel ruolo del Personale in oggetto si punti a una rimodulazione che ne aumenti il numero e che lo stesso intervento sulle carriere iniziali sia sostanzialmente finalizzato a consentire (quasi) a tutti di accedervi, costituisce un “vulnus” pesante.
Quello che infatti si verrà a creare per effetto del provvedimento in oggetto sarà infatti uno Strumento Militare “sclerotizzato” per effetto di uno scarso ricambio di Personale e con una età media elevata: l’idea di un Volontario di Truppa o di un Graduato in servizio fino a 60 anni è, evidentemente, un qualcosa di insostenibile sotto ogni punto di vista.
Occorrerebbero dunque soluzioni innovative che tengano conto delle peculiari condizioni e soprattutto del mercato del lavoro del nostro Paese. Con un’ottima base di partenza costituita dalla proposta del Volontario “in servizio permanente temporaneo”, proposto nel contributo di pensiero già ricordato.
Dunque, forme di ferma prolungata ma non “eterna” che coniughino al meglio l’investimento che il Paese fa nella Formazione, Addestramento e preparazione dei militari con il fatto alcuni essi non potranno certo passare tutta la loro vita all’interno delle Forze Armate. Il tutto, garantendo loro anche un sostegno economico alla cessazione del loro servizio, oltre a forme di aiuto al ricollocamento sul mercato del lavoro stesso.
Anche in questo caso sono da aspettarsi le (legittime) critiche rispetto a quello che potrebbero apparire meccanismi di favore, tuttavia, le peculiarità del “mestiere delle armi” dovrebbero essere premianti nell’ambito dell’approccio più flessibile al problema in oggetto.
In questo contesto, appaiono perfino “stonate” le dichiarazioni trionfali provenienti dalla politica, che parlano di un provvedimento destinato a ringiovanire le Forze Armate (anche sottolineando l‘abbassamento dell’età massima rispetto alla quale si potrà accedere alla Ferma Prefissata Iniziale, da 25 a 24 anni…) e di una risposta al “precariato militare”.
Certo, quando la transizione a questo Modello di Difesa a 150.000 militari sarà completata l’età media sarà sicuramente più bassa di quella attuale ma questo non vuol dire che lo sarà in senso assoluto, stante il dato finale di una elevatissima percentuale di tutto il Personale delle Forze Armate in Servizio Permanente (poco sopra l’80% del totale!).
Quanto appare lontano in questo senso il Libro Bianco della Difesa del 2015 che nel Disegno di Legge collegato prevedeva:«…la graduale sostituzione di un contingente di personale in servizio permanente con un corrispondente contingente di personale in servizio a tempo determinato, da stabilire in misura comunque non superiore al 50 per cento delle dotazioni organiche complessive».
E che rispetto al tema dei Volontari di truppa invitava a: «…prevedere l’abbassamento dell’età massima per la partecipazione ai concorsi per l’accesso al ruolo dei volontari a 22 anni compiuti e predisporre un sistema modulare di ferme per il personale volontario, complessivamente non superiore a sette anni…».
Al netto di possibili eventuali aggiustamenti (in linea, per esempio, con le già ricordate proposte in tema di ferma prefissata più lunga), non vi è però dubbio alcuno che quello immaginato dal Libro Bianco sarebbe stato uno Strumento Militare “giovane”, “dinamico”, al passo dei tempi e degli altri Paesi.
Intanto, quale osservazione conclusiva, si osserva che il combinato disposto dei provvedimenti contenuti in questa proposta di Legge (a esclusione di quelli contenuti nella Delega) costerà almeno 191 milioni di euro a regime. Una spirale nella crescita dei costi per Personale senza fine nonostante la continua contrazione degli organici.
La delega e l’aumento degli organici
Da ultimo, il tema dell’articolo 9 dedicato alla delega al Governo per la revisione dello Strumento Militare, oggetto dell’altra modifica davvero importante. Nel dettaglio, si è proceduto alla soppressione dei 2 passaggi legati ad altrettanti contingenti aggiuntivi rispetto alla definizione dei quali si rimanda al precedente articolo di approfondimento.
Di fatto, si procede dunque alla loro fusione in un unico contingente, con un organico non superiore a 10.000 unità di Volontari in Ferma Prefissata Iniziale e di Personale ad alta specializzazione in Servizio Permanente.
In particolare medici, personale delle professioni sanitarie, tecnici di laboratorio, ingegneri, genieri, logisti dei trasporti e dei materiali, informatici e commissari, per corrispondere alle accresciute esigenze in circostanza di pubbliche calamità e in situazioni di straordinaria necessità e urgenza.
Al di là della novità rappresentata dal cambiamento dei numeri e dell’ingresso di VFPI (senza che peraltro vi sia la benché minima indicazione delle esatte ripartizioni tra questi ultimi e il Personale in Servizio Permanente), resta comunque il giudizio negativo sul passaggio in questione.
Detto ancora una volta con estrema chiarezza: l’attenzione verso contingenti aggiuntivi in quanto a medici, sanitari, tecnici di laboratorio, ingegneri, genieri, logisti, informatici e commissari risulta francamente incomprensibile.
