Kosovo: oggi su EXPLORER HD Canale 176 di SKY un documentario dedicato ai Carabinieri del MSU
ROMA (nostro servizio particolare). Va in onda, alle 12.42 e alle 20.30 la seconda puntata di “TASK FORCE – KOSOVO: I CARABINIERI DELLA MSU”, e alle 4:55 di domani su EXPLORER HD Canale 176 di SKY,.
La prima puntata è andata in onda lo scorso 26 agosto (https://www.reportdifesa.it/task-force-kosovo-su-explorer-hd-channel-le-attivita-dellesercito-italiano-e-dei-carabinieri-nellambito-della-kfor/).
La puntata è dedicata ai Carabinieri della Multinational Specialized Unit (MSU) della KFOR (Kosovo Force) che svolge un’intensa attività di controllo del territorio per garantire la sicurezza della popolazione kosovaro-albanese e serba, ancora in contrasto tra loro, dopo la fine della guerra del 1999.
I militari della MSU svolgono su tutto il territorio della Repubblica del Kosovo, il delicato compito di Polizia militare e civile a sostegno della Kosovo Police e per garantire il mantenimento delle condizioni di stabilità.
Non disgiunta dall’attività di polizia, anche i Carabinieri della MSU come i militari dell’Esercito, svolgono un’intensa attività umanitaria per sostenere le frange più deboli e bisognose della popolazione, indipendentemente dall’etnia di appartenenza.
Report Difesa ha intervistato Antonello Romano, giornalista, autore del progetto e collaboratore alla regia.
Il documentario che lei ha realizzato, oggi, alla luce delle notizie di cronaca è molto attuale. Cosa ha voluto raccontare?
È la terza volta che per motivi di lavoro torno in Kosovo.
La prima volta fu nel 1999, in concomitanza con l’ingresso nel Paese dei Bersaglieri della “Brigata Garibaldi” e dei Carabinieri Paracadutisti del Reggimento “ Tuscania”, che furono inquadrati nel Contingente italiano della KFOR, la forza multinazionale della NATO inviata in Kosovo per fermare una guerra particolarmente violenta e brutale tra l’etnia kosovara-albanese che è il 92% della popolazione e quella serba ortodossa (pari al 5%.)
Ai Bersaglieri italiani fu affidato il compito di presidiare e intervenire su tutto il territorio situato nella parte occidentale del Kosovo per proteggere e assistere la popolazione delle diverse etnie, mentre ai Carabinieri della Multinational Specialized Unit, la NATO affidò il delicato compito di forza di Polizia militare e civile, per cercare di ripristinare l’ordine, la sicurezza, la legalità e il mantenimento della la pace in tutto il territorio del Kosovo.
Dal 1999 ad oggi la missione KFOR si può dire che abbia cambiato “pelle”. Lei cosa ha riscontrato, dal punto di vista documentaristico?
Con l’ingresso della Kosovo Force si ripristinò la pace e l’Esercito serbo dovette ritirarsi dall’intero territorio di cui rivendicava la sovranità, dopo aver dato vita a quella che fu una guerra durissima per i crimini compiuti dai soldati serbi ai danni della popolazione civile di etnia albanese e per la violenta reazione di difesa dell’UCK, il movimento paramilitare indipendentista kosovaro-albanese.
Quando atterrai con la mia troupe all’Aeroporto militare di Djakova, distrutto dalla guerra, ma ricostruito a tempo di record dai Genieri dalla nostra Aeronautica Militare, ai miei occhi apparve un Paese devastato, con buona parte delle infrastrutture pubbliche e migliaia di abitazioni civili distrutte o crivellate da miriadi di colpi di arma da fuoco.
Appresi ufficialmente, ma probabilmente il numero era di gran lunga più grande, che più di 11 mila persone di etnia albanese erano state torturate, uccise e alcune di queste ammassate in fosse comuni.
