Immunità per i “marò” ma sul caso Regeni l’Italia assomiglia all’India
Il Tribunale arbitrale internazionale sul caso dei “marò” ha dato ragione all’Italia. I giudici hanno riconosciuto “l’immunità” dei fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone in relazione ai fatti accaduti il 15 febbraio 2012 e all’India viene pertanto precluso l’esercizio della propria giurisdizione nei loro confronti. Il Tribunale ha riconosciuto che i militari erano funzionari dello Stato italiano, impegnati nell’esercizio delle loro funzioni, per cui la giurisdizione per eventuali indagini e processi sul caso spetta unicamente all’Italia.
Come ha sintetizzato un comunicato dello Stato maggiore Difesa, Il provvedimento arbitrale, nella sua parte dispositiva, ha stabilito che:
- in relazione ai fatti accaduti durante l’incidente del 15 febbraio 2012, all’India viene precluso l’esercizio della propria giurisdizione nei confronti dei due Fucilieri di Marina. Il Tribunale arbitrale ha dunque accolto la tesi sempre sostenuta dall’Italia in tutte le Sedi giudiziarie – indiane e internazionali – e cioè che Girone e Latorre erano funzionari dello Stato italiano, impegnati nell’esercizio delle loro funzioni, e pertanto immuni dalla giustizia straniera;
- l’Italia dovrà esercitare la propria giurisdizione e riavviare il procedimento penale sui fatti occorsi il 15 febbraio 2012, a suo tempo aperto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma;
- l’Italia dovrà compensare l’India per i danni fisici, materiali e morali causati all’equipaggio e all’imbarcazione del peschereccio indiano “Saint Antony”. Al riguardo, il Tribunale ha invitato le due Parti a raggiungere un accordo attraverso contatti diretti.
La sentenza da parte del Tribunale costituito a L’Aja il 6 novembre 2015 presso la Corte Permanente di Arbitrato viene peraltro considerata un successo anche dall’India che vede riconosciuto il diritto a risarcimenti per la morte dei due pescatori anche se non potrà perseguire i due militari italiani.
Vale la pena ricordare che la responsabilità dei militari italiani nella morte dei due indiani è ancora tutta da dimostrare e in ogni caso l’Italia pagò già indennizzi ai famigliari delle vittime come “gesto di buona volontà” che non comportava però nessuna ammissione di colpa.
Il ministero degli Esteri di New Delhi sottolinea che, secondo i giudici, l’Italia ha violato la libertà di navigazione sancita dagli articoli 87 e 90 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982. Su questa base l’India dovrà essere risarcita per la perdita di vite umane, i danni fisici, il danno materiale all’imbarcazione e il danno morale sofferto dal comandante e altri membri dell’equipaggio del peschereccio Saint Anthony.
L’obiettivo della Corte era dirimere la controversia tra Italia e India sul caso dell’incidente occorso il 15 febbraio 2012 nell’Oceano Indiano alla nave Enrica Lexie, battente bandiera italiana, per il quale New Delhi intendeva processare Latorre e Girone, che con altri quattro commilitoni erano di scorta a bordo del mercantile, accusandoli di aver ucciso due pescatori creduti erroneamente pirati.
I fucilieri di Marina hanno fatto ritorno in patria dall’India, rispettivamente, il 13 settembre 2014 e il 28 maggio 2016 e che il Tribunale Arbitrale era chiamato a pronunciarsi sull’attribuzione della giurisdizione, e non sul merito dei fatti occorsi il 15 febbraio 2012. Italia e India si erano di conseguenza impegnate a esercitare la giurisdizione una volta attribuita a una delle due Parti.
L’Italia, prosegue la nota della Farnesina, è pronta ad adempiere a quanto stabilito dal Tribunale arbitrale, con spirito di collaborazione. La Farnesina sottolinea che la decisione del Tribunale arbitrale lascia impregiudicato l’accertamento relativo ai fatti e al diritto per quel che concerne il procedimento penale che dovrà svolgersi in Italia.
La notizia della sentenza rappresenta un successo per l’Italia che, paradossalmente, proprio in questi giorni è ai ferri corti con l’Egitto per il “Caso Regeni” in cui la procura di Roma ha la pretesa di convocare, interrogare e processare in Italia alcuni alti funzionari dei servizi di sicurezza egiziani sospettati di essere coinvolti nella tortura e nell’omicidio del giovane italiano.
Uno sviluppo, che potrebbe impattare sulla prevista vendita di due (più opzioni) navi militari all’Egitto, previsto da Analisi Difesa che il 19 giugno scriveva:
“Parte della politica insiste affinché venga chiesto all’Egitto di consegnare i vertici della polizia e dell’intelligence, che si vorrebbero processare in Italia.
Ma nessuna nazione acconsente che propri militari o funzionari dello Stato vengano processati all’estero (Roma impostò su questo principio la difesa dei fucilieri di Marina Latorre e Girone accusati di omicidio in India) per cui una simile richiesta posta alle autorità del Cairo punterebbe solo a incassare il fermo diniego egiziano da utilizzare, in modo strumentale, per creare un nuovo alibi utile a ostacolare la vendita delle Fremm.
Del resto è curioso che molti di coloro esprimono critiche sul rispetto dei diritti umani in Egitto siano gli stessi che spalancano le braccia alla dittatura comunista cinese e al regime venezuelano”.
Infatti il secco e prevedibile rifiuto del Cairo a consegnare o anche solo a fornire informazioni circa i propri funzionari dell’intelligence interno ha sollevato polemiche e la stessa Farnesina sembra voler prendere in esame contromisure nei confronti dell’Egitto. C’è chi invoca il richiamo dell’ambasciatore e chi lo stop alla vendita alla Marina del Cairo delle due fregate lanciamissili Fremm, peraltro già approvata l’11 giugno dal governo.
Misure inappropriate e controproducenti: la prima è già stata attuata in passato rivelandosi inconcludente mentre la seconda priverebbe Roma della sua residua influenza e prestigio in Nord Africa e le aziende italiane di importanti contratti nel ricco mercato arabo proprio nel momento di maggiore crisi per la nostra economia.
Dopo aver contrastato per anni la propaganda giustizialista indiana che definiva Latorre e Girone “italian marines killer” è quanto meno curioso che il governo italiano ripercorra la strada a lungo contestata a Nuova Delhi.
Si può pretendere la verità sulla morte di Giulio Regeni senza dimenticare che militari e funzionari dello Stato non possono venire giudicati per quanto fatto in servizio da tribunali stranieri, al di là dello Stato di appartenenza e al di là del crimine di cui vengono accusati.