E sempre per essere chiari, tale considerazione non è certo di natura esclusivamente personale, giacché si ricorda come all’interno del Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa per il triennio 2021-2023 sia rinvenibile il seguente passaggio: “Nello specifico, gli esiti della Pianificazione Generale Interforze (PGI) conferiscono massima centralità all’assolvimento della Prima Missione (Difesa dello Stato e degli interessi nazionali) e della Seconda Missione (Difesa degli spazi euro-atlantici ed euro-mediterranei) assegnate alle Forze Armate, concentrando gli sforzi per ottenere, entro il 2026, una rinnovata capacità di operare con elevata prontezza attraverso sistemi qualitativamente adeguati – all’occorrenza in piena autonomia e con la massima efficacia nel quadrante geopolitico di prioritario interesse nazionale – nonché di soddisfare, entro il 2028, gli impegni assunti in ambito NATO di esprimere capacità “high end”, funzionali al contributo nazionale alla deterrenza Alleata.”
Appare dunque a dir poco stridente l’incoerenza tra i contenuti di questa delega così sbilanciata sulla “Quarta Missione” (concorsi e compiti specifici; oltretutto ribaditi anche con riferimento alla istituzione della “Riserva Ausiliaria dello Stato” prevista dalla delega stessa), con gli esiti di un processo fondamentale come la Pianificazione Generale Interforze.
Per l’incremento degli organici, che si configura come un abbandono surrettizio del modello a 150.000 militari della Legge 244/2012, non sono previsti nuovi o maggiori oneri a carico dello Stato in quanto esso dovrà essere realizzato nei limiti di spesa relativi ai risparmi secondo il meccanismo stabilito dall’articolo 4, comma 1, lettera d) della stessa “riforma Di Paola”.
Ovvero, i risparmi legati alla revisione dello Strumento Militare stabiliti da quest’ultima Legge sotto forma di riorganizzazione e riduzione del Personale, serviranno ad … arruolare nuovo Personale.
Nel frattempo, in assenza di una più precisa ripartizione delle varie figure previste, la Relazione Tecnica abbozza comunque una ipotesi basata su un’equa ripartizione tra VFPI (5.000 unità di Personale) e figure tecniche (1.500 Ufficiali e 3.500 Sottufficiali), con un impegno economico complessivo di 530 milioni di euro.
In tutto questo, si puntualizza che il tema dell’aumento del Personale non può e non deve essere un tabù.
Occorre quindi intervenire laddove ce n’è più bisogno a livello di singole Forze Armate, con una ormai evidente esigenza di aumentare in maniera mirata gli organici della Marina Militare) e soddisfare le maggiori esigenze legate alla nascita dei nuovi domini operativi (Cyber e spazio).
Al tempo stesso occorrerà intervenire sul Personale Civile, una risorsa importante che se adeguatamente incrementata e valorizzata può consentire di imprimere una ulteriore svolta al comparto Difesa nel suo complesso permettendo di liberare quello Militare da mansioni rispetto alle quali non vi è alcun bisogno di un tale specifico status.
Un altro tema importante contenuto nella delega è rappresentato dalla già accennata istituzione della Riserva (Ausiliaria dello Stato), con un organico non superiore a 10.000 unità di Personale volontario, ripartito in nuclei operativi di livello regionale. Per quanto ancora la soluzione migliore sotto tutti i punti di vista, il modello di Forze Armate su base volontaria e professionale può avere quale proprio “tallone d’Achille” proprio il basso numero di militari in servizio. Per evitare tuttavia di gravare sul bilancio complessivo attraverso aumento degli organici di personale in servizio attivo, la soluzione più logica diventa dunque quella di istituire una Riserva operativa, realmente capace di integrare le Forze Armate in caso di necessità (e non solo).
Dunque una novità potenzialmente positiva; potenzialmente perché questo meccanismo dovrà essere costruito nell’ambito dell’esercizio della delega medesima da parte del Governo.
Conclusioni
L’aggressione russa all’Ucraina ha cambiato in maniera tanto evidente quanto profonda il quadro entro cui il nostro Paese e le organizzazioni internazionale di riferimento opereranno in futuro. Quelle a cui stiamo assistendo sono infatti vicende che dimostrano quanto sarà importante nei prossimi anni investire su uno Strumento Militare che sia davvero in grado di affrontare scenari di ogni tipo. Anche quella guerra che potremmo definire quasi “classica” e che in molti pensavano fosse scomparsa dai nostri orizzonti ma che oggi si è invece ripresentata con forza.
E tra gli effetti del cambiamento in atto è finito così con l’emergere nuovamente il tema delle spese militari, con la conseguente necessità di un loro aumento quale effetto del mutato quadro strategico.
Anche in Italia è nato dunque un dibattito in proposito: se nei prossimi anni ci sarà un’accelerazione del processo di aumento delle spese militari stesse fino ad arrivare alla soglia del 2% del PIL, giocoforza diventa essenziale avviare un confronto su come si dovrebbero spendere eventuali nuove risorse rese disponibili.
Proprio qui che entra in gioco l’aspetto fondamentale rappresentato dalle politiche sul Personale Militare (e Civile) della Difesa e sui limiti fin qui analizzati della proposta di Legge approvata dalla Camera, prevedibilmente destinata peraltro a una rapida approvazione anche al Senato.
Occorrerebbero dunque scelte coraggiose, che non siano dettate da politiche di corto respiro per perseguire la massima efficienza possibile delle Forze Armate.
Foto Forze Armate italiane