Il Paese era disseminato di mine antiuomo, i fiumi erano inquinati sia dai rifiuti industriali dispersi nelle loro acque a seguito dei bombardamenti delle fabbriche, sia per la presenza di carcasse di animali uccisi durante i combattimenti.
Tutti i servizi pubblici e di sostegno alla popolazione civile erano praticamente inesistenti e le tensioni tra le due etnie erano ancora molto forti e frequenti, con attentati degli uni contro gli altri e con i civili di etnia serba costretti a non poter circolare liberamente e a vivere rinchiusi nelle loro enclavi, in uno stato di povertà estrema anche a causa della mancanza di acqua potabile, di elettricità e di cibo.
In questo scenario, oltre le attività prettamente militari, il Contingente italiano ha svolto da subito un ruolo decisivo per l’assistenza alla popolazione civile, per il ripristino dei servizi pubblici essenziali e per la protezione della popolazione, operando sempre in modo neutrale, imparziale e paritario nel rispetto delle diverse identità etniche, culturali e religiose.
Oggi la Repubblica del Kosovo, dopo la dichiarazione d’indipendenza nel 2008, è riconosciuta dalla maggior parte dei Paesi di tutto il mondo ed è nel corso di questi 23 anni radicalmente cambiata, grazie alla presenza della KFOR e in particolare alle attività svolte dai Carabinieri MSU in tutto il territorio e a quelle dei soldati italiani del Regional Command West.
Dal suo lavoro cosa emerge nei rapporti tra Forze Armate e popolazione civile?
Soprattutto nelle grandi città e nelle giovani generazioni le tensioni interetniche sono state quasi del tutto superate, l’economia è in via di risanamento, le scuole sono frequentate da giovani appartenenti a qualunque etnia, i servizi pubblici hanno ripreso a funzionare, gli ospedali sono in grado di fornire la necessaria assistenza potendo contare sulla professionalità dei propri operatori e alcune piccole imprese hanno iniziato a produrre in proprio.
Restano delle tensioni nel Nord del Paese e in particolare nel territorio dove vive la maggioranza dell’etnia serba, ai confini con la Repubblica serba e in particolare nella città di Mitrovica che, ancora oggi, è il simbolo del confronto tra la popolazione di origine serba e quell’albanese e sulla quale vigila con spiccate capacità di mediazione e di relazioni umane oltre che con il necessario assetto operativo, la forza di Polizia multinazionale della KFOR che opera sotto il Comando dei Carabinieri del Reggimento MSU.
Quello che in questi 23 anni è avvenuto in Kosovo è un cambiamento radicale ed è il protagonista del racconto che abbiamo sviluppato nei due reportage di TASK FORCE in onda su Explorer HD 176 di SKY.
Un cambiamento che è avvenuto per volontà del popolo e delle Autorità locali ma che non sarebbe stato possibile senza la straordinaria cooperazione messa in campo dalla KFOR e con particolare capacità di mediazione tra le parti in conflitto dal Contingente italiano, la cui opera è, sin dal primo giorno di ingresso nel Paese, apprezzatissima dalla popolazione appartenente alle diverse etnie, che spesso abbiamo visto soffermarsi a chiacchierare con le pattuglie dei nostri militari per esprimere loro la propria riconoscenza, memore del lavoro svolto negli anni passati e di quello che con altrettanta passione e uno spiccato senso di solidarietà svolgono ancora oggi.
Quanto sono durate le riprese? Sono state utilizzate particolari tecniche cinematografiche?
Le riprese televisive sono durate otto giorni.
La troupe ha girato con i militari dell’Esercito Italiano del R.C.W. di base nella città di Pec a “Camp Villaggio Italia” seguendo le attività CIMIC (Civic Military Cooperation) in alcune delle municipalità del Kosovo Occidentale e con i Carabinieri MSU, che hanno la propria base a Pristina, nella parte settentrionale del Kosovo, dove è prevalente la presenza dell’etnia serba-ortodossa.
