Il rapporto del Pentagono sul potenziale militare cinese
Il consueto rapporto annuale del Pentagono sulle capacità militari cinesi contiene quest’anno valutazioni allarmistiche destinate a infiammare il già aspro confronto in atto tra Washington e Pechino, ingigantitosi in seguito all’epidemia di Covid 19 e alle responsabilità cinesi nella sua diffusione.
Nei prossimi dieci anni la Cina potrebbe raddoppiare il numero delle oltre 200 testate nucleari in suo possesso (altre fonti valutano sia circa il doppio) e potenziare gli arsenali di missili balistici inclusi quelli intercontinentali, sostiene il rapporto “Military and Security Developments Involving the People’s Republic of China 2020”, meglio noto come ‘China Military Power’.
L’incremento delle armi nucleari va inserito “nel quadro di un’espansione e modernizzazione delle forze nucleari cinesi” ha spiegato il vice assistente segretario alla Difesa, Chad L. Sbragia, in un intervento all’American Enterprise Institute in cui ha illustrato l’obiettivo di Pechino di potenziare le capacità nucleari e balistiche incentrandole, come USA e Russia, su una “triade” composta da:
- vettori e testate lanciabili da terra (a corto raggio e medio raggio, “anti portaerei” fino agli intercontinentali DF 41)
- sottomarini (6 battelli lanciamissili balistici in servizio)
- bombardieri (i nuovi H-6N sono i primi con capacità atomiche)
Secondo il rapporto illustrato da Sbragia, la Cina continua a investire anche nell’ammodernamento dello strumento militare convenzionale puntando a disporre entro il 2049 di una “forza armata all’avanguardia nel mondo” per sfidare l’egemonia statunitense.
Del resto fu lo stesso Xi Jinping (nella foto sotto in uniforme) a indicare, in occasione del diciannovesimo congresso del Partito comunista cinese del 2017, la data del 2049 entro la quale fare della Cina una per “potenza militare globale” mentre entro il 2035 dovranno essere disponibili capacità militari avanzate competitive con quelle statunitensi.
Per raggiungere simili obiettivi strategico Pechino dovrà disporre di una capacità di proiezione di potenza ben superiore a quello garantito oggi dalle sue uniche due basi all’estero (a Gibuti e nelle isole birmane delle Andamane) e per farlo sta già valutando accordi con numerosi Stati per aprire basi militari in diverse aree del mondo.
Il rapporto evidenzia che la flotta cinese conta 350 navi da guerra (di cui 130 da combattimento d’altura) rispetto alle 293 degli Stati Uniti: un confronto numerico che punta sui toni allarmistici ma è evidente che la US Navy schiera capacità complessive e qualitative ben superiori alla flotta cinese che pure registra una rapida crescita.
Il rapporto attribuisce alle forze aeree cinesi 2.500 velivoli, di cui duemila da combattimento e sottolinea come l’aeronautica stia “rapidamente raggiungendo le forze aeree occidentali in una vasta gamma di capacità e competenze” come dimostrano le capacità anti-satellite e l’attuazione di operazioni anti-access/area-denial (A2AD) nelle aree marittime e insulari del Mar Cinese Meridionale contese con gli Stati vicini in cui Pechino ha creato arbitrariamente delle “bolle di sicurezza” per dissuadere velivoli di altre nazionalità a sorvolarle.
Capacità rafforzate con lo sviluppo della versione locale del sistema di difesa aerea a lungo raggio russo S-300 e l’acquisto in Russia del più efficace S-400.
L’obiettivo che Washington persegue con il rapporto è destare attenzione e allarme intorno al massiccio riarmo cinese per creare un cordone di alleanze in gradi di “contenerlo”: più o meno la stessa strategia adottata negli anni ’50 e ’60 nei confronti dell’Unione Sovietica.
Non a caso il segretario alla Difesa, Mark Esper (nella foto sopra) ha appena effettuato una visita alle basi militari nel Pacifico e presso gli alleati di quella regione sullo sfondo della proposta, sostenuta dal Dipartimento di Stato statunitense, di saldare un’intesa con Australia, India e Giappone tesa a aumentare la cooperazione militare in chiara funzione anticinese e a ridurre le relazioni economiche con Pechino.
Presentando il rapporto, lo stesso Esper ha voluto evidenziare un aspetto politico enfatizzato spesso in modo bipartisan negli Stati Uniti ma che in Europa non viene spesso rimarcato: le forze armate cinesi, cioè l’Esercito Popolare di Liberazione “non serve il suo popolo o una Costituzione, ma il Partito comunista cinese nel suo tentativo di minare regole e norme in giro per il mondo”.
Da Pechino sono piovute immediatamente forti critiche ai contenuti del rapporto definito “pieno di pregiudizi”, che esprime una “mentalità da guerra fredda” e teso a sostenere“ la teoria della minaccia militare cinese” come hanno dichiarato i ministeri di Difesa ed Esteri: la portavoce di quest’ultimo ha negato che Pechino intenda raddoppiare le sue testate nucleari in 10 anni, sostenendo che si tratta di un documento “totalmente sbagliato”.
Il Rapporto del Pentagono (PDF)