In particolare abbiamo documentato la complessa situazione che si vive nel territorio della città di Mitrovica, divisa in due dal ponte Austerliz sul fiume Ibar: a Sud in quella di etnia kosovaro-albanese di religione musulmana e a Nord in quella serba-ortodossa.
Il ponte è il simbolo storico della confrontazione interetnica e oggi è posto sotto controllo quotidiano e permanente da parte dei militari dell’Arma.
Per le riprese sono state utilizzate tre diverse telecamere full HD e 4K minute anche di ottiche cinematografiche e sono stati utilizzati, ove possibile, due droni con differenti caratteristiche di volo e capacità di ripresa.
Quanto la collaborazione con lo Stato Maggiore della Difesa e del Comando di Vertice Interforze ha reso più agevoli le riprese?
La collaborazione con lo Stato Maggiore della Difesa, con il Comando Operativo di Vertice Interforze e con il Comando NATO della KFOR, è stata decisiva e indispensabile per poter documentare anche gli aspetti di vita meno noti al grande pubblico, quelli all’interno delle rispettive Basi, e nei quali si apprezzano l’importanza delle relazioni umane tra uomini e donne in divisa che condividono il proprio lavoro per 24 o ore al giorno, vivendo le medesime realtà.
Momenti di breve durata, ma che fanno da cornice irrinunciabile all’attività di servizio che i militare del Contingente svolgono sul campo.
Ci tengo a precisare che avendo lavorato in passato anche in altre missioni internazionali delle nostre Forze Armate, il nostro lavoro in Teatro non sarebbe, però, possibile senza la preziosa ed efficace collaborazione del personale militare in forza ai Press Office dei Reparti schierati nel Teatro stesso che conosce bene il territorio, le sue criticità e le diverse realtà che lo compongono.
A suo parere cosa rappresenta oggi il Kosovo per l’Italia e per l’Europa?
Il Kosovo è un Paese bellissimo, in cui si intrecciano elementi di grande attrattivitaà, sia dal punto di vista culturale, religioso che naturalistico.
Entrambe le etnie mostrano segni di riconoscenza nei confronti dell’Italia grazie al lavoro svolto e che svolgono le nostre Forze Armate.
Le differenze etniche, seppure molto sopite rispetto alla fine della guerra, sono ancora presenti soprattutto ai confini con la Repubblica serba e pertanto il Paese non penso che sia ancora pronto a poter fare a meno della presenza della NATO e tanto più dei nostri soldati e dei nostri Carabinieri.
Esistono, infatti, ancora oggi, piccoli gruppi di estremisti che obbediscono alla politica separatista o a quella sovranista, ma la mia impressione al termine del nostro viaggio è stata quella che i giovani kosovari di entrambe le etnie vivono tra loro in perfetta armonia, al contrario forse dei propri padri e dei propri nonni che non riescono a dimenticare del tutto le atrocità della guerra e le perdite subite dei propri cari nel conflitto.
È un popolo che ama l’Italia a cui si sente legato e a cui ritiene di dovere molto, soprattutto per il mantenimento della pace e il sostegno necessario per poter diventare uno stato sovrano realmente indipendente, non solo politicamente, ma anche economicamente e socialmente.
I giovani hanno compreso che la presenza di diverse culture appartenenti alle diverse etnie,
Non dovrà più essere motivo di scontro ma trasformarsi in una ricchezza per la crescita e lo sviluppo dell’intero Paese.
Non a caso il ponte di Austerliz a Mitrovica, che durante la guerra era definito come il “ ponte della discordia”, simbolo della separazione, oggi molti kosovari che guardano in positivo al proprio futuro, lo definiscono, invece, “ponte della concordia”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’articolo Kosovo: oggi su EXPLORER HD Canale 176 di SKY un documentario dedicato ai Carabinieri del MSU proviene da Report Difesa.